Lo sfondo
divino del «noi» ecclesiale
di Robert
Cheaib
«La teologia s’è di fatto sbriciolata in innumerevoli
discipline, ognuno delle quali offre un materiale enorme con una metodologia
ben differenziata e difficile mentre mantiene contatti straordinariamente
ridotti con le altre discipline teologiche affini e vicine», così Karl Rahner
negli anni ’70 denunciava uno dei risultati del di per sé positivo pluralismo
teologico. Non è facile tener d’occhio il tutto quando ci si concentra su un
frammento, eppure il frammento prende pieno significato solo quando è visto
nella prospettiva del tutto. Per questo è urgente che la teologia combatti le
forze centrifughe dell’estensione quasi infinita delle sue discipline singole
per ritrovare la bellezza sinfonica della sua verità una e unica.
Questo sforzo
costituisce uno dei meriti del saggio di Alessandro Clemenzia, Nella Trinità
come Chiesa. In dialogo con Heribert Mühlen edito dalla Città Nuova.
Clemenzia si impegna con approfondita analisi e arguita dialettica a mettere in
risalto un’interessante convergenza dell’ecclesiologia nella Trinità.
Il saggio si
concentra sulla categoria personologica del «noi» evidenziando la sua
fondazione trinitaria della «noità» e sulla sua irradiazione storica nella
Chiesa che trova la sua identità comunitaria nel noi trinitario. Lo studio – fatto
in dialogo con la proposta teologica vasta e contrastata di Heribert Mühlen
autore di Una Mystica persona. La Chiesa come il mistero dello Spirito Santo
in Cristo e nei cristiani: una persona in molte persone – rintraccia la
concezione di persona nella tradizione teologica occidentale coniugandola con
gli apporti recenti di pensatori come F. Ebner, D. von Hildebrand che hanno
giocato un ruolo fondamentale nella costituzione della sua visione
personologica di Mühlen attenta alle dimensioni di relazione e reciprocità. La qualità
dialogica in Ebner apre l’io umano all’io divino mostrando come il tu vero e
proprio dell’io umano è Dio. Mühlen applicherà le categorie personologiche alle
ipostasi divine, ponendo l’accento sul tra che unisce l’io e il tu.
Dall’autore dell’Essenza dell’amore, si evince la centralità della
reciprocità che fa sì che l’amore non sia un egoismo e un mero prolungamento
dell’io. L’amore è costitutivo dell’unione e non un semplice frutto o derivato
da essa.
Sul fondamento
personologico tradizionale e innovativo al contempo, Mühlen ergerà la sua
visione teologica che può essere letta e interpretata nell’orizzonte della
dimensione personologica trinitaria. Ne emerge come lo Spirito Santo non è
soltanto uno dei «noi» della Trinità, ma è la «noità» trinitaria. Come amore
intratrinitario egli non è soltanto e primariamente frutto dell’unione del
Padre e del Figlio, ma è costitutivo di quest’unione. Egli è per così dire il vinculum
substantiale nella Trinità.
Il pregio dell’approccio
personologico di Mühlen è quello di permettere una convergenza tra i vari
settori della teologia intorno al fulcro della fede, il «noi» trinitario. In
lui trova una felice coincidenza la non di rado frammentaria e apparentemente
inconciliabile interdisciplinarità della teologia moderna.
Alessandro
Clemenzia coglie il radicamento dell’ecclesiologia nella teologia trinitaria.
Dopo una lunga familiarizzazione con il senso e le potenzialità del
concetto-realtà di «persona», l’autore mostra come Mühlen tiri le conclusioni
personologiche in ecclesiologia con la convinzione che «come in ambito
trinitario è stata coniata la formula “una natura in tre persone”, e in quello
cristologico “una persona in due nature”, così anche per l’ecclesiologia va
ricercata un’adeguata formulazione che non cada in un vago deismo […] né in un
monofisismo ecclesiologico». Da qui la Chiesa viene compresa come una
Persona in molte persone.
Mühlen spiega la
suddetta espressione così: «Con l’espressione “una persona” si intende lo
Spirito Santo e con l’espressione “molte persone” si intende Cristo e noi:
Cristo ci lega a se stesso, e lega sé a noi, per mezzo della missione del suo
Spirito; e così lo Spirito, mentre si unisce a noi e unisce noi a se stesso,
effettua la nostra unione con Cristo; è cioè il vinculum, il vincolo di
unità: egli dunque è la persona numericamente una in Cristo e in noi».
Clemenzia mostra
come Mühlen guarda la realtà ecclesiale a partire dall’identità personale dello
Spirito Santo che realizza l’unione tra le persone. Così il profilo della
Chiesa si mostra prettamente trinitario. Il fondamento ecclesiale è e rimane
Cristo come «io primordiale» che si estende nell’io plurale, la comunità
ecclesiale nella storia. Ma questo prolungamento nel tempo è frutto dell’unione
tra Cristo e la Chiesa che avviene nello Spirito Santo. È lo Spirito Santo che
consolida e rende possibile la realtà del Christus totus (Agostino
d’Ippona) e della una mystica persona (Tommaso d’Aquino). La Chiesa per
Mühlen è la continuazione storica dell’unzione di Cristo. Il noi
ecclesiale viene costituito dal Noi-in-Persona che è lo Spirito.
«Nella Trinità
come Chiesa» è un’opera impegnativa – come lo deve essere una tesi di
dottorato! – ma affascinante. Tra i suoi vari pregi ci piace segnalare due: il
primo è quello di attirare l’attenzione su Mühlen che non avuto l’attenzione
che merita in teologia. Il secondo è quello di costituire un valido e serio
tentativo di raccoglimento delle briciole della teologia intorno a un centro,
anzi, al Centro per eccellenza, la Trinità, riasserendo implicitamente due
definizioni antiche della Chiesa: Ecclesia de Trinitate e la comunità
radunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: unità nello
Spirito e unità che è lo Spirito, il Noi-a-priori.