Il
difficile rapporto tra i giovani e la fede
di
Robert
«Perché in Chiesa di giovani se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiali giovanili? Perché i ragazzi si dileguano dagli oratori appena diventano giovani?» Già queste domande iniziali rivelano il timbro e l’indubbio interesse del libro di Armando Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, edito da Rubbettino. L’autore, in una lettura acuta e con uno stile incantevole, guarda il disincanto della gioventù che perde con una velocità vertiginosa il contatto con il grande codice di senso della Bibbia e del cristianesimo.
«Perché in Chiesa di giovani se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiali giovanili? Perché i ragazzi si dileguano dagli oratori appena diventano giovani?» Già queste domande iniziali rivelano il timbro e l’indubbio interesse del libro di Armando Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, edito da Rubbettino. L’autore, in una lettura acuta e con uno stile incantevole, guarda il disincanto della gioventù che perde con una velocità vertiginosa il contatto con il grande codice di senso della Bibbia e del cristianesimo.
L’autore
denuncia l’atteggiamento contraddittorio della nostra società che parla di
continuo dei giovani e dei loro problemi continuando però ad accumulare
privilegi nelle mani degli adulti «persi nei loro riti e nei loro miti, ben
saldi ai loro posti di potere, incapaci ormai non solo di prendersi cura del
mondo giovanile ma più semplicemente di guardarlo in faccia». Questa sordità,
alla quale la Chiesa non è immune, genera nella gioventù una corrispondente
sordità, una situazione di «assenza di antenne» per ciò che la Chiesa è e
compie. L’incomprensione e l’emarginazione consegna i giovani – secondo
Galimberti – al temibile «ospite inquietante» del nichilismo.
Nel
primo capitolo l’autore dipinge con attenzione ed equilibrio il profilo della
prima generazione incredula la quale non si pone contro la Chiesa o la fede, ma
– con puerile disinteresse, per usare un’immagine nietzscheana – si
disinteressa altamente ed egregiamente di quanto la Chiesa possa offrire. È una
generazione che va al di là dell’antiteismo o l’anticlericalismo per
accomodarsi in uno spazio senza Dio (ateo nel senso strettamente etimologico
del termine) arredato dal una coscienza accuratamente e pacificamente secolarizzata.
L’apatia
e l’analfabetismo religioso delle giovani generazioni si deve a vari motivi tra
cui «l’anello mancante» della trasmissione della fede in famiglia. Il deficit
domestico della comunicazione della fede non può più essere colmato dalla
società postmoderna che ha assunto nuovi codici di lettura dell’esistenza umana
lontani – e ostili – alla lettura credente. Matteo analizza questi nuovi codici
passando al vaglio «momenti» significativi di mutamento della percezione
sociale e dell’autopercezione antropologica, come Darwin, Marx, Freud, Henry
Ford, Picasso, Kafka, i totalitarismi, Auschwitz, il ’68, il crollo del muro di
Berlino…
Il secondo capitolo dedica l’attenzione a una
lettura autocritica della realtà ecclesiale, specie quella italiana. L’autore
denuncia la scarsa recezione nell’ambito parrocchiale dell’interesse «macro»
della Chiesa verso i giovani. Le giornate mondiali della gioventù, le agorà
dei giovani e i documenti episcopali dedicati ai giovani trovano scarso seguito
nelle micro-realtà delle parrocchie. Le chiese si presentano più come «un luogo
specializzato per il mondo dell’infanzia», ma poco attrezzato per camminare
assieme ai ragazzi quando diventano giovani. Il sacramentalismo assoluto della
proposta di fede fa un doppio torto: sfigura, da un lato, l’immagine della
Chiesa riducendola a una sorta di «stazione di servizio dello spirito» alla
quale si ricorre per avere il sacro a facile-prezzo; dall’altro lato, rende la
realtà ecclesiale insignificante al di fuori del periodo delle vaccinazioni
sacramentali.
Dopo
l’analisi della situazione ecclesiale e la diagnosi dell’affinità/avversione
tra giovani e chiesa, Matteo si dedica ad analizzare il conflittuale rapporto
tra giovani e adulti. Un rapporto segnato da paradossali tentativi di osmosi,
dove la generazione adulta vuole accaparrarsi l’elisir della giovinezza e
realizzare il sogno del forever young, ma allo stesso tempo nutre una
serpeggiante invidia verso le giovani generazioni. Un’invidia che si
concretizza nell’ostinato tentativo di tenere i giovani in uno stato di «minorità»,
minando continuamente le loro possibilità di inserimento e realizzazione
sociale e politica.
Dato
che il rapporto intergenerazionale è la cartina di tornasole della salute di
una collettività, diventa urgente e inderogabile l’impegno per instaurare una
rinnovata alleanza tra giovani e adulti. In questo contesto, l’autore invita questi
ultimi a una coraggiosa conversione, quella di «smettere di fissare come
Narciso la nostra bellezza di plastica per scorgere il volto ferito dei nostri
giovani, lasciandoci afferrare da un sussulto di amore per essi».
Il
quarto capitolo del libro del teologo calabrese costituisce la proposta
operativa e stilistica per affrontare l’emergenza «giovani». L’autore prende
spunto dalla «duplice giovinezza della fede cristiana». La fede
cristiana è relativamente una fede giovane sulla scena mondiale; d’altro canto,
essa è un’esperienza giovane, in quanto ha saputo sempre declinarsi come
lievito in varie forme di presenza storica. Matteo è convinto che la prima
generazione incredula ha qualcosa da comunicare e da insegnare alla comunità
credente. D’altronde, nel confronto con le varie urgenze, la Chiesa è uscita
sempre più sensibile e più saggia.
All’attuale
generazione di giovani, la Chiesa è chiamata a imparare nuovi modi per iniziare
alla compagnia di Gesù. Essa deve fissare e insegnare a guardare il volto di
quel Gesù «che non sbaglia mai colpo nello stigmatizzare ciò che appesantisce e
abbruttisce l’esperienza umana e nell’indicare ciò che invece la alleggerisce e
la destina alla sua originaria bellezza».
L’appello
è quello di riscoprire e far scoprire ai giovani in modo rinnovato «la
grammatica delle fede» che si declina come un genitivo dell’amore di Dio
(l’amore con cui Dio ci ama, e che è nostra risposta in secondo luogo) e del
prossimo; la fede che è una scuola di libertà, proprio quella libertà che i
giovani postmoderni, colpiti da una «generale fragilità nell’esecuzione» non riescono
ad esercitare appieno.
La
proposta dell’autore, in sintesi, è quella di una riscoperta dell’essenziale e
della gerarchia delle priorità del messaggio cristiano, una riscoperta
suggerita dalla simpatica immagine del «mettersi a dieta» per una stagione: la
stagione attuale che si presenta comunque come un tempo propizio, un kairos,
per annunciare il Vangelo. L’attuale kairos invita i cristiani a un
cambio di vedute, al passaggio da un modello cronologico scandito dai riti a un
modello kairologico costellato da iniziative personalizzate (e
personalizzabili), affinché ogni persona – ogni giovane – possa sentirsi
familiare e contemporaneo del volto di Dio.
In
conclusione, il libro di don Armando Matteo è un affresco realista che si fa
proposta e prospettiva non nell’ingenuità utopistica ma attingendo
all’immanente genio del cristianesimo, sempre da riscoprire. L’opera è impreziosita
da un accostamento multidisciplinare che evita le letture facili e spicciole.
Il prospettivismo giostrato con maestria dall’autore permette ai lettori di
percepire la complessità e la polivalenza del quadro che accomuna i giovani e
la fede. Matteo, infatti, è assistente nazionale della FUCI (Federazione
Universitaria Cattolica Italiana) e la sua esperienza lo mette in una
situazione privilegiata per guardare il panorama giovanile con le sue gioie e
speranze, tristezze e angosce. Il suo libro è un intelligente vademecum
per imparare a raccogliere e interpretare il grido di speranza dei giovani.
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