Un contributo
teologico-esegetico per ricostruire la figura del Nazareno
Robert Cheaib
Nella ormai lunga e
travagliata vicenda della «Ricerca del Gesù Storico», la «Third Quest» si
presenta come il paradigma con lo strumentario il più moderato. Lungi dalle
posizioni a fondo anti-semitico che ricostruivano la figura di Gesù a partire
dal criterio di dissimilitudine con il suo ambiente giudeo, la Third Quest
colloca decisamente il Nazareno all’interno del giudaismo del suo tempo. J.P.
Meier, nella sua celeberrima opera A Marginal Jew riassume così la
prospettiva della Terza Ricerca: «Il Gesù storico è il Gesù halakhico, cioè il
Gesù preoccupato e impegnato a discutere della Legge mosaica e delle questioni
pratiche che ne scaturiscono».
Ma quale tipo di giudeo era
il Gesù storico, più esattamente? In
quale direzioni ha compreso e rivolto la sua missione? Le risposte dei
ricercatori variano. Alcuni ne sottolineano la dimensione socio-politica, altri
lo associano ai farisei della scuola moderata di Hillel, altri ancora evidenziano
la sua affinità con gli elleni, etc.
La proposta di Daniele Fortuna
entra nel solco di questi tentativi di risposta e ricostruzione della figura
storica di Gesù. Nel suo libro pubblicato presso le Edizioni San Paolo,
intitolato: Il figlio dell’ascolto. L’autocomprensione del Gesù storico alla
luce dello Shema‘ Yisra’el, l’autore sviluppa un’ipotesi geniale già
enunciata dall’esegeta B. Gerhardsson, secondo cui lo Shema‘ Yisra’el,
cuore pulsante della spiritualità giudaica, era il fulcro della spiritualità
del Nazareno e il centro attorno a cui si possono unificare i vari fili del
tessuto evangelico.
L’autore argomenta che il
Credo di Israele, lo Shema‘, recitato da Gesù quotidianamente due volte sin
dall’infanzia, ha impresso in lui «un’autentica spiritualità dell’ascolto, lo
ha accompagnato nel suo cammino vocazionale e lo ha preparato a compiere ogni
giorno la volontà del Padre fino al dono estremo di sé nella morte di croce»
(462).
L’opera, frutto di una tesi
di dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana, gira intorno
all’intreccio di due fulcri ermeneutici: lo Shema‘ Yisra’el e l’autocomprensione
di Gesù. Essa considera, alla luce del piccolo credo recitato da ogni ebreo
osservante, l’evolversi e il dispiegarsi dell’autocomprensione di Gesù, ossia
«ciò che lui stesso riteneva di essere (cristologia gesuana), alla luce
della singolare conoscenza di Dio come suo abbà (teologia gesuana)
e in funzione della missione di cui si credeva investito, quella, cioè, di
inaugurare l’avvento del Regno di Dio (escatologia gesuana)» (3).
Come accennato sopra, la tesi
sviluppa un’intuizione interpretativa di Gerhardsson riassunta da lui medesimo
così: «Gesù di Nazaret ha preso sul serio la confessione delle sue labbra… ogni
sera ed ogni mattina Gesù s’impegnava ad ascoltare la parola di Dio, ad amare Dio
con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutta la sua potenza, a
porre queste parole nel suo cuore, a pensarvi, a insegnarle ai suoi figli (ai
suoi discepoli), a ripeterle sia quando era seduto in casa sua, sia camminando
sulla via…» (11).
Analizzando il rapporto di
Gesù con la Legge, Fortuna mostra il pieno riconoscimento di Gesù che la Torah
sia rivelazione di Dio (117), ma anche e soprattutto «la consapevolezza più che
messianica» in quanto «Gesù sa di impersonare il Dio d’Israele nel suo
amore misericordioso verso ognuno dei suoi figli. Nella sua prossimità
incondizionata ai poveri, agli ultimi, alle donne e ai peccatori, nella sua
potenza di guarigione dalle infermità e di liberazione da Satana, nella sua
commensalità aperta, che non teme alcuna contaminazione e non fa alcuna
discriminazione, Gesù si presenta implicitamente come il luogo escatologico
della presenza salvifica di yhwh,
l’atteso Messia sommo sacerdote, «Il santo di Dio» (Mc 1,24 e Gv 6,69)» (133).
Anche la riflessione sul duplice
comandamento dell’amore mostra come la risposta di Gesù nasca da una
partecipazione attiva e ponderata di Gesù al dibattito che agitava il giudaismo
del I secolo riguardo ai principi fondanti della vita d’Israele. La sua
risposta riprende il passo iniziale dello lo Shema‘ Yisra’el (cf. Dt
6,4-5) – sull’amore di Dio – e la prescrizione di Lv 19,18b sull’amore
del prossimo. Questo duplice comandamento dell’amore, mostra dunque la
centralità dello Shema‘ e il suo ruolo riassuntivo della Legge nella
visione di Gesù.
Nel passaggio successivo,
Fortuna mostra come lo Shema‘ fosse il motivo di fondo di tutta la
sinfonia dell’insegnamento di Gesù, della prassi successiva dei suoi
discepoli e anche di quella dei primi cristiani che hanno saputo «comporre
testi ispirandosi a questo antico credo d’Israele, coniugandolo sapientemente
con le tradizioni di e su Gesù» (352).
L’ultimo passaggio della
riflessione di Fortuna è quello di mostrare come lo Shema‘ non fosse
solo un insegnamento di Gesù, ma soprattutto e prima di tutto una sua attitudine
fondamentale: Gesù era fondamentalmente un «figlio dell’ascolto». Egli che «ha
succhiato lo Shema‘ Yisra’el insieme al latte di sua madre» ha fatto
dell’«ascolto del Padre» la sua attitudine fondamentale, il suo pane
quotidiano. Lo Shema‘ lo ha incamminato sulla via dell’accoglienza
incondizionata della volontà del Padre e si è tradotta in un amore
incondizionato e obbediente verso il Padre fino alla fine (cf. Gv 13,1) fino
alla morte e la morte di croce (Fil 2,8).
L’opera di Daniele Fortuna è un
geniale contributo alla Leben-Jesu-Forschung che permette a questa
Ricerca di effettuare un passo ulteriore, mostrando e offrendo nello Shema‘
Yisra’el una luminosa chiave interpretativa che raccoglie i vari fili del
materiale evangelico su Gesù volta a una comprensione maggiore della sua figura
e a un’intuizione più acuta del fulcro portante della sua autocomprensione.