Un saggio che riflette sulla rivelazione
divina intesa come relazione e autocomunicazione del Dio-Amore
di Robert
Cheaib
Con il Concilio Vaticano II, la riflessione
teologica cattolica sulla rivelazione ha segnato un passaggio importante da un
modello istruttivo-dogmatico a un modello comunicativo-relazionale, da un
modello proposizionale a un modello inter-personale. Questo passaggio è
evidenziato nella terminologia scelta dalla Costituzione Dogmatica sulla Divina
Rivelazione, Dei Verbum, la quale mostra che il contenuto della
rivelazione è Dio stesso. Nella rivelazione Dio non si limita a manifestare i
decreti eterni della sua volontàm , ma comunica se stesso «Deus Seipsum […] manifestare ac
communicare voluit» (DV 6).
È vero che questa concezione non è una novità
assoluta sullo scenario teologico. Circa 100 anni prima, la Costituzione Dei
Filius del Concilio Vaticano I accennava tale autocomunicazione di Dio
nella rivelazione con parole simili: «piacque alla Sua bontà e alla Sua
sapienza rivelare se stesso e i decreti della Sua volontà» (Dei
Filius, cap. II). Ma è vero anche che questa comprensione della rivelazione
come auto-comunicazione non ha avuto una felice Wirkungsgeschichte (storia
degli effetti) nella manualistica della prima parte del XX secolo. Ed è stata
la ricezione della Dei Verbum a permettere questa svolta copernicana che
non è altro che un ritorno all’essenza biblica della rivelazione di Dio che si
è detto e si è donato nella storia sacra dei profeti e pienamente nel Figlio
(cf. Eb 1,1; cf. anche Gv 3,16).
Il nuovo saggio di Giovanni Mazzillo – Diosulle tracce dell’uomo. Saggio di teologia della rivelazione, Edizioni SanPaolo, Cinisello Balsamo 2012 – prende sul serio questa categoria auto
comunicativa di Dio e coniuga la riflessione sulla rivelazione divina nella
chiave della categoria di «relazione», in dialogo con i migliori esponenti
della contemporanea filosofia del dialogo.
Avendo già
parlato nel saggio precedente – L’uomo sulle tracce di Dio. Corso di
introduzione allo studio delle religioni – della ricerca dell’uomo come
esperienza religiosa, l’autore si propone nell’opera attuale di considerare la parte
di Dio in quest’avventura.
È chiaro per
Mazzillo che l’iniziativa di Dio non è successiva a quella dell’uomo e neppure
condizionata da essa. Già il semplice fatto che l’uomo possa mettersi alla
ricerca delle orme di Dio è un dono dall’alto. Il passo di Dio verso l’uomo è
il primo passo e la rivelazione di Dio è «l’immeritato, gratuito e sorprendente
mettersi in cammino dell’amore di Dio, per poterci incontrare e salvare».
Mettendo al
centro dell’ermeneutica teologica della rivelazione l’esperienza e il concetto
della relazione, il saggio incarna in un’articolata teologia della rivelazione
l’accento particolare evidenziato dalla Dei Verbum, nella quale – come
si è visto – si ribadisce che la rivelazione è l’autocomunicazione e la manifestazione
di Dio che è amore. Così facendo il saggio focalizza l’attenzione su quanto
costituisce il cuore della rivelazione (Dio stesso) e l’intenzionalità del
gesto rivelativo di Dio (l’amore di Dio/l’amore che è Dio): «La rivelazione è
l’autocomunicazione di Dio come amore che si dona e che resta in cammino».
Nella prima parte
del saggio, cogliendo la valenza relazionale della rivelazione e la carica
rivelativa della relazione – «se non c’è rivelazione senza relazione, non c’è
nemmeno relazione che non sia anche contemporaneamente una certa forma di
rivelazione» –, l’autore si dedica a una dotta ermeneutica della relazione
umana considerata quale «parabola ed espressione di quella che Dio stabilisce
con l’uomo», e pertanto quale fecondo avvio alla comprensione della fenomenologia
della rivelazione divina. L’autore dialoga pertanto con le istanze della
filosofia della relazione (Buber, Levinas, etc.) e con l’autocoscienza umana
per tirare fuori le categorie dell’incontro e della relazione che possono
aprirci all’analogia dell’autocomunicazione divina.
Nella seconda
parte del saggio, intitolata Dio si rivela come amore, l’autore
approfondisce la natura, l’oggetto e il metodo della rivelazione intesa come
«autocomunicazione dell’amore». L’autore manifesta come nello svuotamento di sé
nella rivelazione, Dio mostra «l’amore come senso dell’essere» e manifesta come
il dono dell’amore non esaurisce l’essere del Donatore ma lo rivela e afferma giacché
«Colui che è (cfr. Es 3,14) non solo è, ma è Amore, perché
è Relazione e in Cristo ridiscende a ritroso la scala dell’essere fino a
rinunciarvi volontariamente, svuotando se stesso e consegnandosi alla
morte, il che significa propriamente la fine dell’essere. È quella fine che è
però il compimento dell’amore e come amore risorge ed è e resta per sempre».
Il cammino della
rivelazione si configura quindi non solo come rivelazione di Dio e
neppure solo come rivelazione sull’uomo, ma anche come luce sull’essere
che, per essere altrimenti, deve, spingendosi al di là di se stesso, essere
inscindibilmente collegato alla relazione e al dono d’amore.