«È utile ritirarsi di quando in quando e osservare le cose da lontano. Il regno di Dio non solo è al di là dei nostri sforzi, ma è anche al di là delle nostre possibilità di comprensione. Durante la nostra vita facciamo soltanto una parte piccolissima di quella grande impresa che è l’opera di Dio». Queste parole di Oscar Romero potrebbero riassumere la fatica intrapresa da Christoph Bottigheimer nel suo libro Il messaggio di Gesù sul regno di Dio. Il centroperduto della fede cristiana, tradotto per i tipi della Queriniana nella collana Biblioteca di teologia contemporanea (n. 220). Lo sforzo intrapreso dall’autore con acuto senso critico se porta a qualcosa, porta a comprendere la vastità del concetto e la sua paradossalità (che non contraddittorietà).

Lungo le pagine del suo libro, Bottigheimer manifesta le riduzioni teologiche (e a volte ideologiche) a cui è stato sottoposto questo termine centrale e nucleare nella fede cristiana e nella predicazione gesuana e neotestamentaria. Ma andiamo per tappe.

L’a. spiega all’inizio che negli ultimi decenni le scienze bibliche e la teologia sistematica sono arrivate alla «conclusione unanime che il regno di Dio costituisce l’essenza della predicazione di Gesù. Il messaggio del regno di Dio non sta solo alla base della vita pubblica di Gesù, ma rappresenta anche il nucleo della fede cristiana».

Il libro si divide in quattro parti. Esso esplora il messaggio della basileia di Gesù. «Se ci si chiede quale sia stata la principale preoccupazione di Gesù, non vi può essere che una risposta sola: la basiléia tû theû». Bottigheimer percorre i testi del NT per esplorare questo concetto nelle sue tensioni tra presenza e attesa, già e non ancora, autobasileia e realtà da attendere. Nel seguito dell’esplorazione neotestamentaria, Bottigheimer si sofferma sulla questione del ritardo della parusía. Ed è a questa questione paradossale della «prossimità della basiléia» che è dedicata una importante parte del libro. La questione che sta al fondo della problematica è stata descritta in maniera efficace con la domanda del biblista Ludger Schenke: «Gesù definisce quello che sta succedendo nel presente a partire dal futuro atteso con sicurezza e ritenuto vicino (“regno di Dio”) oppure vuole lasciare aperta a un compimento futuro la “signoria di Dio” già presente?». Il nostro a. ripercorre le varie ipotesi interpretative delle incongruenze temporali tra prossimità della parusia e il suo ritardo passando per l’interpretazione che vede in questo dilatarsi nel tempo un’occasione di pentimento, o l’interpretazione che comprende la basiléia «come un evento che si realizza dinamicamente, comprendendo sia il presente sia il futuro».  La prospettiva che si apre è quella resa celebre da Oscar Cullmann, ovvero la tensione tra il già e non ancora che sembra essere il punto di arrivo (o di sosta) di diversi teologi. L’a. riassume questa fase della riflessione così: «Finora in teologia non si è riusciti a raggiungere un consenso sul rapporto tra le affermazioni relative al presente e quelle relative al futuro nella predicazione di Gesù. Ciò deve tanto più sorprendere perché riguarda il messaggio gesuano sul regno di Dio, che è il contenuto centrale della fede cristiana. Come è stato mostrato, non riesce a convincere né una relativizzazione della questione temporale né un’escatologia di genere puramente presente o futura. Spesso pertanto si adopera la dialettica del «già» e «non ancora», con cui si vede sempre più «nella presenza del regno di Dio il centro dell’annuncio di Gesù». Nondimeno, l’a. considera che nemmeno tale punto di relativo consenso costituisca una risposta soddisfacente perché «anche questa dialettica non di rado appare problematica, soprattutto quando viene pensata in senso quantitativo, oltre al fatto di trascurare la dimensione cosmica. Se si coinvolge la creazione non-umana risulta difficile parlare di un «già» del regno di Dio». Inoltre, ed è un’osservazione che ci pare molto pertinente, «Cristo non viene nel tempo e con il tempo, ma con lui viene la fine e la trasformazione di quel tempo irriducibile, intrecciato alla sofferenza e straziato dal male, un tempo che dopo non ci sarà più».

Se dovessimo tirare le somme di questo libro di Bottigheimer, possiamo certamente notare che è molto diverso da quelli precedenti. La sua dimensione analitica – sempre presente nei testi dell’a. – è molto più grande della parte propositiva. Il testo può essere un buon rifermento per vedere la problematicità della riflessione teologica (e soprattutto esegetica) sulla questione del regno di Dio. Tra l’altro l’a. la riassume così: «L’esegesi attuale è certamente concorde sul fatto che il messaggio sul regno di Dio era al centro della vita pubblica di Gesù, ma è anche vero che non c’è altro accordo al di là di questo». Ciò che manca al lettore è una proposta, un orientamento dello stesso autore, il quale sembra egli stesso cosciente, anzi, forse intenzionato a non proporre una sistematica teologica sul regno di Dio, ma piste riflessive. Verso la fine del suo testo, infatti, egli afferma: «La preoccupazione di questo libro è stata quella di sensibilizzare i lettori e le lettrici alle problematiche collegate al messaggio di Gesù sul regno di Dio e in tal modo rendere chiaro che il problema attuale della fede, forse più che un problema dei credenti, è un problema della fede stessa». E ancora: «Volutamente di volta in volta si è conclusa la trattazione delle diverse problematiche con le questioni aperte che le riguardavano, affinché ognuno possa esprimere la propria travagliata ricerca e suscitare una riflessione di approfondimento o di revisione personale».


Robert Cheaib
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