di Robert Cheaib
Di opere su temi teologici specifici dei Padri ce ne sono
tante. Ciò che distingue l’opera di Fiedrowicz è l’impresa coraggiosa e
ambiziosa di mostrarci l’idea di teologia stessa che i Padri avevano in mente.
Il sottotitolo dell’opera, infatti, recita così: «Fondamenti dell’antica
riflessione cristiana sulla fede». I Padri ebbero il delicato e oneroso compito
di tradurre il messaggio evangelico ai loro contemporanei, facendo da
battistrada in campi concettuali inesplorati fino ad allora, mostrando le
ragioni della speranza a culture non ancora abituate alle categorie del
messaggio cristiano e allo «stile» del Dio di Gesù Cristo. Per cui, il volume
ripercorre i loci theologici dei Padri ed evidenzia il loro metodo e la
loro impostazione sistematica.
Parlare di «teologia dei Padri» al singolare potrebbe
sembrare una forzatura ingenua e semplicistica. Come potrebbero, infatti,
persone che appartenevano a diverse generazioni e a varie aree geografiche e
culturali avere un approccio unificato e uno sguardo sinottico? L’autore non si
lascia andare a una pregiudiziale e acritica omogeneizzazione. Egli si dedica,
piuttosto, attraverso un ricco ricorso alle fonti patristiche a mostrare come –
nella varietà dei contesti, delle problematiche e degli accenti – i grandi Padri hanno avuto un’idea
convergente sui fondamenti della nostra fede.
In questo modo l’autore ripercorre nove pilastri che
distinguono questo stile teologico patristico, partendo dalla questione per
niente scontata: «La legittimità di una riflessione sulla fede», ove mostra il
passaggio non facile dalla simplicitas fidei all’esigenza di una cogitatio
fidei proprio per tutelare la purezza e la rettitudine della fede dalle
complicazioni e contaminazioni concettuali delle eresie.
Il secondo pilastro è costituito dal «principio di Tradizione»
già evidenziato da Ireneo di Lione nella sua lotta contro le dottrine estranee
degli gnostici: «La nostra è la retta fede, perché trae origine
dall’insegnamento e dalle tradizione dei Padri e perché trova la sua conferma
nel Nuovo e nell’Antico Testamento». Il punto di forza dei Padri viene dal
fatto di essersi agganciati tenacemente «alla parola trasmessa fin da
principio», alla traditio/parádosis del «deposito» di fede.
Il terzo pilastro è «il criterio della Scrittura» letta
nella Chiesa secondo la «regula fidei» e l’ortodossa professione di fede
(le quali costituiscono il quarto pilastro). L’autore spiega i principi
ermeneutici che hanno distinto la lettura spirituale della Scrittura e i
diversi sensi da essi cercati nel testo sacro in seno alla Chiesa, con essa e
per essa. La lettura della Bibbia fatta nella Chiesa permise ai Padri di
superare l’aporia della mera interpretazione simbolica – nel senso debole del
termine – della Scrittura. Il «canone della fede» ha arricchito la lettura
patristica con una preziosa chiave di lettura e valida pietra di paragone: «La
verità tramandata e accolta, che il ministero ecclesiastico deve conservare e
che non ha bisogno di creare».
Il quinto pilastro del teologare patristico è la «liturgia»
ecclesiale quale esplicazione vitale comunitaria della tradizione apostolica.
La liturgia non era soltanto il luogo privilegiato per spezzare la parola della
fede, ma anche il correlato dialettico della formulazione e la crescita della
stessa, seguendo il celebre principio «ut legem credendi lex statuat
supplicandi» (affinché la regola del pregare stabilisca la maniera del
credere).
Il sesto pilastro è quello del richiamo ai Padri stessi, è
il cosiddetto «argomento dei Padri» cristallizzato dal Commonitorium di
Vincenzo di Lerino: «è veramente e propriamente cattolico ciò che fu creduto in
ogni luogo, sempre, da tutti».
Il settimo è il criterio dei «Concili» i quali si
concepirono come «i portatori del consenso della Chiesa». I concili servivano
come criterio sincronico e diacronico della retta fede e come istanza
definitoria della stessa.
L’ottavo punto nodale è dedicato allo «sviluppo dottrinale»,
un elemento fondamentale con il quale i Padri hanno dovuto fare i conti. Il
compito della custodia autentica della tradizione non poteva ridursi a qualcosa
di statico; non poteva consistere nella mera ripetizione semplicistica
dell’insegnamento degli apostoli. La domanda che si poneva era: com’è possibile
portare avanti il necessario sviluppo dogmatico senza contaminare la dottrina
degli apostoli? È questa domanda che guida l’ottavo capitolo del volume e che
costituisce il terreno del discernimento posto dal nono capitolo sul
discernimento tra «ortodossia ed eresia».
In sintesi, il libro di Fiedrowicz si pone come un dotto e
competente approccio ai fondamenti e al metodo teologico dei Padri.
L’esposizione – pur rispettando la complessità della tematica e pur abbondando
di riferimenti – è chiara, lineare e di piacevole lettura. Siamo dinanzi a
un’opera preziosa non solo per lo studio teologico, ma anche per una lettura
personale ricchissima che apre gli occhi a quel privilegiato locus
theologicus che sono i Padri.
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