Un’indagine sulla ragionevolezza
della fede cristiana
Robert Cheaib
Si è soliti creare una netta
distinzione tra il modo di fare della scienza e quello della fede. Si pensa che
la scienza avanzi per certezze mentre la fede progredisca per credenze.
L’assunto di una tale distinzione è tanto sbagliato quanto infondato.
In qualsiasi ambito del
sapere e delle scienze umane, sia esso alimentare, sia geografico, sia storico,
sia tecnologico, sia chimico, la quantità di dati presi e adottati senza
verifica (e, non di rado, senza la possibilità di verifica!) è enorme. Ciò che
conosciamo per verifica personale è la punta dell’iceberg di ciò che prendiamo
per vero senza la possibilità di verificare in prima persona. Si pensi, a mo’ d’esempio,
ai nostri saperi in materia di storia, specie quella riguardante l’antichità.
La fede della scienza
Il nuovo libro di Roberto
Giovanni Timossi, Decidere di credere. Ragionevolezza della fede,
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, parte prendendo di petto proprio
questa errata distinzione. L’autore, in dialogo con le scoperte delle scienze e
soprattutto con i filosofi della scienza, mostra nella prima parte del libro,
come in epoca recente, a seguito di una concezione fallibilista e non
assolutista del sapere scientifico, si è arrivati a capire che tutti i nostri
processi cognitivi siano in fondo «forme di credenza».
Dopo le smentite di teorie
scientifiche che sono state prese per assolute per secoli – si pensi, per dare
solo un esempio, al geocentrismo tolemaico screditato in epoca moderna
dall’eliocentrismo di Copernico – gli epistemologi delle scienze hanno iniziato
a considerare le varie conoscenze umane nei diversi ambiti come «credenze vere
giustificate» e non come verità scientifiche assolute. Gli epistemologi hanno
capito che l’atto di conoscere è inseparabile dall’atto di fede e che non si dà
conoscenza se non c’è anche credenza.
Paul Davies, autore di vari
best-seller di divulgazione scientifica, fa notare che «l’assunto base della scienza,
che vi sia nella natura un ordine intelligibile agli uomini, è un immenso atto
di fede». Che le leggi naturali o che la legge d’inerzia siano esattamente le
stesse in tutto l’universo non è un dato verificato, ma ciò nonostante
un’ipotesi imprescindibile per l’esserci della scienza. La scienza si basa
sulla «fede nella natura», sull’affidabilità delle leggi naturali – non
verificabili totalmente nella loro universalità – che rendono possibili le
conclusioni scientifiche.
La fede che cerca la
ragione e il senso
Sbaglia, pertanto, chi separa
nettamente il sapere dalla fede, come sbaglia anche chi sommerge acriticamente
la fede nelle sabbie del fideismo e del credo quia absurdum. Per questo
motivo, le parti successive del libro si dedicano a un dialogo serrato con le
scienze e con la ragione per mostrare la ragionevolezza della fede e la
fondatezza della sua pretesa.
Il libro non tratta la fede
da un punto di vista esclusivamente religioso e credente, ma – con uno stile
dialettico, dialogico e aggiornato teologicamente e culturalmente – guarda la
fede dal punto di vista della ragione che cerca di capire ciò che vive e di
fondare ciò che crede e motivarlo non accontentandosi di un acritico ed ereditario
fideismo. Il libro vede la fede nell’accezione di una fides quaerens
intellectum, una fede che cerca di comprendere e di comprendersi.
La natura religiosa dell’uomo
non si fonda soltanto sul sentimento di dipendenza e di incompiutezza (F.
Schleiermacher) ma anche e soprattutto nell’anelito a un magis che
inabita il cuore umano e lo spinge verso una prospettiva plenaria di senso.
L’apertura religiosa avviene nell’uomo che percepisce la grandezza del mistero
dell’esistere e ne rimane stravolto e coinvolto. Lo dice bene il rabbino
Abrahamo Joshua Heschel: «l’uomo e il mondo hanno in comune un mistero: quello
di dipendere da un significato che non è semplicemente dato dal mero esistere».
Questa prospettiva maggiore di senso è l’incipit del vivere religioso. È
quanto intuì anche il grande fisico Albert Einstein quando scrisse: «Qual è il
senso della nostra esistenza, qual è il significato dell’esistenza di tutti gli
esseri viventi in generale? Il saper rispondere a questa domanda significa
avere sentimenti religiosi».
La fede e la storia
La risposta di senso del
cristianesimo non si presenta come un senso metastorico che chiude gli occhi al
mondo presente per aprirsi a un aldilà mitico o intimistico. Il cristianesimo è
radicato nella storia, è fondato su un evento storico e prospetta il farsi
storia della fede. Riflettendo sull’intreccio tra fede e storia, Timossi
discute con abilità il famoso tema di Lessing che mette in discussione il
possibile nesso tra avvenimenti storiche e verità assoluta. L’intento della
considerazione lo porta all’analisi della fondatezza storica, logica e
razionale dell’evento centrale e dell’annuncio fondante del cristianesimo: il kerygma
pasquale che afferma che Cristo è morto fu sepolto ed è risorto il terzo giorno
secondo le Scritture (cf. 1 Cor 15,4).
L’annuncio pasquale costituisce
il cuore della fede cristiana – Sant’Agostino diceva: «fides christianorum
resurrectio Christi est» – ed è innanzitutto una professione di fede. Ma
tale fede ha un riscontro storico carico di ragionevolezza e il merito della
riflessione di Timossi è quello di mettere in risalto questi elementi di
plausibilità storica.
La riflessione successiva
sulla fondatezza storica del cristianesimo mette al vaglio anche i risultati
della ricerca sulla vita di Gesù – Leben Jesu Forschung – mostrando da
un lato il difetto «dell’ermeneutica del sospetto» che guarda alle fonti
neo-testamentarie con diffidenza, ed evidenziando dall’altro l’affidabilità dei
vangeli per accedere alla conoscenza del Gesù reale.
Una scommessa
L’ultimo capitolo del libro –
Una scommessa? – segna un leggero cambio di registro rispetto
all’approccio razionale delle parti precedenti aprendosi al necessario «salto
della fede», per dirla con le parole di Kierkegard, o al «pari», la
scommessa pascaliana.
L’atto di fede, infatti, per
quanto possa essere argomentato e apparire ragionevole – essendo un atto di
tutta la persona e non solo della testa – richiede un salto esistenziale, un
affidarsi che è il passo che l’uomo è richiamato ad avere il coraggio di fare.
La scommessa pascaliana non è una teorizzazione della debolezza del credere ma
un mettere in luce l’incidenza della decisione individuale nell’atto di
credere.
Credere, in ultima analisi, e
dopo tutti i necessari ragionamenti e accertamenti, è un atto di coraggio. Così
Carlo Maria Martini, infatti, rilegge la fede di Abramo: «Abramo era un uomo
coraggioso. Dio lo inviò nell’incertezza e Abramo partì. Ebbe il coraggio di
decidere. Così diventò la benedizione di molti».
Il libro di Timossi è rivolto
a una vasta gamma di destinatari che a conclusione di questa breve recensione è
bene segnalare con le parole stesse dell’autore: «Questa indagine sulla natura
della credenza religiosa e sulla validità razionale del credo cristiano è certamente
importante per i credenti, per far loro apprezzare pienamente il valore della
scelta religiosa e per rafforzarne le convinzioni di fede. Essa tuttavia è
pensata anche per i dubbiosi, per i non credenti e per gli indifferenti. Sia
gli atei sia i perplessi sono qui incalzati ad accettare il confronto critico
con la tesi della ragionevolezza della fede nel Dio cristiano, ad approfondirne
in contenuti, la validità razionale e l’attualità anche in un’epoca di
progresso scientifico e tecnologico».
Photo: Some rights reserved by Catholic Church (England and Wales)
Photo: Some rights reserved by Catholic Church (England and Wales)