Questioni fondamentali della spiritualità cristiana
Robert Cheaib
Tanti cristiani
fanno difficoltà a capire il nesso sussistente tra i dogmi – che paiono tanto
astratti e cervellotici – e la loro vita, la loro spiritualità. Mancando di
strumenti per venire a capo di questa scissione, non pochi rinunciano a
pensarci, dedicandosi con tanta buona fede alle buone opere e lasciando la
«fede buona» rilegata nell’astratto di un «credo» fatto di parole difficili e
dissuete. Da qui nascono divorzi illegittimi denunciati da luminari come ad
esempio H.U. von Balthasar (che mette in luce il doloroso divorzio tra teologia
e santità) e V. Lossky (che parla del divorzio tra dogma e mistica)… per menzionare
solo due nomi di spicco.
Vladimir Lossky, teologo russo della diaspora francese del
XX secolo, rinfresca le nostre idee riguardo alla vera natura dei dogmi. Egli
osserva che in fondo ogni teologia – quale riflessione sul dato dogmatico – è
mistica perché manifesta e mette in contatto vivo con il Mistero divino e con i
dati della Rivelazione. Il dogma – in altri termini – è la linfa vitale che fa
sì che la spiritualità non sia (mi sia permessa l’espressione) aria fritta, ma
che abbia un fondamento nella Realtà. Scrive Lossky: «Il dogma che esprime una
verità rivelata e ci appare come un mistero insondabile, deve essere da noi
vissuto in un processo, nel corso del quale occorrerà che noi, anziché
assimilare il mistero al nostro modo d’intendere, attendiamo ad un mutamento
profondo, ad una trasformazione interiore del nostro spirito, al fine di
divenire adatti all’esperienza mistica». La teologia non è possibile senza la
mistica e la mistica è infondata senza la teologia.
È proprio il nesso tra dogma e spiritualità, ovvero, tra
teologia e spiritualità vissuta, ciò che rende alquanto prezioso il libro «Vivereil mondo» del grande teologo Gisbert Greshake. Pubblicato nella collana«Giornale di teologia» dell’Editrice Queriniana, il libro del teologo tedesco –
come spiega anche il sottotitolo – cerca di trattare con semplicità, ma non di
meno con spessore e profondità «Questioni fondamentali della spiritualità
cristiana».
L’autore riporta la spiritualità al suo alveo
originario. Essa non si riduce ad alcuni pensierini guida che conducono
un’esistenza con un tono meno indecente del freddo materialismo pragmatico; la
spiritualità, nella sua essenza, è una vita «nello Spirito». Essa è opera dello
Spirito Santo che genera nell’uomo la vera e propria spiritualitas. In
questa linea, l’autore ripercorre otto piste dove la vita spirituale fiorisce o
si trova confrontata e sfidata. Elencheremo queste piste dedicandoci in seguito
a uno sguardo un po’ più approfondito su una di esse.
Il primo capitolo si apre con una riflessione
teologico-spirituale sulla domanda del senso. La risposta a tale domanda apre
inevitabilmente la breccia verso una riflessione sul dato biblico dell’uomo
immagine di Dio chiamato a rispondere a una chiamata di Dio (cap. 2). La
domanda di senso, che non si pone in astratto, è attraversata e inverata nel
quotidiano, nel ritmo della ferialità e della festa (capp. 3-4). I ritmi del
quotidiano diventano essi stessi una domanda su come trovare Dio concretamente
nella propria vita e nel mondo (cap. 5) senza eludere la domanda inevitabile
della morte “sicura” e della speranza (capp. 6-7). Il capitolo finale si pone
la domanda che qualifica ogni vero rapporto religioso, la domanda su ciò che
Greshake definisce come «il centro intimo» della vita cristiana: la preghiera
rivolta al Dio unitrino (cap. 8).
Dopo questa brevissima panoramica sul contenuto del libro e
per avere un tocco più ravvicinato del tenore del libro, guardiamo con maggiore
attenzione la domanda che innesca questo processo vitale e riflessivo: la
domanda di senso.
Il senso o il suicidio
Albert Camus, nel suo Il mito di Sisifo radicalizza
la domanda principale della filosofia in questi termini: «Vi è solamente un
problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita
valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito
fondamentale della filosofia… Giudico dunque che quella del senso della vita è
la più urgente delle domande». Camus si pone agli antipodi della lettura
freudiana che vede nella domanda del senso un sintomo di nevrosi e di malattia,
come si distanzia nettamente dall’edonismo dominante che accantona le domande
essenziali e le annacqua nella pseudo-filosofia del carpe diem, have
fun. Quest’ultimo modo di vedere giunge rapidamente al suo scacco quando la
vita non procura più il divertimento desiderato e si trova davanti allo
specchio crudele che le rivela senza maschere il suo vuoto. Testimoni di questo
cortocirciuto sono i «gaudenti scontenti» che attestano che il divertimento
spensierato non è una prospettiva sufficiente che acquieta la sete di senso che
alberga nel cuore umano.
Con termini simili a quelli di Camus, ma con sfumature
diverse, il rabbino Abraham Joshua Heschel, deportato su un carro bestiame dai
nazisti in Polonia formula così la questione: «Esiste un solo problema reale e
serio, quello del martirio. Si tratta della questione: c’è qualcosa di talmente
valido che valga la pena di vivere per esso, qualcosa di abbastanza grande per
cui valga la pena morire? Possiamo vivere la verità soltanto se abbiamo anche
la forza di morire per essa».
L’uomo non può eludere la domanda di senso e pretendere di
continuare a vivere una vita umana. È che la domanda strettamente umana del
senso si apre alla domanda religiosa, alla domanda su Dio. Spesso, però, la
risposta religiosa - «Dio è il senso ultimo» – si presenta come «una specie di
risposta killer» che seppellisce le domande penultime con l’imponenza indiscreta
della domanda ultima. Greshake si mostra sensibile alle domande e alle
obiezioni di chi non vuole fare di Dio la risposta di senso per partito preso,
ma con convinzione. E si pone le varie domande che fanno da corredo alla
domanda di Dio-senso: a che serve il tempo della mia vita trascorso qui, per
che cosa vivo propriamente qui e oggi? L’autore è infatti convito che: «Anche
se Dio è il senso assoluto dell’essere umano e la comunione con lui è l’ultima
finalità dell’esistenza umana, rimane da domandarsi: perché allora la
“deviazione” attraverso la temporalità, la storicità, la mondanità
dell’esistenza umana? Detto con molta semplicità e religiosità: perché Dio non
ci ha creati direttamente in paradiso, nella pienezza assoluta di senso?».
La Trinità e il senso della vita
Con destrezza e senso per l’umano e il sacro, l’autore si
muove tra le coordinate della risposta mettendo in scena la teologia trinitaria
(a proposito di ricongiungimento tra teologia e spiritualità) l’ecclesiologia,
il matrimonio, la grazia, il peccato... Così Greshake osserva che parlare di
Dio per i cristiani non può prescindere dalla realtà del Dio rivelato da Gesù
Cristo: il Dio unitrino. Pertanto, dire che Dio è l’adempimento assoluto del
senso della vita è Dio significa, nella prospettiva cristiana, parlare della communio
come dimensione realizzatrice del senso; significa anche dire che l’uomo –
fatto a immagine e somiglianza di Dio – realizza il senso della propria vita se
si lascia modellare secondo l’immagine comunionale della Trinità.
La vita intratrinitaria non è soltanto «una specie di teatro
pedagogico» affinché possiamo sapere cosa fare della nostra vita. La Trinità –
nell’economia della salvezza – invita l’uomo a entrare a fare parte di questa
comunità-comunione dove la pienezza di senso è la relazione e l’unità.
Così si capisce anche che la vita dell’uomo su questa terra
è lo spazio necessario per la libertà dell’uomo affinché si apra liberamente a
partecipare dell’amore-vita della Trinità. Questo spazio di libertà è garante
del fatto che la nostra partecipazione alla vita di Dio non sarà da marionette
smidollate, ma piuttosto da figli e persone che hanno potuto collaborare
liberamente «cioè in virtù della loro propria essenza originaria, alla
attuazione di tale vita e sono diventati così ancora una volta più simili al
Dio che è, per sua essenza, comunione».
La libertà dell’amore che emana dalla Trinità fa sì che
l’uomo non sia soltanto il medicante che riceve il dono dal Dio-donatore, ma il
partner responsabilizzato a cui Dio «dà da fare» affinché la sua
risposta sia una risposta personale, libera e concreta d’amore.
La considerazione del teologo continua ad allargarsi per
includere i vari elementi che entrano in gioco in questo processo di
coordinazione tra il libero dono della Trinità e la libera risposta dell’uomo imago
Trinitatis.
In conclusione, il libro di Greshake si presenta come una
lettura dotta e nutriente delle questioni che ogni persona e ogni cristiano si
pone implicitamente. Il teologo – ormai quasi ottantenne – mette tra le nostre
mani il connubio tra saggezza vitale e cultura teologica per permetterci di
vedere uno stile affascinante e convincente di «vivere nel mondo».