In occasione dell'uscita del volume Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata, pubblichiamo questo dialogo tra Stefania Vertemati e l'autore Robert Cheaib.
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Stefania Vertemati: Come è maturata in te l’idea di scrivere “Alla presenza di Dio”?
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Stefania Vertemati: Come è maturata in te l’idea di scrivere “Alla presenza di Dio”?
Robert Cheaib: Faccio una premessa biografica: fino a non molto tempo fa,
mi ritenevo con convinzione una persona che non amava scrivere. Anzi, tuttora
non mi considero uno “scrittore” abituale. Scrivo quando mi sento letteralmente
perseguitato da una “concezione” da trasmettere. Tra concezione e concepimento
l’affinità non è solo di assonanza.
Sul come è maturata l’idea, mi ritrovo molto nell’esperienza
che descrive Alda Merini: «E così nascono i libri, nell' amore, e così nascono
i libri che nessuno legge mai, e così il libro prima di nascere Dio lo deposita
in te come una manciata di fango che diventa luce».
È un momento di ispirazione che arrivando non ti lascia mai tranquillo.
Senti l’esigenza di collaborare, quasi come il corpo di una donna che accoglie
un seme di vita e inizia tutta una mirabile trasformazione per nutrire,
custodire e dare corpo a questa vita.
S.V.: E quando è avvenuta questa “concezione”?
R.C.: Direi principalmente in due momenti. Il primo durante un
ritiro che stavo tenendo sulla figura di Abramo e lì ho sentito che la figura
del patriarca sarebbe potuta essere il paradigma a partire da cui riflettere su
alcuni elementi fondamentali della vita spirituale.
Il secondo momento risale a qualche settimana dopo quel
ritiro. Ero a messa nella Chiesa del Gesù e durante la messa è venuta spontaneamente
fuori la struttura del libro nei suoi capitoli. La mattina dopo, un’esperienza
speciale con mio figlio maggiore ha segnato l’avvio dell’incubazione e della
successiva stesura.
S.V.: Considerando il fatto che questa non è la tua prima opera
letteraria. Oltre a due libri personali – Itinerarium cordis in Deum e Un
Dio umano – hai contributo a varie opere collettive su vari argomenti, come
la inserisci nella tua personale produzione?
R.C.: C’è un filo conduttore nei miei vari contributi, anche
quelli collettivi: è la convinzione che la fede non è informazione, ma un
cammino di trasformazione in sinergia con la grazia del Padre in Cristo che non
manca a chi è aperto ad essa. Tutti i contributi sono sfumature e sfaccettature
di questa convinzione.
Tra le opere personali, il nuovo libro attinge a Itinerarium
cordis, la tesi di dottorato, in due momenti fondamentali: il discernimento
della volontà di Dio (prendendo la lezione di Maurice Blondel) e la lotta per
un senso nella vita, soprattutto quando la vita più che essere giusta è
giustiziera (attingendo alla ricca esperienza di Viktor Frankl, lo psicologo
che ha maturato la sua visione ad Auschwitz).
Per quanto riguarda il legame con il secondo libro, Un
Dio umano, il nuovo libro ne costituisce un prosieguo. Non che non sia
comprensibile senza il primo volume, ma sono pensati comunque come due sguardi complementari
al Mistero della fede e della vita cristiana.
Se Un Dio umano riflette maggiormente sul lato e il
dato oggettivo, ovvero, sul senso, la comprensibilità e la comunicabilità della
fede, Alla presenza di Dio riflette maggiormente sul lato soggettivo. È un
libro più “antropologico” e per così dire pratico. Il libro riflette su diverse
domande concrete.
S.V.: Un esempio delle domande che il libro tratta?
R.C.: Eccone alcune: Come discernere la volontà di Dio nel mio
quotidiano? Cos’è la preghiera e come si prega? Come si vive la preghiera
continua che Gesù raccomanda ai suoi discepoli? Come si vive concretamente il
comandamento dell’amore? Cosa viene prima l’amore di se stessi o l’amore
altruista? Dio tenta l’uomo? Perché Dio ci mette alla prova? Come posso trovare
un senso nella mia vita se ho sofferto e sto ancora soffrendo?
S.V.: Prima di iniziar a scrivere, presumo avrai avuto in mente
un’idea originaria da sviluppare; quel modello di base è rimasto invariato
durante la stesura del testo o ha subito variazioni significative?
R.C.: Ti ringrazio per questa domanda che mi riporta alla mente le
“visite” discrete del Signore che modifica un’opera e la trasforma. Ti
accennavo ai due momenti fondamentali nella genesi dell’opera e all’esperienza
che ho avuto con mio figlio che narro nel libro. Ebbene, quest’esperienza,
raccontata brevemente nel quinto capitolo, doveva essere l’epilogo “light” del
libro.
Ma proprio mentre scrivevo il quarto capitolo, ho ricevuto la confidenza
di una persona che ha terribilmente e lungamente sofferto nella vita. La
presenza di questa persona e il dialogo che è nato intorno alla sua storia
personale, mi ha fatto capire che non potevo scrivere un libro sulla “presenza
di Dio” senza considerare seriamente l’esperienza dell’assenza di Dio, l’esperienza
del male e della sofferenza. E così, quella pagina di epilogo è diventata un
capitolo, un capitolo denso, forse il più caro al mio cuore perché tra i più
sofferti.
S.V.: A quale pubblico è destinato il libro? E’ una lettura
accessibile ad ogni tipologia di lettore o necessita di competenze specifiche?
R.C.: È il secondo libro che scrivo pensando a un pubblico vasto.
Dal feedback ricevuto da tantissime persone sull’accessibilità di Un Dio
umano, posso dire che il libro è alla portata di tanti. Non mi sono lasciato
sedurre dal gerghismo teologico. Ad ogni modo, cerco di tenere uno spessore
culturale nella riflessione, convinto che la semplicità non è sinonimo di banalità.
Dio è semplice, ma non è banale!
Se devo proprio rivelare il mio “trucco”, dico che sia in Un
Dio umano sia in Alla presenza di Dio, cerco nel mio piccolo di imitare lo stile
giovanneo, ovvero presento una struttura semplice, con un lessico accessibile e
ordinario, ma con un rimando a una profondità percepibile da chi è abbastanza
iniziato e formato per coglierla. Dietro alle affermazioni semplici, ci sono
solide strutture che attingono alla preziosa e radicata tradizione dei teologi,
mistici e santi.
S.V.: Che consigli ti sentiresti di dare al lettore, su come
approcciarsi e leggere il libro?
R.C.: Gli ultimi due libri che ho scritto non sono libri da
leggere, ma da pregare. Non ci si ubriaca parlando di vino, bisogna bere. Non
si impara a nuotare leggendo libri sul nuoto, bisogna tuffarsi nell’acqua.
Così
anche questi libri, sono libri di esperienza e per l’esperienza. Sì, ci sono
tante nozioni, ma non sono il cuore del libro, il cuore è altrove, è nel
lettore stesso e nell’incontro che deve iniziare o approfondire con il Dio
presente.
Qui, mi piace condividere anche un episodio personale: il
secondo capitolo del libro è dedicato alla preghiera. Devo confessare che prima
di iniziare il capitolo avevo una vita di preghiera un po’ traballante e poco
costante. Mi è stato impossibile iniziare la redazione del capitolo (e non
parlo di giorni o settimane, ma di lunghi mesi) prima di aver riformato la mia
vita di preghiera. Ringrazio il Signore per la sua intransigenza! Non si può
parlare di preghiera documentandosi e per sentito dire!
S.V.: “Alla presenza di
Dio” è un testo che porta a riflettere, cosa ti auspichi che possa suscitare
nei cuori dei lettori?
R.C.: Non amo dare risposte preconfezionate. A me non mi hanno mai
soddisfatto. Nel libro mostro un itinerario fatto di assiduo lavoro. La fede
non è magia bianca, la fede è umile e costante lavoro quotidiano. Non voglio
che il libro susciti nel lettore un sapere vano o l’esclamazione “che bello”,
vorrei – con l’aiuto del “Più bello tra i figli dell’uomo” – che ogni lettore
si metta a collaborare ulteriormente a scolpire la bellezza del sogno di Dio in
lui e su di lui. È pretendere troppo? Direi che è il minimo sindacale per chi
non vuole scrivere per mestiere ma “sotto Chiamata”.
S.V.: Hai già qualche idea o progetto letterario per il futuro?
R.C.: Amo dirmi con le parole degli altri e per rispondere alla
tua domanda cito Etty Hillesum. Come lei, infatti, non sento di poter diventare
uno scrittore di professione perché – come lei - «vorrei che ogni parola che
possa capitarmi di scrivere fosse una nascita, realmente una nascita, che
nessuna fosse innaturale, che ogni parola fosse una necessità, altrimenti non
ha alcun senso»… Questo per dire: non faccio realmente progetti. Nondimeno, la
risposta alla tua domanda non è un secco “no”. Devo scrivere un piccolo
libricino sulla misericordia per l’editrice Tau. Sarà parte di una collana per
accompagnare l’anno giubilare della misericordia.
Dentro di me ci sono progetti che aspettano un Soffio deciso.
Un libro relativamente più accademico sull’ateismo dei mistici, un libro sull’esperienza
di Dio nel dolore, un romanzo di cui ho scritto qualche pagina ma adesso è
fermo da più di un anno sempre sul tema della malattia-sofferenza e Dio, un
libro sulla mistica trinitaria.
Infine, ci sono due opere che sono di fatto in fieri:
le risposte al volo (#rispostalvolo) a domande che mi pongono alcuni lettori
del sito theologhia.com e sto pensando anche di rendere disponibili anche
a chi non frequenta i social media. Lo stesso per i commenti di #pregolaParola.