Teologia della coscienza
morale
Robert Cheaib
Chi parla quando ci parla la
coscienza? La storia del pensiero filosofico, morale e teologico ha sempre
oscillato tra l’attribuzione della voce della coscienza: è vox Dei o vox
humana? Nella migliore delle ipotesi si è giunti a vedere la coscienza come
voce di entrambi. Grande sforzo è stato fatto per affermare «che» la coscienza
è voce sinfonica di Dio e dell’uomo, meno sono stati gli sforzi per dire «come»
essa è tale convergenza teandrica. Nel libro L’eco dello Spirito. Teologia
della coscienza morale, Queriniana 2012, Aristide Fumagalli si avventura
alla ricerca di spiegare il «come» di questa convergenza.
La ricerca si snoda in tre
grandi parti. Nella prima, l’autore dialoga con la filosofia per individuare il
percorso che ha portato all’attuale «decostruzione» della coscienza morale. Nella
seconda la parola è data ai teologi che hanno offerto contributi incisivi per la
comprensione della natura della coscienza. La terza parte offre
l’interpretazione dell’autore della coscienza morale con lo sforzo di una
migliore integrazione delle sue due dimensioni: quella antropologica e quella
teologica.
Dalla teonomia
all’autonomia
La prima parte del libro pone
la «questione» della coscienza nel districarsi storico della sua ermeneutica.
La sintomatologia problematica della coscienza parte già dalla confusione
semantica nata dalla divergenza riguardo al senso del termine. Ma la molteplicità
di significati è solo il preludio alla dispersione di interpretazioni che
vedono nella coscienza un ventaglio vario e a volte contraddittorio di ordini:
da quello biologico, a quello psicologico, a quello socio-culturale, etc.
Il nostro autore rintraccia
gli effetti dell’implosione antropologica della modernità sulla comprensione
della coscienza, non costituita più – come nell’antichità e nel medioevo – dal
legame con la religione, la società e la natura, ma semplicemente rinviata a se
stessa. Con Immanuel Kant, infatti, la filosofia giunge al vertice del
tentativo di fondare l’autonomia dell’esperienza morale. In vista di
quest’autonomia, Kant disgiunge l’esperienza morale dall’aggancio verticale con
la trascendenza di Dio e dall’aggancio orizzontale con la felicità, per
collegarla al dovere categorico individuato dall’autonomia della volontà umana.
Con Kant non solo è preclusa la dimensione divina, ma è ristretta anche la
dimensione umana riassunta ormai nell’ambito razionale sfrondato di ogni traccia
affettiva.
Dall’autonomia
all’eteronomia
Il passaggio dalla teonomia
all’autonomia è solo il primo passo che cederà il posto a un passaggio
dall’autonomia all’eteronomia. Fumagalli mostra infatti come gli apporti di
Marx, Freud e Darwin teorizzino la dipendenza della coscienza da istanze
orizzontali che la predeterminano e minano la sua pretesa autonomia.
Così per Marx, la coscienza è
un prodotto della sovrastruttura sociale derivante dalla struttura economica di
base che asservisce l’uomo con una giustificazione religiosa e morale. Per
Freud essa è talmente interiorizzata da collocarsi al di là della zona di
consapevolezza per radicarsi nella profondità dell’inconscio. La coscienza è il
super-Io che si installa precocemente nella psiche dell’uomo a partire dalle
esperienze infantili e tramite le figure genitoriali. Per Darwin, la coscienza
è un istinto morale e «una passione composta ereditaria». Il padre della teoria
evoluzionistica dissolve il fenomeno morale in quello biologico demoralizzando
la coscienza e naturalizzandola.
La decostruzione
nietzschiana
Le riduzioni sociologiche,
psicologiche e biologiche non sono l’ultima istanza. Il passo successivo è
effettuato dalla critica nietzschiana che non si accontenta di ridurre la
coscienza ad altri fenomeni ma la sopprime di sana pianta. Per lui la coscienza
è la voce del gregge. All’insegna di tutto ciò che si spaccia per alto e
trascendente, la coscienza non è altro che «il prodotto, per sublimazione, di
fattori “umani, troppo umani”». L’uomo è richiamato, nella visione nietzschiana
a superare lo stadio del cammello che sopporta la legge e ad andare
oltre lo stadio del leone che si ribella, per stabilirsi nello stadio
del fanciullo che vive al di là del bene e del male e che diventa il
criterio di se stesso «inventando da sé i suoi giochi».
La coscienza nella
Tradizione teologica
Dopo la panoramica
filosofica, la seconda parte del libro guarda alla tradizione teologica che
affonda le radici nella Scrittura. Dopo la riflessione sul dato scritturistico,
Fumagalli considera due monumenti tradizionali della coscienza morale
dialogando con Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino. Se il cammino di Agostino
accentua la dimensione della voce di Dio nella coscienza passando «da fuori, a
dentro» e «da dentro a sopra», l’accento tommasiano cade più sulla dimensione
antropologica della coscienza rilevando in essa una «struttura naturale»
dell’uomo.
Il libro prosegue
considerando la prospettiva di Martin Lutero che – nell’ambito della sua tesi
della giustificazione per fede – fides ed ethica e scredita il
ruolo della coscienza a favore della fede. Lutero passa dall’esteriorità
dell’agire all’interiorità del credere risolvendo di fatto la coscienza
nell’affidamento credente.
Fumagalli analizza in seguito
l’apporto di Alfondo de’ Liguori che interpreta la coscienza come dettame
pratico della ragione elaborando un quadro che vede la coscienza in tensione
dialettica con la legge. L’altra tensione che regge la coscienza è quella
verticale che vede la coscienza in relazione alla grazia di Cristo. La critica
che l’autore muove verso il Doctor Prudentiae è la difficoltà di
far convergere armoniosamente queste due dimensioni.
Un altro esempio di intuitivo
accostamento è il pensiero del Cardinal John Henry Newman che vede chiaramente
la necessaria convergenza tra la dimensione antropologica e quella teologica
senza approfondirne la modalità. Benché la visione di Newman guadagni
all’interpretazione della coscienza «la chiara affermazione dell’inseparabilità
degli aspetti teologico e antropologico», essa non si addentra a fondo
nell’esaminare e nell’esplicare questo congiunzione, lasciandoci con l’idea di
una mera «giustapposizione».
In fine, «solo accostate, e
non senza frizioni, appaiono le due dimensioni della coscienza morale anche nel
recente insegnamento del magistero della chiesa cattolica, che pur conferma
l’istanza di una loro migliore integrazione».
Un fenomeno relazionale
Nella terza parte, Aristide
Fumagalli presenta il suo contributo vero e proprio in seguito al confronto con
tre prospettive contemporanee sulla coscienza: quella di Heidegger, di Lévinas
e di Ricoeur. La tesi dell’autore è che la coscienza costituisce un «fenomeno
relazionale». Essa è «l’eco dello Spirito riflessa dalla libertà». Come l’eco
costituisce non un semplice suono ma «un suono riflesso» che necessita – oltre
all’emittente – un corpo che rifletta, così anche la coscienza è «duplicemente
dipendente». La coscienza dipende dall’interazione di due dinamismi:
«l’attrazione dello Spirito che agisce sulla libertà e l’azione della libertà
che reagisce allo Spirito». Così la coscienza non si riduce né alla dimensione
teologica né a quella antropologica, ma dall’interazione di entrambe le dimensioni.
In conclusione, il libro di
Aristide Fumagalli è un cammino ricco e chiaro che permette una visuale
sintetica sugli apporti fondamentali della filosofica e della teologia al tema
della coscienza morale, permettendo al lettore di avere gli elementi necessari
per effettuare un discernimento della natura di quella facoltà che «non è
propriamente né dell’uomo né di Dio, pur essendo e dell’uomo e di Dio», di
quella voce che è «l’eco dovuta della loro relazione».
Photo: Some rights reserved by Ivana Vasilj
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