Poesie che cantano il cielo e incantano la
terra
La poesia giunge a trasmettere la pienezza del
suo slancio vitale quando sa coniugare all'incanto della terra il canto del
Cielo e viceversa. Pochi poeti del sacro sanno salire e scendere con destrezza
questa scala di Giacobbe come David Maria Turoldo. Ogni volo mistico nella sua
poesia è equilibrato dalla discesa kenotica verso gli abissi della storia,
verso la solitudine dell'uomo, verso la denuncia dell'indifferenza al Cristo
nel fratello emarginato.
«Il sapore del pane» è una raccolta di poesie
e testi del famoso poeta-mistico che si aggiunge al patrimonio della
«Biblioteca universale cristiana» di San Paolo Edizioni. In ogni pagina e ogni
strofa di questo libro si sente lo stile e la sensibilità di un uomo che sa
calibrare i voli mistici con gli inchini della penitenza e con la concretezza
della mano tesa dell'amore intrastorico. La potenza di queste poesie non nasce
tanto dal fascino delle parole e delle immagini quanto dalla convergenza tra
gli alti temi teologici e i comuni temi esistenziali.
Recuperare il sapore del pane, un sapore così
comune ma così straordinario è un'impresa difficile che richiede una continua
risurrezione dei sensi, una rinascita nello spirito a una rinnovata infanzia e
così il poeta prega:
«Restituiscimi all'infanzia, Signore, fa' che
ritorni fanciullo, al sapore vero delle cose, al gusto del pane e dell'acqua».
Ritornare all'infanzia è riscoprire lo stupore
che non sa stare indifferente ma che con gli occhi spalancati all'accoglienza
costituisce il distintivo dell'infante in un mondo di adulti anonimi e
standardizzati:
«Signore, salvami dall'indifferenza, da questa
anonimia di uomo adulto. È il male di cui soffriamo senza averne coscienza»
La riscoperta del gusto è una scoperta del
colore che irriga il mondo e che salva dalla monocromia, morbo degli spiriti
invecchiati:
«Signore, salvami dal colore grigio dell'uomo
adulto e fa' che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito».
Il ritorno all'infanzia visita anche i meandri
del sacro e spazza via la polvere dell'abitudine per scoprire la luce delle
cose, la Luce che non tramonta:
«Salvami dall'abitudine delle cose sacre e
fammi godere il miracolo della luce e quello dell'acqua viva che sgorga dalle
pietre; il miracolo delle primavere come quando, fanciullo, mi sorprendevo nei
campi uguale a un calice colmo di gioia per il dialogo amoroso con le piante e
i monti e gli uccelli».
Risvegliare i sensi al sapore del pane, se è
autentico, non può che essere anche un risveglio alle lacrime della terra. Così
in un'altra poesia Turoldo presta la sua voce e la sua parola ai poveri e si fa
denuncia:
«La più amara inondazione della terra
sono le lacrime della povera gente,
lacrime silenziose e segrete:
acqua e sangue che gonfiano i fiumi
di tutti i paesi».
Ascoltare il grido dei poveri e degli
oppressi, apportare salvezza è condizione per gustare realmente il pane che
altrimenti si avvelenerebbe con il siero dell'indifferenza:
«Non credo, terra, che fiorirai ancora
a lungo: troppe sono le lacrime
dei poveri, lacrime divenute
veleno di questi giardini,
e del pane e dell'acqua che beviamo».
Il ritmo che redime il gusto è chinarsi di
nuovo verso «fratel Nessuno», quell'emarginato, quel Lazzaro dimenticato alle
porte delle nostre chiusure, quella «antica immagine di Cristo sparpagliato in
ogni lembo di umanità, vessillo che ci manca».
In questo Cristo, «ragione di questo esistere,
folle bellezza», Pane spezzato per amore è possibile recuperare il sapore del
pane.
A ragione la Prefazione del libro che porta la
firma di Mons. Gianfranco Ravasi raccomanda questo libro come «un piccolo
breviario da tenere in mano quando si è nella penombra soffusa di una chiesa,
ma anche in treno, tra facce assonnate all'alba, quando si corre alla città del
lavoro o quando, a sera, si chiude la giornata e si prega...»
Robert Cheaib
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