Un contatto diretto con il celebre avversario di sant'Agostino
di Robert Cheaib
La lettera ai romani di san
Paolo è una delle opere più importanti per il
pensiero teologico cristiano. Se considerata dal punto di vista della storia
degli effetti (Wirkungsgeschichte),
essa rivela una stupefacente influenza su diversi aspetti - spesso scottanti e
contrastanti - del Mistero cristiano. Numerose nozioni e dottrine teologiche di
insigni maestri e dottori trovano in questa lettera scaturigine,
giustificazione e conferma.
Nell'epistola ai romani, ad esempio, sant'Agostino
d'Ippona trovò l'ossatura biblica della dottrina del peccato originale (cap.
5). Da essa, Lutero evinse la sua teoria della giustificazione per la sola
fide (cap. 3-4). Un'altro riformatore, Giovanni Calvino, vi scorse l'humus per la sua dottrina della doppia
predestinazione (cap. 9-11). Non a caso la lettera è stata sempre oggetto di
commentari e studi da parte dei più importanti pensatori cristiani cominciando da
Origene, passando per Agostino, l'Ambrosiaster, Lutero, Karl Barth... per elencare
soltanto alcuni nomi. L'editrice Città Nuova arricchisce il panorama dei
commentari sull'epistola ai romani con una traduzione del Commento di Pelagio,
il celebre avversario di Agostino. Il recente volume della «Collana di testi
patristici» (vol. 221) raggruppa,
infatti, due opere importanti del monaco bretone: «Commento all'epistola ai
romani» e «Commento alle epistole ai corinzi».
I Commenti di Pelagio rivestono un significato
particolare perché ci permettono di considerare alcuni aspetti del pensiero
dell'autore prima della polemica con Agostino. Il volume è una preziosa risorsa
per chi vuole conoscere la visione di Pelagio attraverso un contatto diretto, e
non tramite il filtro delle opere di Agostino e il setaccio non imparziale della
polemica.
I due commenti riportati in questa traduzione fanno parte
dell'opera più estesa di Pelagio, le «Expositiones XIII epistularum Pauli»,
composte nel periodo tra il 406 e il 409, e in cui l'autore commenta tutto il
corpo paolino, ad esclusione della lettera agli ebrei considerata da lui come
autentica di san Paolo.
Il pregio di questi commenti pre-polemici è duplice: essi
mostrano un pensiero ancora caratterizzato da grande fluidità, non incastonato
nelle rigidi distinzioni e posizioni della polemica. D'altro canto, i commenti
ci conducono alle origini stesse del pensiero di Pelagio.
Il testo edito da Città Nuova è corredato da una preziosa
introduzione di Sara Matteoli in cui si inquadrano sia la figura di Pelagio sia
i commenti alle tre lettere. La Matteoli evidenzia anche i punti salienti dei
Commenti di Pelagio sviluppandone in particolare quattro:
1-
La distinzione tra lex naturae attraverso la quale
l’uomo può conoscere per analogia che esiste Dio e che Dio è giusto, la lex
litterae, ovvero la legge divina data a Mosè, e la lex fidei,
che sola è capace di salvare l’uomo e di liberarlo dalla morte.
2-
Le conseguenze del peccato di Adamo e il problema della
grazia divina, dove l’autore sembra rifiutare il «traducianesimo», ovvero la
trasmissione della colpa ai discendenti, e assume un’interpretazione solo
esemplare della colpa di Adamo, in quanto Adamo si erge come modello negativo
ai suoi discendenti. A differenza di Adamo, - per Pelagio - Cristo ha offerto
un exemplum oboedientiae che indica agli uomini la via della salvezza.
3-
Prescienza divina e libero arbitrio. L’autore dedica un’attenzione
particolare alle questioni sollevate da Rm 9, dove sembra che Dio predestini
alcuni alla salvezza e altri alla dannazione a prescindere dal libero arbitrio dell’uomo
singolo. Pelagio supera tale difficoltà mostrando la coincidenza in Dio tra
predestinazione e prescienza; così, ad esempio, «Dio ha preferito Giacobbe ad
Esaù perché nella sua prescienza ha potuto vedere in suoi meriti futuri; in
questo modo la scelta di Dio non è arbitraria, ma si basa sulla fede dei
singoli, che egli nella sua onniscienza, è in grado di prevedere».
4-
Essendo i commenti rivolti all’aristocrazia romana in cerca di approfondire
la scienza e la prassi della fede, i commenti di Pelagio sono ricchi di
esortazioni parenetiche. Il testo è attraversato da varie riflessioni sui
problemi morali e sulla condotta che i cristiani devono conservare nel mondo.
In conclusione, questi commenti, scritti tra l’altro in un linguaggio
accessibile e conciso, sono di doppio interesse: il primo è quello del cultore
della letteratura cristiana antica che può confrontare le tematiche pelagiane
prima ancora del loro irrigidimento polemico; il secondo è quello di un
confronto con un pensatore cristiano zelante intento a mostrare la bellezza
dell’essere seguaci e imitatori di Cristo; un uomo attraversato dall’ansia di
annunciare Cristo giacché – come scrive il nostro autore - «tu rubi agli uomini
Cristo, tenendolo loro nascosto».