Il ministero petrino secondo il Cardinale Walter Kasper
L’ecclesiologia del Cardinale Walter Kasper è feconda per
vari motivi: il primo motivo è legato all’indole personale di Kasper teologo.
La sua teologia è dalle larghe vedute, capace di leggere l’evento cristiano nel
suo radicamento storico e soprattutto nel non facile rapporto dialettico con la
filosofia e la cultura moderna e postmoderna. Una testimonianza empirica della
fecondità del suo pensiero sono i suoi libri tradotti in numerose lingue tra
cui anche l’arabo.
Un secondo motivo che rende l’ecclesiologia di Kasper
particolarmente interessante è
il suo cammino personale al servizio della Chiesa, prima come giovane docente di teologia, poi come vescovo e, successivamente, il suo servizio presso la Santa Sede e, in particolare, come presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dal 2001 al 2010. L’ecclesiologia di Kasper respira con due polmoni e ha una particolare attenzione alla sensibilità e al pensiero delle altre chiese sorelle.
il suo cammino personale al servizio della Chiesa, prima come giovane docente di teologia, poi come vescovo e, successivamente, il suo servizio presso la Santa Sede e, in particolare, come presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dal 2001 al 2010. L’ecclesiologia di Kasper respira con due polmoni e ha una particolare attenzione alla sensibilità e al pensiero delle altre chiese sorelle.
Un terzo dei tanti motivi della fecondità dell’ecclesiologia
di Kasper è che l’espressione scritta del suo pensiero sulla Chiesa non è nata
di getto, ma ha avuto un lungo periodo di incubazione e di maturazione. Una
testimonianza di quest’opera di fermentazione è il volume Chiesa cattolica.
Essenza – realtà – missione, della collana Biblioteca di Teologia
Contemporanea dell’Editrice Queriniana. Lo stesso Kasper, infatti, confessa che
questo libro «ha alle spalle una lunga storia». Lo voleva scrivere verso la
fine della sua attività accademica, dopo le due monografie Gesù il Cristo (Cristologia)
e Il Dio di Gesù Cristo (Trinitaria), ma gli incarichi e gli impegni
pastorali al servizio della Chiesa non hanno permesso una produzione veloce,
per cui il libro si è maturato nel tessuto quotidiano e straordinario delle
varie esperienze che Kasper ha avuto come vescovo, come membro della
Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione per le Chiese
Orientali, nonché la già menzionata presidenza del Consiglio per l’Unità dei
Cristiani.
Uno sguardo sintetico al volume
In questa recensione vogliamo focalizzare l’attenzione sulla
riflessione di Kasper sul ministero petrino, ma prima vogliamo dare uno sguardo
rapido a tutta l’opera. Il volume si apre con una sezione autobiografica che ha
il merito di farci entrare nell’ecclesiologia conciliare e postconciliare
attraverso l’esperienza del teologo tedesco. In questa parte vengono presentati
i vari movimenti di rinnovamento precedenti al Concilio e i vari influssi
teologici che Kasper ha integrato lungo il suo cammino (La scuola di Tubingen,
Schelling, Tommaso d’Aquino, Karl Rahner, Henri de Lubac, Hans Küng,…). Il
teologo presenta anche l’importanza ecclesiologica permanente del Concilio e
analizza la recezione di questi nei decenni successivi.
La seconda parte del volume partendo da un chiarimento della
natura (essenza) della Chiesa mostrando il suo radicamento in Cristo. Già nella
parola Kirche («Chiesa» in tedesco) vediamo un indizio sull’identità
profonda della comunità ecclesiale. La parola, infatti, deriva dal greco kuriakós
e indica la comunità appartenente al Signore (Kúrios). La Chiesa, vista
alla luce della Trinità si presenta come «mistero della comunione» nel cuore
della storia e come tale come sacramento universale della salvezza. In questa
linea la Chiesa si presenta come primizia, «realtà intermedia», «segno e
strumento del Regno di Dio». Kasper analizza le varie immagini e definizioni
che gettano un po’ di luce sul mistero della Chiesa. Tra queste immagini
spiccano: popolo di Dio, corpo e sposa di Cristo, tempo dello Spirito Santo.
Lo sguardo si sposta in seguito alla «Realtà» della Chiesa
nelle sue varie manifestazioni nel mondo. In questa sezione, Kasper considera
la tensione tra l’unica Chiesa voluta da Gesù Cristo e la presenza effettiva di
varie Chiese; la compresenza di peccato e santità nella Chiesa; la forma
concreta della Chiesa nei suoi vari volti (ministeri ordinati «al servizio
della communio», la missione dei laici, il ministero petrino,…).
L’ultima parte del libro è dedicata alla «Missione» della Chiesa. In questa
parte si focalizza la luce sulla natura missionaria e dialogica della Chiesa e
si approfondiscono i volti attraverso cui s’incarna questa missione: martyría,
leiturghía, diakonía.
Il ministero petrino
Il ministero petrino è senza dubbio «il punto ecumenicamente
più delicato e difficile dell’ecclesiologia». Dato dal Signore come ministero
d’unità, esso è diventato – purtroppo – «per la maggior parte dei cristiani un
motivo di separazione».
Tale ministero affonda le sue radici nel NT. A partire dal
cambio del nome di Simone bar Jona in Kepha, cioè Pétra, Pétros ,
da cui deriva il nostro «Pietro». I nomi nell’antichità e soprattutto nella
Scrittura non sono flatus vocis, ma esprimono un compito e una
posizione. Anche nella cultura latina abbiamo un’identificazione tra nomen-omen.
La figura di Pietro ha esperienze privilegiate nei Vangeli e nella vita della
prima Chiesa. È Pietro che compie il primo passaggio dal giudeocristianesimo al
paganocristianesimo (At 9s.). Paolo riconosce la sua autorità e lo annovera con
Giacomo e Paolo tra le colonne (Gal 2,9). Malgrado alcuni conflitti l’apostolo
delle genti riconosce l’autorità di Pietro e «vede in lui il portatore decisivo
e il garante della tradizione». «Il fatto che tanto Mt 16,18 quanto Gv 21,15-17
siano stati composti nella forma odierna solo dopo la morte di Pietro mostra
che nella chiesa postapostolica fu attribuita a Pietro un’importanza
prolungantesi al di là della sua morte».
Lo sviluppo storico del ministero petrino solleva varie
questioni esegetiche, storiche e culturali. Ma il punto di partenza e il
fondamento permanente della tradizione petrina si radica nel suo essere un
servizio e un irradiamento spirituale. Clemente Romano esercita una paterna
sollecitudine nei confronti della Chiesa di Corinto esortandola a vivere nella
pace. Ignazio di Antiochia (citato implicitamente nel primo saluto di Papa
Francesco) parla della Chiesa di Roma come Chiesa che «presiede nella carità».
Ireneo di Lione insiste che ogni chiesa deve accordarsi con
la Chiesa romana in ragione della sua «autorità superiore». Girolamo scrive a
Papa Damaso affermando: «Io non seguo altro primato che quello di Cristo; per
questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di
Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa».
Cipriano di Cartagine considera la chiesa di Roma la «matrix
et radix ecclesiae catholicae» e la sede di Pietro come la chiesa
principale (ecclesia principalis) e come il punto di partenza dell’unità
episcopale.
Per Agostino, la pietra su cui è costruita la Chiesa è
Cristo: «Non enim a Petrus petra, sed a petra Petrus – pietra non deriva
infatti da Pietro, ma viceversa». Pietro secondo Agostino è «figura
ecclesiae, sacramentum ecclesiae, typus ecclesiae» e «typus caritatis
ecclesiae».
L’importanza dei vescovi di Roma si manifesterà nelle
importanti questioni di fede e nelle decisioni conciliari. I papi furono i
tutori dell’ortodossia calcedonese.
Il secondo millennio conoscerà il grande scisma del 1054 tra
Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente e si distanzieranno le visuali riguardo
al primato petrino. Vari tentativi saranno fatti per riconciliarsi su questo
punto, spicca tra i quali il concilio unitario di Firenze (1439-1445) dove i
greci erano disposti a riconoscere il papa come primo tra i patriarchi.
È degno di nota che la costituzione dogmatica Pastor
aeternus del Concilio Vaticani I, non inizia con il primato del papa, ma in
modo cristologico affermando che Cristo è il pastore eterno e il vescovo delle
nostre anime (cf. 1Pt 2,25). «Cristo è l’autentico capo invisibile della
chiesa, per cui il primato è scientemente detto il “fondamento visibile” della
chiesa. Alla fondazione cristologica segue l’inquadramento ecclesiologico del
primato come servizio reso all’unità della chiesa mediante i vincoli dell’amore
e della fede. Questo servizio dell’unità si svolge concretamente – e in ciò si
manifesta la finalità del primato – come servizio dell’unità dell’episcopato».
Il Concilio, inoltre, respinge l’idea che i vescovi siano
meri funzionari del papa e cita papa Gregorio Magno che sottolinea come l’onore
del vescovo di Roma deriva dall’onore dato ai suoi fratelli.
Kasper sottolinea come il Concilio non parla tanto di
infallibilità del Papa ma del «magistero infallibile del papa» che significa
che «a Pietro e ai suoi successori è stato concesso un carisma speciale per la
salvaguardia e la spiegazione della rivelazione e del deposito della fede
tramandati dagli apostoli».
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Il libro è disponibile sul seguente link: Chiesa Cattolica. Essenza - Realtà - Missione