La nuova evangelizzazione (=NE) non può nutrirsi
solo di nuovi slogan e di indisciplinato ed effervescente zelo. Il pathos
isolato dello zelo non va tanto lontano, e la novità della sua
evangelizzazione presto cede il passo alla fatica, alla delusione, alla noia.
Lo zelo, segno di buona volontà, deve essere congiunto a un metodo, una
riflessione intelligente e sensibile, un ascolto attento delle attese dell’uomo
e una rivisitazione saggia, profonda e rinnovata dell’approccio evangelizzatore
del Chiesa, affinché la NE non sia solo «decorativa, a somiglianza di vernice
superficiale», ma punti – come già auspicava con chiaroveggenza Paolo VI – a
evangelizzare «in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e
le culture dell’uomo».
È qui che si colloca l’interessante libro di Carmelo
Dotolo e di Luciano Meddi, Evangelizzare la vita cristiana. Teologia e
pratiche di nuova evangelizzazione. Nel libro pubblicato dalla Cittadella
Editrice i due autori riflettono rispettivamente sul metodo e sulle pratiche
della NE.
Teologia, evangelizzazione e cultura
Nella prima parte del libro, «Teologia,
evangelizzazione, cultura. Riflessioni di metodo», Carmelo Dotolo evidenzia il
nesso sussistente tra teologia, cultura ed evangelizzazione. L’evangelizzazione
è chiamata a percorrere vie di auditus e di simpatia verso la fatica
dell’umanità in cammino e in fuga dalla propria umanizzazione. Il discorso
focalizza l’attenzione sulla «qualità» dell’esperienza credente puntando
innanzitutto a un dialogo interculturale con una finalità doppia:
«evangelizzare la cultura e inculturare il vangelo» (Giovanni Paolo II).
Dotolo segnala la «decisività del metodo per una
corretta interconnessione tra sapere teologico e stili di evangelizzazione».
Egli invita anche a un attento ascolto delle istanze di cultura contemporanea
per rendere reale e sostenibile il dialogo. Ci sono infatti «scenari nuovi» che
interpellano la qualità dell’annuncio della fede ai quali non è possibile
rimanere indifferenti. L’uomo e la sua storia non sono marginali nel processo
di evangelizzazione ma sono «il luogo ermeneutico per una comprensione più
autentica dell’originalità del Vangelo» (28). Per questo motivo, la NE deve
avere l’ansia di ricreare il tessuto umano, terreno indispensabile per
l’innesto della fede.
Per il nostro autore, il processo di NE deve
attestarsi intorno a un paradigma preciso, attorno a cui far convergere la
proposta cristiana. Questo paradigma è Gesù Cristo: «La progressiva
comprensione dell’identità cristiana, modulata sul paradigma di Gesù, ha
qualificato la predicazione cristiana dei primi tempi, non solo nella
prospettiva di una costruzione dottrinale e istituzionale, ma anche nel
contributo dato all’elaborazione di una visione della vita e del mondo
culturalmente innovativa, tanto da provocare reazioni oscillanti tra
l’incomprensione e il fascino» (32-33).
Differenza qualitativa
Dotolo avverte comunque che la prossimità del Vangelo
alla cultura non deve oscurare «la spiazzante estraneità» della logica
evangelica rispetto alla logica del mondo. È solo in questa tensione di
inculturazione e giudizio profetico che si conserva la «differenza
qualitativa» del Vangelo e permette che sia una sorgente fecondo nel cuore
della cultura.
Il paradigma Gesù richiama una Chiesa che non si
dimentichi della sua tensione verso il Regno, una Chiesa che si comprende come
realtà penultima che mantiene, nella logica escatologica, una musicale tensione
critico-cristico-profetica. Anche in stati di minoranza, è un appello ad essere
minoranza qualitativa che sa porre segni credibili, affascinanti, in relazione
all’obiettivo centrale.
La NE non deve chiudersi alle sfide attuali tra cui
primeggiano: l’esigenza del dialogo interculturale, lo stile ecumenico e
l’incontro interreligioso, una spiritualità che coltivi l’umanità, una
responsabilità creativa per l’ambiente e la passione di una trasformazione.
La proposta di Dotolo si chiude segnalando un semplice
ma importante «problema di stile» puntualizzato da Severino Dianich: «solo una
fede umile è capace di evangelizzare».
Solo una comunità evangelizzata può evangelizzare
Nella seconda parte, «Compiti e pratiche di nuova
evangelizzazione», Luciano Meddi si impegna a individuare dinamiche e percorsi
opportuni di una corretta pratica della NE. La NE si configura come una questione
di «qualità formativa della comunità» (82).
Uno dei primi impegni della pratica della NE è quello
della riforma interna della comunità ecclesiale. Solo una comunità
evangelizzata può evangelizzare. «il compito missionario della Chiesa è legato
alla qualità di vita della comunità per cui la NE consiste nel sostenere la
fede degli adulti introducendo pastorali centrate su un nuovo equilibrio tra
trasmissione e interiorizzazione» (83).
Praticare la NE richiede vari compiti e processi
necessari tra cui: rinnovare la comunicazione del messaggio, imparare ad
accompagnare il cammino di fede, entrare in relazione con le persone, costruire
luoghi di condivisione della fede, pensare la pastorale come formazione.
Seguono anche tre grandi impegni pastorali: edificare
comunità missionarie; seminare: narrare e raccontarsi di nuovo la fede;
radicare: far crescere la statura di Cristo.
Oltre il formalismo religioso
La NE deve andare oltre l’abbaglio di sembianza e
semantica religiosa che si trova ancora in alcuni paesi come l’Italia dove
esiste tuttora una sostanziosa presenza del gergo religioso, il quale, però,
non tocca l’intimo dell’esperienza personale ma è residuo di un «formalismo
religioso» a sua volta frutto di una formazione inadeguata.
Non bisogna cedere neppure all’abbaglio della domanda
di sacramento che raramente è accompagnata dalla volontà di conversione e
di sequela. È significativo che Luciano Meddi, analizzando questo fenomeno, evidenzi
che non è dovuto alla mancanza di istruzione o dottrina ma, esattamente al
contrario, è dovuto a «una predicazione e catechesi solo centrata sulla
dottrina. Una pastorale non impegnata a costruire il ponte tra messaggio e vita
porta il credente a conservare la dottrina ma in modo formale, separata dalla
vita» (93).
L’appello del teologo allora è quello di superare il
paradigma che ha dominato finora, quello di «una pastorale della
socializzazione religiosa (o catecumenato sociale)» per rispondere a una
urgente esigenza del nostro tempo, ovvero, «una pastorale per la conversione,
maturità di fede e formazione della competenza cristiana della vita» (94).
In altri termini, il compito principale della NE è
superare la frattura tra esperienza religiosa ed esperienza quotidiana e
sostenere il passaggio tra annuncio e conversione. Passaggio che avviene solo
dentro la persona, nel suo coinvolgersi personalmente nell’esperienza credente.
Un rinnovato progetto pastorale
La crisi del cristianesimo è una crisi formativa. A
tale crisi non si risponde con un aumento quantitativo dell’attuale proposta
che mostra segni di cedimento, ma nel ripensare qualitativamente e
stilisticamente la prassi pastorale. Con schiettezza Meddi nota che «il
problema della pastorale con gli adulti non è l’assenza della domanda ma la sconcertante
situazione di assenza di risposta adeguata e ancora di più che la qualità
della proposta formativa è talmente bassa e carente che nella maggior parte dei
casi l’incontro dell’adulto con le comunità produce un allontanamento ancora
più profondo» (147).
Il richiamo allora non è quello di limitarsi a
interventi settoriali ma di puntare a una vero e proprio rinnovamento del
progetto pastorale parrocchiale, diocesano ed ecclesiale che sappia presentare
adeguatamente ai pellegrini del sacro tutta l’attrattiva di Gesù.
Robert Cheaib
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