La sfida della riconciliazione nella parabola del figlio
prodigo
Robert Cheaib
Il respiro e lo stile empatico e coinvolgente che attraversa
i dieci capitoli del libro è già preannunciato dalla poesia di Alda Merini che
lo apre:
«sono solo malati d’amore, e…
basterebbe poco per farli fiorire
un bacio, il canto di una primavera,
un fiore mandato al momento giusto,
un’ala di Dio ricordata in una lettera, una lettera,
un abbandono, un momento che duri un’eternità.
Perché malgrado l’uomo lo neghi non sa che
Dio l’ha destinato ad essere eterno».
La parabola di Luca 15 è una lezione multiforme che ci pone
davanti al difficile impegno dell’«apprendistato dell’alterità, che rivela
all’uomo la verità di sé». Essa ci presenta «la fatica dell’uomo
nell’instaurare relazioni autentiche e il suo difficile passaggio da un regime
autarchico, dove regna la legge del commercio, a una vita comunionale,
dove regna la legge della gratuità» (8).
La parabola ci presenta una radiografia del cuore umano
spesso pigro e imbranato nell’accogliere il dono gratuito e incondizionato
d’amore. Siamo, infatti, davanti a un figlio minore che reclama i doni del padre
e un figlio maggiore che pretende riconoscimenti, mentre il padre non pretende
niente, ma dona gratuitamente senza attendere nulla in cambio.
Nella parabola si scoprono due cuori: quello dell’uomo
«ferito dall’egoismo e profondamente assetato d’amore» e il cuore di Dio
«fedele alla sua natura di Padre e sempre veglia sull’uomo, ne accoglie il
ritorno e offre sempre nuove opportunità di rilancio della propria storia
personale e dell’amicizia con Lui» (78).
Dal dipanarsi del libro trapelano due scelte interpretative
feconde.
Leggere la Scrittura alla luce della Scrittura
La Manes applica con semplicità e frutto il principio
esegetico antico: Scriptura sui ipsius interpres (la Scrittura è
interprete di se stessa). I vari passi della Scrittura vengono illuminati e acquistano
una polifonia e un’armonia di voci grazie al confronto con altri testi simili
nella Bibbia. L’applicazione di questo metodo antico conduce spesso a una sorpresa:
dando voce, si scopre la Parola.
Questo principio è stato illustrato da un’immagine
suggestiva di san Gregorio il Grande nelle sue omelie sul profeta Ezechiele. Il
Papa discepolo di san Benedetto scrive: «Non posso forse paragonare una parola
delle Scritture sacre a una pietra focaia? Nella mano che la tiene, questa
pietra è fredda; ma quando viene colpita, essa fa nascere le scintille; ed
emette un fuoco che presto diventa una fiamma».
È proprio questo quel che accade quando la parola viene
incendiata da altre parole della Scrittura. Le parole si accendono a vicenda e
nutrono la fiamma della fede e di quell’incontro atteso ma forse non sperato in
cuori «malati d’amore».
Leggersi con potenza nella Scrittura
La seconda scelta interpretativa è quella narrativa
che possiamo qualificare anche come «contestualizzata e contestualizzante».
È contestualizzata perché ci permette tramite la
lettura della pericope nel suo con-testo originario di coglierne aspetti non immediatamente
evincibili dal testo. L’autrice mostra come la parabola in questione sia il
culmine di tre parabole in cui si annuncia il manifestarsi del «ritorno» e
dell’accoglienza gioiosa da parte di Dio. La lettura è contestualizzata perché
offre con stile vari spunti culturali e diacronici che permettono al lettore
contemporaneo di familiarizzare meglio con la pagina evangelica e di vederne
l’attualità guardandola nel suo tempo.
È anche e soprattutto contestualizzante perché il cammino
tracciata dalla Manes porta sempre il lettore all’interno del quadro della
parabola. Durante la lettura si è attraversati dai sentimenti e dalla
psicologia dei vari protagonisti del racconto. Già il debutto del primo
capitolo lo afferma: «È la storia di quel gemello in cui ognuno rivede i tratti
del proprio volto: il figlio prodigo. La sua storia è la storia di
tutto, per questo ha davvero un sapore di eternità e non smetterà mai di
sedurre esperti biblisti e cuori semplici in cerca del senso della propria
vita» (11). Ed è questa la corretta lettura della Scrittura: leggersi dentro
questa parola che è «vicina a te; è sulla tua bocca e nel tuo cuore, perché tu
la metta in pratica» (Dt 30,14; cf. Rm 10,8).
Il contesto fondamentale della parabola, però, è l’evento
Gesù e la sua opera volta a guarirci dalle immagini sbagliate del Padre che
falsano inevitabilmente la relazione con lui. «Le parole di Gesù pronunciate
nella parabola di Luca sono un “bacio” di Dio all’umanità di tutti i tempi,
memoria del palpito del cuore del Padre, uno squarcio sull’eternità che è il
destino dell’uomo» (14).
Gesù usa la trappola della parola che scatta «nel
momento in cui il giudizio formulato in un terreno neutro, tocca la sfera della
propria situazione personale nella quale la dinamica della parola invita a
tornare. È lì che il giudice si trova giudicato dal suo stesso giudizio e viene
smascherato» (21). L’invito all’uditore è quello di diventare
attore-protagonista, che si lasci attraversare dal pathos e dalla com-passione
di Dio per trovare il proprio luogo nell’altrove della parabola. Distanziato
dai proprio pre-giudizi e pre-concetti, grazie alla terra-di-nessuno della
parabola, l’uditore (e il lettore) può emettere un giudizio libero e
giudizioso, accogliendo l’alterità divina e il suo agire sorprendete (23).
Un amore al superlativo
È difficile ripercorrere tutta la parabola nell’arco breve
di questa recensione, ma vorrei sottolineare un momento che la Manes presenta
con grande eleganza. È il momento in cui il Padre attende come una sentinella
l’alba del ritorno del figlio. Quando i lineamenti di questi balenano
all’orizzonte, il testo di Luca impiega con finezza letteraria cinque verbi per
descrivere la reazione del Padre: «vedere», «avere compassione», «correre
incontro», «gettarsi al collo», «abbracciare». L’evangelista raffigura il volto
paternamente materno e maternamente paterno di questo genitore che incarna «la
pienezza dell’amore oblativo, il superlativo di un amore che è del tutto e
infinitamente gratuito».
Proseguendo il commento Rosalba Manes scrive: «Ciò che del
ritorno in scena del padre l’evangelista sottolinea anzitutto è la sua vista.
Questo figlio è lontano, eppure il padre lo vede. E come è possibile? La sua
attesa del ritorno del figlio dev’essere stata tale da tenerlo inchiodato tutto
il tempo all’uscio di casa, con la speranza di vederlo comparire prima o poi
all’orizzonte. Basta solo un’ombra o un pezzettino di sagoma e il padre lo
riconosce. E sappiamo che si riconosce solo chi si ama!» (53).
Un finale aperto
La parabola del figlio (o del Padre) prodigo è una terapia
di riconciliazione. Il Padre esce due volte per incontrare due figli molto diversi,
ma che hanno in comune una (in)comprensione «commerciale» dell’amore e delle
relazioni. Entrambi sono dominati dalla logica del dovere, del dovuto (do ut
des). La parabola ci mostra che «se esiste un dovere, è solo quello della
festa! “Si doveva”: è l’espressione di una necessità divina, di un inesorabile
progetto salvifico, di un’abbondante effusione d’amore, della terapia della
festa che ricorda all’uomo la sua alta dignità» (75).
Il finale è aperto. Il figlio maggiore è alla porta. Rimane
con l’eco delle parole del Padre. Bisogna far festa per tuo fratello. Bisogna
fare festa per te. Si è all’uscio della casa… aperta… come è aperto…
squarciato… il cuore del Padre visibile dalla fenditura del cuore trafitto di
Gesù… Il finale è aperto perché forse lo devo scrivere io, con la mia vita, con
la mia riconciliazione con l’Amore.
Lascio l’ultima parola all’autrice: «Quel figlio che deve
entrare alla festa siamo noi, lettori attuali della parabola, che stiamo
all’uscio, a metà strada tra il dentro e il fuori. Dio ci ricorda che la festa
è il nostro destino! Egli ha preparato una festa per noi perché possiamo
sentire tutta la gioia di essere i figli suoi, inviati nel mondo come
prolungamento del suo abbraccio di riconciliazione e di misericordia, che è per
tutti gli uomini. E tu che decidi di fare?» (102).
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Il libro è disponibile sul seguente link:
Il ritorno. La sfida della riconciliazione nella parabola del figlio prodigo
Il ritorno. La sfida della riconciliazione nella parabola del figlio prodigo