Alla scoperta della freschezza della fede e dell’arte di
comunicarla
Robert Cheaib
«Ho cercato semplicemente di far teologia con i miei uditori
e ho avuto l’impressione che proprio questo si chiedeva e proprio questo
interessava. Il processo di un nuovo modo di pensare, in cui attualmente si
trovano la chiesa e la teologia può riuscire solo se ci si spinge verso il
centro e si realizza a partire dal centro». Questa dichiarazione di intenti
dell’allora giovane professore Walter Kasper riassume l’afflato del nuovo
volume «Il vangelo di Gesù Cristo» edito dalla Queriniana nella collana «Biblioteca
di Teologia Contemporanea». In esso, il teologo va al di là degli slogan
conservatori e progressisti per dialogare con il cuore della fede cristiana
lasciandola parlare con attualità e autorità all’uomo di oggi.
Il libro costituisce la traduzione integrale italiana del
volume V delle opere del Cardinal Walter Kasper (Walter Kasper Gesammelte
Schriften). Sotto il titolo Il vangelo di Gesù Cristo sono raccolti
tre contributi che risalgono a tre periodi diversi. Il primo – già edito dalla
Queriniana nella collana «giornale di teologi» - è il libro Introduzione
alla fede risalente al 1970; il secondo è il volumetto Oltre la
conoscenza. Riflessione sulla fede cristiana (anche esso edito dalla
Queriniana) scritto nel 1987; il terzo è un inedito sul tema della nuova
evangelizzazione dal titolo Nuova evangelizzazione come sfida teologica,
pastorale e spirituale, sviluppato soprattutto durante il periodo in cui
Kasper era vescovo (1989-1999).
Introduzione alla fede
La prima parte del volume riprende le celebri lezioni che
Kasper tenne all’indomani del Concilio nonché all’indomani del ’68 in un
periodo di forte agitazioni ecclesiale e sociale. Le lezioni si configurano
come un coraggioso confronto con l’eredità teologica per dare risposte a un
mondo in cerca e requie a un mondo in ebollizione. Nell’arco delle dieci
lezioni raccolte nel saggio, l’autore esercita il lavoro di illuminazione e di
mediazione tipica di una teologia non fossilizzata.
Il suo tentativo affascinante, dialettico e illuminante
mostra l’identità del lavoro teologico che possiamo riassumere nelle parole del
teologo gesuita Bernard Lonergan: «la teologia media tra una matrice culturale
e il significato e il ruolo della religione in quella matrice». Con moderazione
e circospezione, Kasper affronta le questioni teologiche con una sublime
sensibilità verso la matrice culturale che si stava configurando in quei anni. In
dieci tappe il teologo offre una panoramica sulla fatica e sulla bellezza della
fede, sulle sue ragioni e sulle sue sfide. L’intento non è quello di incantare
o di entusiasmare ma di spingere a pensare mostrando che «la fede cristiana sa
essere responsabile di fronte al pensiero moderno» (10-11).
Più nel dettaglio, Kasper parte dall’analisi della
situazione della fede puntualizzando l’epidemia d’indifferenza religiosa che fa
sì che trovare un ateo sincero e preoccupato che vive il cor inquietum
agostiniano possa essere considerato un «caso pastorale felice» (Karl Rahner).
Ma la situazione di crisi è anche un segno dei tempi e un possibile kairós per
la fede chiamata a rinnovare la propria struttura comunicativa e tornare ad
attingere alle sorgenti umani dell’esperienza religiosa che può essere un
«luogo» che accomuna chi crede e chi crede di non credere. Così il teologo
esamina i loci theologici della teologia naturale come del metodo
dell’immanenza e della questione del senso, additando la dimensione
antropologica del principio-speranza (Ernst Bloch) come luogo contemporaneo
dell’epifania dell’esperienza religiosa assopita.
La lente della riflessione si focalizza successivamente
sull’autore su Gesù Cristo, scandagliando i risultati della Leben-Jesu-Forschung
e considerando l’attualità del messaggio del regno che costituisce il cuore
della missione di Gesù. Dato che il Cristo costituisce il centro della fede e
che il cuore dell’evento-Cristo è il mysterium paschale di morte e
risurrezione, il nucleo intimo della fede e la sua certezza intima si
manifestano come una «certezza di speranza» (62). La fede del cristiano non è
tanto «dietro a sé» ma «davanti a sé», una fede che combatte la sua battaglia
non soltanto nella dialettica del peccato e della giustificazione – il luterano
simul justus et peccator –, ma anche nel campo della fede e del dubbio:
il metziano simul fidelis et infedeli. Così la verità della fede vissuta
e professata non si riduce a un oppio che addormenta la coscienza credente
dinanzi all’insicurezza della vita ma si manifesta come «una casa di santa
irrequietezza» (63).
La fede si configura quindi non come abitudine o fatalità
sociale ereditaria ma come «una decisione fondamentale e un progetto totale
dell’uomo, nel quale l’uomo, trovando Dio, trova sé, e trova insieme la sua
vita, gli altri e la realtà» (71). Essa è una realtà che sequestra l’uomo nella
sua interezza impegnando il suo intelletto e la sua volontà.
La riflessione di Kasper prosegue rivisitando e
reinterpretando i dati fondamentali della fede, come ad esempio la realtà della
salvezza, ridotta spesso al riscatto sopranaturale dal peccato. L’autore mostra
che il concetto biblico di salvezza è ancor più ampio e molto più intimo e
reale: «la salvezza è la libertà della nostra libertà, la sua liberazione e
redenzione, perché sia se stessa» (102). Essa è la nuova creazione che ci
permette di raggiungere la finalità immanente nella nostra libertà (103).
L’ottava lezione si concentra sull’ecclesialità della fede
confessando l’opacità e argomentando la necessità storica, intrinseca e
teologica della mediazione ecclesiale per l’esperienza di fede. Kasper ricorda
che l’ecclesiologia è una funzione della pneumatologia (112) e orienta a una
lettura teologica della realtà complessa e paradossale della Chiesa. Le ultime
due lezioni sottolineano due dimensioni importanti della fede nella sua
accezione cristiana. La storicità della fede che vede il compromesso
kenotico di Dio verso un coinvolgimento di un partner umano scomodamente ma
volutamente libero. E il futuro della fede che dipinge un volto della «forma-in-futuro»
della fede, come volto «escatologico» di speranza già tangibile, ma non in modo
pieno e cristallino ancora.
Oltre la conoscenza
La seconda opera inclusa nel volume esamina la natura della
fede argomentando la sua eccedenza rispetto alla ragione stretta e mostrando la
polifonia di dimensioni che essa include.
In primo luogo, Kasper evidenzia la pertinenza antropologica
della fede. La secolare separazione indebita tra fede e scienza nasce da un
fraintendimento della natura di ognuna. Lo scientismo nasce da una conoscenza
monca e ideologica della realtà della scienza e delle dimensioni del sapere
umano. La scienza stessa, in verità, si fonda su prolegomeni indimostrabili.
Dinanzi al luogo comune riportato da Celso contro il cristianesimo, considerato
come volgare e antifilosofico perché fondato sulla credenza in realtà
indimostrabili, Origene ribatte mostrando come l’uomo nella sua conoscenza e
nel suo comportamento, parta da presupposti e da principi ultimi, non
deducibili da principi ulteriori. Lo stesso Kant mostra che non possiamo
dedurre ciò da cui tutto si deduce e cui tutto si riferisce. In breve, bisogna
ammettere che vi è nella filosofia e nella scienza una «fede trascendentale»
(Bernhard Welte) ossia una fede che è premessa e condizione della conoscenza
categoriale che in se stessa è indeducibile (178).
In seguito, Kasper mostra la natura e la comprensione
biblica della fede che non si riduce all’elemento concettuale ma include il
vissuto della persona e il ravvedimento continuo. La fede biblica è legata a
un’inversione nel modo abituale di vedere e agire. La fede cammina di pari
passo con la conversione. La fede inoltre è un cammino che non si ferma a
enunciati ritenuti ma si apre a un’avventura progressiva di assimilazione del
dono della fede e di trasformazione nella sua res. E, in definitiva, non
si dà una vera vita di fede senza relazione, senza un rapporto dialogico e
sincero con Dio. Per questo la preghiera costituisce «il caso serio della fede».
La fede è un sapere e un sapore che va al di là della mera
conoscenza concettuale, è un esperire che nasce per amore e dall’amore. Gli
occhi della fede vedono perché amano. Nelle parole di Tommaso: ubi amor, ibi
oculus, se si ama si vede anche, perché l’amore vero non rende ciechi ma
chiaroveggenti.
Nuova Evangelizzazione
Il terzo testo del Cardinale Kasper verte su una questione
di grandissima attualità: la nuova evangelizzazione. L’autore focalizza subito
la sfida più impellente che la Chiesa e i cristiani sono chiamati ad
affrontare. Esso non è l’ateismo, bensì l’indifferenza religiosa. «A molti Dio
non sembra più necessario per dare risposta alle domande della vita. Essi non
discutono più sulla fede, ma alzano le spalle e dicono: “Io non ci credo, ma
non mi manca!”» (230). L’evangelizzazione non è una moda ma costituisce la vera
e propria identito della Chiesa (Paolo VI). E il cammino dell’evangelizzazione
ha un’unica norma, un unico traguardo e un unico punto di partenza, Gesù Cristo
(cf. Giovanni Paolo II, Novo millenio ineunte, 16ss.).
In paesi dove bisogna effettuare una «seconda evangelizzazione»
bisogna rendersi conto che essa non è uguale alla prima. La situazione nuova
richiede un’impostazione nuova. La situazione della prima evangelizzazione era
quella di una società profondamente religiosa. Si pensi a Paolo che trova fin
troppa religiosità ad Atene e innesta la predicazione cristiana a partire
dall’altare eretto per il dio ignoto (cf. At 17). Il contesto della seconda
evangelizzazione è quello di una secolarizzazione della società e della
coscienza e delle tendenze autodistruttive di una modernità che negando Dio ha
negato l’uomo e si è incamminata sulla via nichilista dell’autodistruzione. Le
tesi della modernità secolare di un progresso irreversibile si sono dimostrate
infondate e fallimentari e il compito della fede è quello di mostrare la
propria capacità di orientare l’uomo in mondo in cui l’orizzonte è stato
cancellato con una spugna (Nietzsche).
Concretizzazioni pastorali
Il discorso di Kasper non rimane sui principi ma verte in
proposte pastorali concrete. La prima di queste proposte è quella di ritornare
a sensibilizzare l’uomo alla sua esperienza implicita di Dio. Siamo dinanzi al
discorso mistagogico di Rahner che consiste nel risvegliare nel cuore dell’uomo
contemporaneo auto-esiliato nella sua secolarizzazione all’esperienza implicita
e feriale che fa del sacro spesso senza renderne conto.
Il passaggio successivo e obbligato è quello di far scendere
la questione di Dio dalla testa al cuore ed entrare in una esperienza dialogica
con il Dio biblico che non è un Dio muto ma un Dio che parla, un Dio vivente.
«Il Dio della Bibbia non è soltanto un orizzonte inafferrabile, che ogni volta
si sottrae di nuovo, e neppure soltanto un mistero ineffabile in tutte le cose,
egli non è un Dio che tace, ma che parla, che interpella l’uomo e al quale
l’uomo può rivolgere la parola» (266).
Dio parla nella persona di Gesù Cristo, per questo motivo la
nuova evangelizzazione si presenta come una «concentrazione cristologica». La
concentrazione cristologica invita a un cambiamento di registro pastorale che,
secondo Kasper, si deve concretizzare in un’accentuazione della priorità della
predicazione in un mondo non più attirato dalla sacramentalizzazione della fede
avvenuta nel passato.
In conclusione, l’opera di Kasper è un bel pezzo di teologia fresca
e vivace capace di mettersi in questione per convertirsi, ma anche di mettere
in discussione gli assodati idoli della contemporaneità che si rivelano pozzi
che non reggono acqua per aprirsi alla perenne novità del Vangelo di Gesù
Cristo, fonte di vita nuova.
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Il libro è disponibile sul seguente link: