Dall'autore
di «La prima generazione incredula»
di
Francesco Cosentino
Ha già esplorato con puntualità e precisione la crisi della fede cristiana nel
mondo giovanile lanciando l’allarme di una “prima generazione incredula”
dinanzi a cui fermarsi e riflettere. Ora, Armando Matteo, teologo e docente
presso la Pontificia Università Urbaniana e già Assistente Nazionale della
Fuci, si concentra su una variante di questa crisi: il mondo giovanile
femminile. Precisamente, a partire dall’esperienza personale corredata di
precisi dati statistici, la sua preoccupazione riguarda l’assenza delle donne
quarantenni: Dove sono andate a finire?
Da questo
interrogativo prende il via il volume “La fuga delle quarantenni. Il difficile
rapporto delle donne con la Chiesa”, edito da Rubbettino e già in libreria da
qualche mese. La denuncia è chiara ed è di quelle che non possono lasciarci
indifferenti: le donne nate dopo il 1970, secondo molti dati, sono da
annoverare sembra che abbiano smarrito un fecondo e regolare rapporto con la
fede e, soprattutto, con la pratica ecclesiale. Da questa data in poi, la crisi
della frequenza ecclesiale e in generale del rapporto con la Chiesa, infatti,
non conosce più “differenze di genere”: si dileguano tanto i maschi quanto le
donne. Le nate in questione sono le figlie di un mutamento sociale e culturale
sgorgato dal fenomeno Sessantotto che gli uomini di Chiesa fanno fatica ad
assimilare e decifrare. Rispetto alle loro madri, queste giovani donne “vanno
di meno in Chiesa, credono meno, hanno meno fiducia della Chiesa, si
definiscono meno come cattoliche” (p. 19) ma, soprattutto, si autoconcepiscono
come soggetti adulti, indipendenti, affrancate da un cliché sociale e culturale
che le ha spesso relegate a ruoli di passività e docilità. Dunque, svincolate
da legami col passato e con un certo diffuso immaginario sull’idea di donna,
esse fanno fatica a trovare nella Chiesa cattolica un serio alleato per la loro
emancipazione esistenziale, rompendo cosi un’alleanza durata secoli. La prima
conseguenza negativa riguarda la trasmissione della fede, da sempre dovuta soprattutto
all’influenza positiva delle donne anche in ambito familiare, tema peraltro
molto caro a Benedetto XVI e di grande rilevanza per la nuova evangelizzazione
dell’Occidente.
Culto
mariano e potere maschilista
L’autore
pone la questione urgente di una “rottura secolare” che avviene per la prima
volta tra le donne e la Chiesa. La visione di Matteo non si presta a facili
riduzionismi ideologici e, per questo, egli non teme di avanzare una critica
sia verso alcuni eccessi del cambiamento culturale sessantottino e sia alla
visone e alla prassi ecclesiale che, specie in questi ultimi decenni, appare
stanca e su molti fronti immobile. Servendosi delle severe analisi della
scrittrice sarda Michela Murgia, infatti, Matteo mette a nudo un certo
travisamento del culto mariano che avrebbe provocato la nascita di un’immagine
di donna addomesticata, obbediente, docile, dedita sempre e solo al servizio
dell’altro, disposta al sacrificio e perfino sottomessa. Immagine che,
l’emancipata donna degli anni ’70 non può più accettare e in cui fa fatica a
ritrovarsi. A ciò, si aggiunga un secondo punto nevralgico della crisi di
questa relazione donna-Chiesa: la logica tutta maschilista di spartizione del
potere ecclesiale che avrebbe avallato l’idea secondo cui all’uomo spetta l’amministrazione
delle cose e alla donna il semplice servizio di cura delle cose intime. Chiosa
cosi Armando Matteo: “Stando così le cose, non è difficile comprendere le
ragioni della fuga delle quarantenni dalle nostre Chiese: è una protesta
silenziosa al silenzio cui le vorrebbe costrette, per natura, la Chiesa stessa.
La Chiesa dei maschi, si intende” (p. 36).
“I conti
non tornano”. La rottura di un’antica alleanza
Il viaggio
continua attraverso una suggestiva lettura di ciò che succede a partire da Gesù:
se il Messia di Nazareth ha inaugurato una visione liberante e promovente nel
suo rapporto con le donne, le cose hanno subito una certa alterazione già dai
primissimi secoli: dall’interpretazione misogina di alcuni passi biblici alla
crescita della cultura maschilista, dalla svalutazione della sessualità e del
corpo che toccherà soprattutto l’universo femminile fino ad alcune visioni
medievali che sottolineano una certa imperfezione della donna. Tuttavia,
l’autore mostra che la storia è molto più varia e, in realtà, la Chiesa ha nel
tempo valorizzato molte donne e molti loro carismi (un esempio sono le grandi
donne sante). Perfino nei mutamenti dell’era moderna, ancora troppo
marcatamente maschilista, la donna si sente difesa dalla Chiesa e stringe con essa
un’alleanza. Che cosa si è rotto dunque? E perché? Proprio negli anni ’70, le
donne vivono le loro battaglie di emancipazione con più determinazione, spesso
incanalandole nei movimenti femministi e rivoluzionari. Esse si liberano della
subordinazione maschile, si scoprono consapevoli del diritto di poter scegliere
e decidere, entrano in ogni ambito della vita culturale e sociale con la loro
voce. In questo stesso momento, il magistero e la prassi della Chiesa scavano
inevitabilmente un solco con l’universo femminile soprattutto attraverso le
direttive in ambito sessuale, provocando la reazione della donna che si sente
poco compresa, interpretata in modo riduttivo, strumentalmente legata alla sola
funzione biologica e riproduttiva. Se a questo si aggiunge un certo
consolidamento del potere ecclesiale nelle mani dei maschi e la definitiva
chiusura circa l’ordinazione presbiterale delle donne, si comprende bene perché
tra le donne e la Chiesa “i conti non tornano”.
Uno spazio
per la “fatica” delle quarantenni
Come si può
ricreare uno spazio per la fatica delle quarantenni? Analizzando l’incrinatura
del rapporto tra le donne e la Chiesa e focalizzandosi su alcuni motivi
principali, la tentazione ideologica sarebbe alle porte; si potrebbe pensare,
infatti, che basterebbe solo rovesciare le parti e “dare più potere alle
donne”. In realtà, troviamo qui il punto più originale e de-stabilizzante
dell’analisi di Matteo: non si tratta semplicemente di rovesciare le parti
restando cosi in una logica di potere e competizione al contrario;
l’emancipazione femminile è stata una lotta contro il potere maschilista in
nome della libertà e dell’uguaglianza e sarebbe davvero una lotta perdente se
conducesse a sposare la stessa logica di potere al contrario. Bisogna leggere
questa storia, invece, come la fatica delle donne per conquistare uno spazio di
uguaglianza e di libertà e, in tal senso, esse possono aiutare una rinascita di
tutte le relazioni intra-ecclesiali: favorire che nella comunità, le visioni, i
servizi e le relazioni, siano finalmente liberi dalle logiche del potere e
imparino uguaglianza e libertà. Ovviamente, questo passa anche attraverso una
maggiore responsabilità decisionale delle donne se è vero che “nella Chiesa
sono responsabili di tutto ma non decidono praticamente di niente” (p. 72); ma
una simile svolta, invece che essere condotta con spirito di competizione
femminista, dovrebbe serenamente incoraggiare un coinvolgimento più diretto e
più incisivo delle donne e, magari, rompere il nesso tra potere, maschilismo e
clericalismo.
Cinque
proposte
Su questa
strada, l’autore conclude con “cinque modeste proposte” che meriterebbero
certamente spazi di riflessione più ampi: “Riequilibrare l’immagine pubblica
della Chiesa italiana. La quale appare oggi troppo in mano ai maschi...Per
questo appare urgente creare spazi per le donne nei livelli più alti
dell’amministrazione del governo della Chiesa, in particolare in tutti quegli
uffici non legati al ministero sacerdotale” (p. 83). Qui, l’autore non
risparmia critiche a quell’impianto clericale che relega a settori di secondo
ordine anche lo stesso ministero delle suore. Di seguito: correre il rischio di
dare voce ai laici e quindi soprattutto alle donne; organizzare orari e modelli
della pastorale tenendo conto dei ritmi e dei modelli di vita attuali delle
donne quarantenni e, inoltre, organizzare una pastorale in cui possa essere
offerto loro un solido nutrimento culturale che si intoni con il loro sviluppo
degli ultimi decenni; favorire una nuova cultura dell’identità dell’essere uomo
e donna a partire dalla rivelazione d’amore di Dio e stanando, cosi, sia
l’eventuale femminismo improntato anch’esso sulla logica del dominio e sia il
narcisismo ferito dei maschi e le loro subdole vendette nei confronti delle
donne. Infine, l’autore afferma che “è tempo di uscire dai discorsi
autoreferenziali che caratterizzano asfitticamente il mondo clerico-ecclesiale”
(p. 85), per entrare nel terreno di quelle sfide che oggi pesano negativamente
soprattutto sulle donne quarantenni e, soprattutto, la “dittatura della
giovinezza” e il “terrorismo della bellezza”. Si tratterebbe di offrire un
diverso profilo dell’essere adulto.
Non c’è
dubbio. Il testo di Armando Matteo è, come d’altronde i suoi libri precedenti,
provocatore senza mai essere troppo spigoloso. Pone l’accento su una ferita
aperta che sembra essere fin troppo tacitata non solo nelle sacrestie ma anche
nella riflessione spirituale e teologica e lo fa con una certa chiarezza di
stile, con ironia e arguzia, attraverso l’apertura di finestre che invitano a
guardare lontano. Certo, il tema ha una sua ampiezza e complessità che
meriterebbe di essere approfondita e che, probabilmente, non può essere
racchiusa nella forma snella di questo libretto. Tuttavia, lo scritto suona per
tutta la Chiesa una sveglia importante: sul terreno della crisi tra Chiesa e
donna non si debba perdere un attimo in più. Ne va del futuro della Chiesa. Un
futuro che, grazie alla passione e all’arguzia del quarantenne teologo,
siamo tutti noi invitati a pensare e sognare.
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