365 riflessioni per orientarsi nella fatica e nella gioia di
credere
Robert Cheaib
La fioritura del monachesimo nel deserto dell’Egitto, a
partire dal IV secolo, è stata accompagnata da un fenomeno che è diventato una
prassi tra padri spirituali – conosciuti tuttora nella tradizione copta come
«enba» – e discepoli. È la prassi di cercare un «apoftegma» dalla bocca
dell’uomo navigato nell’esperienza di Dio, nel discernimento degli spiriti e
nella kardiognosìa. L’apofetgma sarebbe l’equivalente di «sentenza» o
«massima». In pratica, il discepolo cercava dal maestro un pensiero sintetico
che condensava una verità vitale stringente e illuminante. Non di rado, nei
racconti e resoconti dei detti e dei fatti dei Padri del deserto si riscontrano
episodi in cui un discepolo interroga il monaco: «Padre, dammi una parola». E
alcuni di questi discepoli cambiavano radicalmente vita in seguito alla parola
incisiva del maestro.
Seppure un po’ più lunghi dei famosi apoftegmi dei Padri del
deserto, questi testi sono non meno incisivi. L’intento dei curatori è proprio
quello di lasciare alle parole dei grandi testimoni della nostra fede lo spazio
quotidiano per stimolare la riflessione e suscitare il rinnovamento continuo
del cuore.
Il pregio del libro è quello di dare voce a testimoni che
purtroppo nella storia sono stati avviluppati dal silenzio, ma anche di
ascoltare parole nitide di testimoni di cui forse si conosce il nome ma non la
dottrina e la visione spirituale.
Il passo del 27 gennaio, ad esempio, è di santa Teresa
d’Avila la quale mostra alle sue consorelle il contrasto tra il tempo e le
fatiche del tempo e l’eternità della vita con Dio. Questo contrasto rende ogni
vita per quanto possa essere lunga un punto infinitesimale al cospetto del
«tempo» eterno di Dio, e allora l’esortazione della santa è quella di vivere
saggiamente ogni giorno come se fosse l’ultimo. Nelle sue parole: «l’intera
vita è breve, anzi a volte brevissima. […] e pensando che ogni giorno potrebbe
essere l’ultimo, chi di voi non lo impiegherebbe bene?»
Mentre la riflessione del 28 gennaio è del santo patrono
della festa, san Tommaso d’Aquino e recita così:
« L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua
divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra
salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della
croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come
prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo
purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così
grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue
come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai
commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più
prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella
legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più
sublime di questo sacramento?»
L’invito del libro, nell’Anno della fede, è quello di
meditare con i grandi la profondità e la sublimità della fede per nutrire
l’anima e la mente. L’auspicio dei curatori è che «questi singoli brani,
assaporati lentamente giorno per giorno, possano essere un tuffo salutare nelle
sempre fresche sorgenti di quella spiritualità che non è teoria elaborata a
tavolino, ma esperienza viva di fede».
Robert Cheaib
Photo: Some rights reserved by Viewminder
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