«Noi non abbiamo mai visto il suo volto, non abbiamo mai sentito la sua voce. Non sappiamo come fosse il volto di Gesù del quale voglio ora parlavi» (17). Così Endo Shusaku apre il suo racconto Vita di Gesù riedito dalla Queriniana. Fa tenerezza quest’apertura perché contrasta con l’inizio della prima lettera di Giovanni: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,1-4).
Questo contrasto suscita tenerezza e suscita anche empatia e comunione perché anche noi abbiamo creduto senza aver visto.
Come spiega lo stesso a., il libro è stato scritto «a beneficio dei lettori giapponesi che non hanno una propria tradizione cristiana e che non conoscono pressoché nulla di Gesù». Ma questo pubblico si allarga per includerci perché fa sempre bene vedere quello che conosciamo con gli occhi di un altro per riconoscerlo meglio e per superare l’effetto del “già noto” che minaccia la nostra accoglienza della freschezza del vangelo.
L’a. non è teologo e non fa mistero del suo approccio a Gesù: «Ho solo sfiorato la superficie della vita umana di Gesù, niente di più». Non ci troviamo allora davanti a una cristologia dogmatica sviluppata, ma dinanzi al dispiegarsi del fenomeno Gesù con tutti gli interrogativi e le sfide che lancia quest’uomo che ogni volta lo si guarda nella sua umanità fa trapelare la sua divinità e ogni volta che ci si concentra sulla sua divinità, si è sorpresi per la sua umanità.
Troviamo in Shusaku una distinzione interessante tra «racconti di miracoli» (nei quali Gesù guarisce con un gesto eclatante e potente) e i «racconti delle consolazioni» (nei quali la figura di Gesù condivide i sentimenti delle persone che guarisce). Questa «debolezza di Gesù» esprime la forza del suo amore ed è ricorrente nel racconto di Gesù questo filone del «Gesù debole» perché la lettura che fa della passione non slitta rapidamente nel teologico. Il suo sguardo si ferma lì sulla croce, sulla passione dove Gesù è debole e questa debolezza è «il simbolo dell’amore, anzi l’amore stesso».
Diventare cristiani è imitare Cristo e per questo «significa impegnarsi ad essere ‘deboli’ su questa terra».
Il volto di Gesù che trapela da quest’opera è un volto materno, un volto che – come dice Tiziano Tosolini nella sua Prefazione – «la sensibilità religiosa giapponese riconosce immediatamente come amico e confidente perché pienamente coinvolto all’interno della finitudine umana».
Alcune intuizioni dell’a. fanno riflettere come ad esempio il Gesù che racconta le parabole. Scrive Shusaku: «Leggendo le parabole evangeliche vediamo chiaramente che Gesù conobbe per intima esperienza personale la povertà, le fatiche della vita e l’odore del sudore umano. Il fatto della donna che per tutta la casa cerca la moneta d’argento può essere accaduto nella sua propria casa. La donna che mette il lievito nei tre stadi di farina può essere stata sua madre Maria» (20).
La sottolineatura dell’umanità di Gesù non significa per l’a. precludersi la sua divinità. Per questo la risurrezione di Gesù non è interpretata con la facile soluzione semplicistica di una sopravvivenza della sua dottrina. Anzi, l’a. offre una riflessione che potrebbe dialogare benissimo con l’approccio storico di ricostruzione della figura del Gesù storico. «La risurrezione è un fatto storico? Oppure è un episodio simbolico per esprimere l’eterna vita del Cristo? Se riflettiamo su questo, dobbiamo innanzitutto pensare alla personalità dei discepoli che dichiarano di esserne stati testimoni. Come ho ripetuto molte volte, l’unica cosa che, quando leggiamo la Bibbia, rimane per noi un profondo enigma è come mai discepoli così deboli abbiano potuto trasformarsi, in breve tempo, in apostoli coraggiosi».
La debolezza di Gesù sottolineata lungo questa Vita di Gesù non è l’unica parola. La debolezza è quella del seme che contiene nel suo guscio il germe della fioritura, della risurrezione. È il Gesù che parla non solo alla sensibilità giapponese, ma alla sensibilità di ogni persona che sperimenta la debolezza e la forza di amare, come Gesù.
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