6- La legge per
la libertà
È bello come
Benigni metta in luce che Dio dona la legge, non per opprimere la vita, ma per
farla fiorire. Le “dieci parole” sono “istruzioni per l’uso”, per liberare la
libertà e realizzare la vita: renderla reale proprio perché realista.
Già, l’inizio
delle “dieci parole” – e nelle due versioni (Es 20,2; Dt 5,6) – ci offre la
dichiarazione d’intenti di Dio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto
uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile». Come per dire: ora che
sei libero, non farti più imporre un giogo di schiavitù, quel giogo realmente
serio, del male, della falsità, dell’autogol. Nessuno ti può fregare meglio di
te stesso. È un “peccato” che una creatura così bella come te si abbruttisca…
7- Il
comandamento della felicità
È un “peccato”
che tu non sia felice!! Se liberassimo la parola “peccato” dall’accezione
arbitraria e moralistica, scopriremmo come Dio ci invita alla pienezza di cui quasi
non osiamo sperare la realizzazione, quella di essere divinamente felici.
Lo diciamo nel linguaggio di ogni giorno, quando perdiamo un’occasione: “che
peccato”. Quanto più dobbiamo dirlo ogni volta che sprechiamo attimi di
eternità remando contro la nostra gioia, la vera gioia!
Mi viene in
mente il Dostoevskij di I fratelli Karamazov. Il grande
romanziere, che in quel romanzo condensa la spiritualità cristiana, specie
quella della tradizione ortodossa, scrive più o meno così: ‘Il comandamento di
Dio per l’uomo è la felicità. Se arrivi ad essere veramente felice, puoi
presentarti a Dio e dirgli: Signore, eccomi, ho adempiuto il tuo comandamento’.
Non a caso, la
gioia è frutto dello Spirito Santo (cf. Gal 5,22). Chi vive secondo Dio vive
secondo natura, la nostra vera natura, che è il soprannaturale! Vive della
gioia eterna di Dio. Ma è interessantissimo notare che, nel versetto paolino (Il
frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà,
fedeltà, mitezza, dominio di sé), la gioia è elencata come parte integrante
e inscindibile di un “pacchetto unico” non vendibile singolarmente. Infatti,
pur elencando vari elementi, Paolo parla di un frutto solo,( Ὁ καρπὸς), per
indicarci che non si può essere felici senza amare, senza essere operatori di
pace, senza dominio di sé, ecc.
* * *
Caro Roberto,
ho però da rimproverarti un paio di cose… (Mi sembro l’angelo dell’apocalisse…
lo faccio a posta… tanto siamo tra omonimi). Facciamo che siano tre, così
chiudiamo con dieci piccoli punti… Sì, lo so che non sei teologo e non hai
fatto una replica del catechismo, e nessuno si deve aspettare che tu faccia “la
catechesi dei dieci comandamenti”. Infatti, non vado a setacciare tutto quello
che hai detto… ma così, tanto per, 3 piccoli “rimproveri”, o meglio
puntualizzazioni. Dopo sette elogi, me lo permetterai con affetto, spero. Passo
al tono personale perché non faccio calunnia, ma dialogo per crescere.
8- Fare di
tutta l’erba un fascio
Mi sei piaciuto
tanto sia nel commentare la quinta parola, “non uccidere”, e la quarta, “onora
il padre e la madre”. Anzi, ti devo confessare. Sentendo il quarto
comandamento, sarà forse l’età, sarà la distanza (fisica) dai miei … mi sono
pure commosso. Ecco, a proposti di quarto e quinto comandamento. Non vorrei
essere drammatico… però, non ti sembra di esagerare e di “uccidere” grazie al
tuo potere mediatico (10 milioni di uditori!!) tanto del bene fatto dalla
Chiesa di Cristo. Quando dico Chiesa, non parlo solo di preti, vescovi, ecc…
parlo di tutto questo popolo di Dio che fa l’opera d’amore di Cristo, che vive
il comandamento nuovo dell’amore come Gesù.
Ti cito questo
piccolo pezzo da un’udienza di papa Francesco di ottobre scorso: «tante volte
sentiamo dire: “Ma, la Chiesa non fa questo, la Chiesa non fa qualcos’altro…” –
“Ma, dimmi, chi è la Chiesa?” – “Sono i preti, i vescovi, il Papa…” – La Chiesa
siamo tutti, noi! Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù. Da
tutti coloro che seguono il Signore Gesù e che, nel suo nome, si fanno vicini
agli ultimi e ai sofferenti, cercando di offrire un po’ di sollievo, di
conforto e di pace. Tutti coloro che fanno ciò che il Signore ci ha comandato
sono la Chiesa».
Non sputare in
faccia alla Chiesa mentre stai spezzando un pane che hai mangiato nei suoi
atri. Per essere felici su questa terra bisogna rispettare il padre, e la
madre. C’è buona probabilità che non avresti detto “non uccidere” se non fossi
nato da questa nostra Madre… Se fossi nato sotto l’Isis, Al-Shabab, Boko Haram,
Abu Sayyaf, An-nusra e migliaia di altri gruppi, probabilmente avresti
sbandierato queste parole come assolute: «Uccidete questi associatori
ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati» (Corano
IX, 5); oppure «Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora
sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per
la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli
ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici, né alleati» (Corano
IV, 89). Sono questi e tanti altri versetti che quelli che chiamiamo terroristi
utilizzano per giustificare l’uccisione del fratello in nome di Dio (anche l’uccisione
di poveri e inermi scolari).
Per cui ti
invito ad apprezzare la tradizione bella da cui attingi. Se non lo vuoi fare da
credente, fallo almeno da uomo intelligente, quasi come una scommessa
pascaliana. Ammesso che l’uomo è un “animale religioso”, e che, in mancanza di
una religione vera, idolatra anche una fogna, (pensa ai totalitarismi), è conveniente
scommettere sulla Chiesa, sul cristianesimo. Malgrado i nostri tanti peccati,
portiamo come cristiani un valore unico, irrepetibile, empiricamente
introvabile sulla faccia della terra.
Ti parlo di
tolleranza, di libertà di pensiero, di pluralismo, di perdono, di attività
caritativa, di aspirazione mistica,… guarda caso, solo dove è passato il
cristianesimo ora c’è democrazia. Se tu parli di amore, di libertà, di pace, di
solidarietà, di felicità… volente e nolente, ne parli perché hai mangiato il
pane di quella Chiesa… i miei mi hanno insegnato che non si lanciano sassi dal
pozzo da cui si attinge l’acqua.
9- Tra castità
e castrità
Quando hai
parlato di castità, mi hai fatto ridere, ma di cuore! La battuta sui “preti che
si tramandano la castità di padre in figlio” è proprio da te. Simpaticissima.
Ma, anche qui, si rischia, con umore e sottilmente senza amore, di fare di
tutta l’erba un fascio… Oltre alle caricature che hai evocato, ci sono figure
eroiche, vere, persone che la castità la vivono come bellissima oblazione d’amore.
Non vanno uccise o dimenticate, Roberto. Quelle foreste che crescono in
silenzio non vanno segate (per rimanere in tema) per rumoreggiare su
qualche albero che cade… un po’ di ecologia, eddaje!
Un’altra cosa: la
parola castità, non è un’esclusiva dei preti e dei religiosi…
Hai parlato di una
castità buona se “usata con moderazione”. Permettimi di dirti che,
cristianamente parlando, è l’unica castità possibile. Bisogna intenderci su
cosa sia la “moderazione” però. Spero non intendessi essere casti “a giorni
alterni”. Ad ogni modo, siamo d’accordo che gli eccessi non vengono dalla virtù.
In medio stat virtus. Quel medio, non è la mediocrità (che è piuttosto un
virus), ma il discernimento, l’equilibrio, il giudizio, la sapienza.
Nel caso della
castità, moderazione significa viverla come un nome dell’amore e in nome
dell’amore. La castità immoderata è repressione, oppressione, è un peccato
contro la vita… è una “castrità”. La vera castità non solo è compatibile,
ma è proprio necessaria anche al matrimonio, perché crea lo spazio
dell’incontro appassionato e passionale, piuttosto che la bulimia del consumo
di un altro trattato come oggetto, ovvero “ucciso”.
Mi dispiace per
la tua esperienza negativa. Mi dispiace che ci sono ancora cristiani che pensino
che l’unico peccato sia il de sexto. E che la telecamera del grande
fratello divino inquadra perennemente i nostri genitali… Questa non è la nostra
fede. E l’errore di giudizio di un individuo o di un gruppo di individui non
dovrebbe sostituire e destituire un valore. Lo sai bene…
Condivido con
te quello che un giovane francese durante un mio soggiorno di studio a Angers
mi ha raccontato. Guillaume si definiva come un orco che consuma corpi
femminili… e un giorno, non so come, gli capitarono tra le mani le catechesi di
(san) Giovanni Paolo II sul corpo e la sessualità. Lì, quel ragazzo scoprì una
bellezza, una prospettiva, un respiro che non avevo trovato in nessuno dei suoi
sport estremi.
Credimi, solo
un cuore casto sa amare e sa fare all’amore… e godere il piacevole frutto della
gioia… ma alla fine, credo l’abbia detto pure tu.
Un’ultima cosa:
hai sottolineato, quasi come un escamotage della chiesa la suddivisione del 9 e
10 comandamento. Io invece ci vedo una grande coscienza e sensibilità saper
distinguere tra donna degli altri e roba degli altri… anche qui, in tante
culture la donna è un arredo come altri e si può comprare anche in tenera età
(basta che ti fai un giro su internet per vedere certi obbrobri). Sono più che fiero
che la mia Chiesa ne ha fatti due comandamenti distinti.
10- La Parola
più bella
Tornando al
quinto comandamento, ho pensato che potevi essere un po’ politicamente
scorretto, non solo nei confronti della Chiesa o della politica, ma anche nei
confronti della cultura imperante della morte. Mi riferisco al genocidio
silente e quotidiano che accade sotto i nostri occhi. Un genocidio spacciato
per un tema sensibile: la liberazione della donna, come se la liberazione
dovesse attraverso il battesimo con il sangue di uno che, nel momento in cui lo
fai fuori, è parte di te e altro da te allo stesso tempo… qui mi è dispiaciuto.
Certo, non attirava tanti applausi come tema… ma io un applauso te l’avrei dato…
Hai pure ragionato
sul fatto che chi uccide, non può ricevere il perdono di Dio perché il morto
non c’è più per perdonarlo e Dio non può dare il perdono per interposta
persona. Il ragionamento fila… filerebbe se le dieci parole fossero il non plus
ultra come dicevi in alcuni momenti del tuo show: quanto più bello che Dio ci
abbia dato e detto. Concordando con te su tante belle interpretazioni, ti dico
però che la Parola più bella che Dio ci ha detto non si trova lì scritta su
pietra, ma scritta nella carne di Cristo. Cristo è il Logos, la Parola,
appunto che Dio ci dà. Quella Parola fatta non di legge, ma di grazia; non di
pietra, ma di carne. Ecco, «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo ad ogni uomo». Lui è divenuto la nostra pace, ovvero, la
riconciliazione tra di noi e con Dio. In lui, l'Innocente, il perdono di Dio è aperto a tutti quelli che si pentono. È questa la Parola più bella, la Buona
Notizia che non richiama solo allo spettacolo, ma alla concretezza, a una vita quotidiana
vissuta nella gioia di essere protagonisti della vera letizia che non è solo
cabaret, della vera solidarietà che non è solo denuncia dell’ingiustizia, dell’impegno
reale che non è strapagato, ma paga in prima persona.
Le dieci parole
sono belle, ma il Logos è il più bello tra i figli dell’uomo. Non è la
legge che rende felici, è l’Amore, è l’Amato:
«la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai
visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha
rivelato (Gv 1,17-18).
Che spettacolo
quella Parola! È letteralmente divina… letteralmente adorabile!