di Robert Cheaib
I Padri – riscoperti con grande vigore dal Ressourcement
del XX secolo, e reintegrati felicemente e fecondamente nella teologia
conciliare grazie a grandi studiosi come Henri de Lubac, Yves Congar, Jean
Daniélou, Hugo Rahner – sono di grande attualità. Di quest’ultima sono
testimoni le collane di studi e di testi patristici che fioriscono in Italia, oltre
ai tanti convegni (anche recenti), senza dimenticare le accurate catechesi che
Benedetto XVI ha dedicato ai Padri negli scorsi anni. La fede cristiana, in
fondo, se è giunta a noi così, e si è giunta a noi tout court, è grazie
ai Padri. Il «tratto distintivo» della nostra fede – la fede che nella pienezza
dei tempi, il Lógos divino si fede carne – ci è arrivato, secondo
l’espressione di sant’Atanasio «dagli apostoli attraverso i Padri».
Di opere su temi teologici specifici dei Padri ce ne sono
tante. Ciò che distingue l’opera di Fiedrowicz è l’impresa coraggiosa e
ambiziosa di mostrarci l’idea di teologia stessa che i Padri avevano in mente.
Il sottotitolo dell’opera, infatti, recita così: «Fondamenti dell’antica
riflessione cristiana sulla fede». I Padri ebbero il delicato e oneroso compito
di tradurre il messaggio evangelico ai loro contemporanei, facendo da
battistrada in campi concettuali inesplorati fino ad allora, mostrando le
ragioni della speranza a culture non ancora abituate alle categorie del
messaggio cristiano e allo «stile» del Dio di Gesù Cristo. Per cui, il volume
ripercorre i loci theologici dei Padri ed evidenzia il loro metodo e la
loro impostazione sistematica.
Parlare di «teologia dei Padri» al singolare potrebbe
sembrare una forzatura ingenua e semplicistica. Come potrebbero, infatti,
persone che appartenevano a diverse generazioni e a varie aree geografiche e
culturali avere un approccio unificato e uno sguardo sinottico? L’autore non si
lascia andare a una pregiudiziale e acritica omogeneizzazione. Egli si dedica,
piuttosto, attraverso un ricco ricorso alle fonti patristiche a mostrare come –
nella varietà dei contesti, delle problematiche e degli accenti – i grandi Padri hanno avuto un’idea
convergente sui fondamenti della nostra fede.
In questo modo l’autore ripercorre nove pilastri che
distinguono questo stile teologico patristico, partendo dalla questione per
niente scontata: «La legittimità di una riflessione sulla fede», ove mostra il
passaggio non facile dalla simplicitas fidei all’esigenza di una cogitatio
fidei proprio per tutelare la purezza e la rettitudine della fede dalle
complicazioni e contaminazioni concettuali delle eresie.
Il secondo pilastro è costituito dal «principio di Tradizione»
già evidenziato da Ireneo di Lione nella sua lotta contro le dottrine estranee
degli gnostici: «La nostra è la retta fede, perché trae origine
dall’insegnamento e dalle tradizione dei Padri e perché trova la sua conferma
nel Nuovo e nell’Antico Testamento». Il punto di forza dei Padri viene dal
fatto di essersi agganciati tenacemente «alla parola trasmessa fin da
principio», alla traditio/parádosis del «deposito» di fede.
Il terzo pilastro è «il criterio della Scrittura» letta
nella Chiesa secondo la «regula fidei» e l’ortodossa professione di fede
(le quali costituiscono il quarto pilastro). L’autore spiega i principi
ermeneutici che hanno distinto la lettura spirituale della Scrittura e i
diversi sensi da essi cercati nel testo sacro in seno alla Chiesa, con essa e
per essa. La lettura della Bibbia fatta nella Chiesa permise ai Padri di
superare l’aporia della mera interpretazione simbolica – nel senso debole del
termine – della Scrittura. Il «canone della fede» ha arricchito la lettura
patristica con una preziosa chiave di lettura e valida pietra di paragone: «La
verità tramandata e accolta, che il ministero ecclesiastico deve conservare e
che non ha bisogno di creare».
Il quinto pilastro del teologare patristico è la «liturgia»
ecclesiale quale esplicazione vitale comunitaria della tradizione apostolica.
La liturgia non era soltanto il luogo privilegiato per spezzare la parola della
fede, ma anche il correlato dialettico della formulazione e la crescita della
stessa, seguendo il celebre principio «ut legem credendi lex statuat
supplicandi» (affinché la regola del pregare stabilisca la maniera del
credere).
Il sesto pilastro è quello del richiamo ai Padri stessi, è
il cosiddetto «argomento dei Padri» cristallizzato dal Commonitorium di
Vincenzo di Lerino: «è veramente e propriamente cattolico ciò che fu creduto in
ogni luogo, sempre, da tutti».
Il settimo è il criterio dei «Concili» i quali si
concepirono come «i portatori del consenso della Chiesa». I concili servivano
come criterio sincronico e diacronico della retta fede e come istanza
definitoria della stessa.
L’ottavo punto nodale è dedicato allo «sviluppo dottrinale»,
un elemento fondamentale con il quale i Padri hanno dovuto fare i conti. Il
compito della custodia autentica della tradizione non poteva ridursi a qualcosa
di statico; non poteva consistere nella mera ripetizione semplicistica
dell’insegnamento degli apostoli. La domanda che si poneva era: com’è possibile
portare avanti il necessario sviluppo dogmatico senza contaminare la dottrina
degli apostoli? È questa domanda che guida l’ottavo capitolo del volume e che
costituisce il terreno del discernimento posto dal nono capitolo sul
discernimento tra «ortodossia ed eresia».
In sintesi, il libro di Fiedrowicz si pone come un dotto e
competente approccio ai fondamenti e al metodo teologico dei Padri.
L’esposizione – pur rispettando la complessità della tematica e pur abbondando
di riferimenti – è chiara, lineare e di piacevole lettura. Siamo dinanzi a
un’opera preziosa non solo per lo studio teologico, ma anche per una lettura
personale ricchissima che apre gli occhi a quel privilegiato locus
theologicus che sono i Padri.
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