Summa Theologiae
Prima parte
Questione 2
Articolo 3
Iª q. 2 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Dio non esista. Infatti:
1. Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta
completamente distrutto. Ora, nel nome Dio s'intende affermato un bene
infinito. Dunque, se Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Viceversa
nel mondo c'è il male. Dunque Dio non esiste.
Iª q. 2 a. 3 arg. 2
2. Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di
cause, non si vede perché debba compiersi da cause più numerose. Ora tutti i
fenomeni che avvengono nel mondo, potrebbero essere prodotti da altre cause,
nella supposizione che Dio non esistesse: poiché quelli naturali si riportano,
come a loro principio, alla natura, quelli volontari, alla ragione o volontà
umana. Nessuna necessità, quindi, dell'esistenza di Dio.
Iª q. 2 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Nell'Esodo si dice, in persona di Dio:
"Io sono Colui che è".
Iª q. 2 a. 3 co.
RISPONDO: Che Dio esista si può provare per cinque vie.
La
prima e la più evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e
consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò
che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia
potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto
è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla
potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non
mediante un essere che è già in atto. P. es., il fuoco che è caldo attualmente
rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo
muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e
sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto
diversi rapporti: così ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in
potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il
medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova
se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un
altro. Se dunque l'essere che muove è anch'esso soggetto a movimento, bisogna
che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in
tal modo procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo
motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non
muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove
se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo
motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
La seconda via parte dalla nozione di causa efficiente.
Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause efficienti, ma non
si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa efficiente di se medesima;
ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo
all'infinito nelle cause efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause
efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia, e l'intermedia è causa
dell'ultima, siano molte le intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è
tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi
fosse una prima causa, non vi sarebbe neppure l'ultima, né l'intermedia. Ma
procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa
efficiente; e così non avremo neppure l'effetto ultimo, né le cause intermedie:
ciò che evidentemente è falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa
efficiente, che tutti chiamano Dio.
La terza via è presa dal possibile (o contingente) e dal
necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di quelle che possono
essere e non essere; infatti alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire
che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal
natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non
esisteva. Se dunque tutte le cose (esistenti in natura sono tali che) possono
non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è
vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia
ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c'era ente alcuno, è
impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e così anche ora non ci
sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono
contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario.
Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in altro
essere oppure no. D'altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la
causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito, come neppure
nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere
all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri
la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti
dicono Dio.
La quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle
cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre
simili perfezioni in un grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore
si attribuisce alle diverse cose secondo che esse si accostano di più o di meno
ad alcunché di sommo e di assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si
accosta al sommamente caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo,
ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente;
perché, come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in
quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli
appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni
calore, come dice il medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per
tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E
questo chiamiamo Dio.
La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo
che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici,
operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi
sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a
caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo
d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere
conoscitivo e intelligente, come la freccia dall'arciere. Vi è dunque un
qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a
un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.
Iª q. 2 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino:
"Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle
sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper
trarre il bene anche dal male". Sicché appartiene all'infinita bontà di
Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni.
Iª q. 2 a. 3 ad 2
2. Certo, la natura ha le sue operazioni, ma siccome le
compie per un fine determinato sotto la direzione di un agente superiore, è
necessario che siano attribuite anche a Dio, come a loro prima causa.
Similmente gli atti del libero arbitrio devono essere ricondotti ad una causa
più alta della ragione e della volontà umana, perché queste sono mutevoli e
defettibili, e tutto ciò che è mutevole e tutto ciò che può venir meno, deve
essere ricondotto a una causa prima immutabile e di per sé necessaria, come si
è dimostrato.