Per
una comprensione di «ci ha parlato per mezzo dei profeti»
Robert
Cheaib
Nel
credo professiamo che lo Spirito Santo «ci ha parlato per mezzo dei profeti». Come
parla Dio per mezzo dei profeti? O meglio, come possiamo comprendere e
raffigurarci questo parlare di Dio?
Bisogna
tener presente che il discorso umano su Dio non può che utilizzare il
linguaggio metaforico, assumendo categorie che hanno valore puramente
analogico. Su questa base possiamo parlare di quattro analogie principali che
aprono uno squarcio di luce e permettono una primaria comprensione del senso
dell’articolo di fede.
Primo
modello: Lo strumento
Il
profeta è solo la causa strumentale, l’organon. Il modello è stato sviluppato in modo particolare nella teologia scolastica. Dio è presentato come
la causa efficiente. Egli è il vero autore, il principio da cui dipende
l’effetto. È lui che parla per mezzo del profeta.
Questo
modello che parla di Dio come «autore» del testo sacro, venne assunto dalla
«Providentissimus Deus» di Leone XIII del 1893. In DV 11, si cercò di
correggere questa prospettiva troppo unilaterale affermando che: «per la
composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso
delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo (ut
Ipso in illis et per illos agente), scrivessero come veri autori, tutte e
soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte».
Si
noti comunque che la categoria di riferimento rimane ancora quella di «causa
efficiente» (si servì, agendo, per mezzo di loro…). Quindi malgrado
l’affermazione che gli agiografi sono «veri autori», la dichiarazione
conciliare non risulta del tutto soddisfacente.
Secondo
modello: La dettatura
È
la visione del profeta scrivano. Dio è immaginato come un locutore che detta il
testo. Il Dictare è un dire iterativo in cui chi detta si assicura la
fedeltà di chi scrive al suo intento. Un esempio artistico di tale modello è il
quadro del Caravaggio dove l’angelo detta a Matteo il vangelo.
Se
con questo modello interpretativo viene affermata la fedeltà del testo sacro al
dettato divino, rimane problematica la comprensione dell’ispirazione in quanto
sottovaluta l’aspetto umano e induce a un certo fondamentalismo. L’uomo è
ridotto al solo ruolo funzionale della registrazione e trascrizione del
messaggio.
Inoltre,
questo modello è legato molto strettamente allo scrivere. Quindi l’unica
figura di ispirazione contemplata è quello dello scrittore sacro o agiografo.
Terzo
modello: l’intervento dello Spirito (o «ispirazione»)
Questo
modello ha un fondamento biblico più sicuro. In Nm 11,24-30 vediamo ad esempio
come lo Spirito di Mosè venne trasmesso ai settanta anziani che iniziarono a
profetizzare. L’intervento dello Spirito per la profezia è sottolineato nella tradizione
di Ezechiele (2,2; 3,12; 14,24) come in quella del servo di Jhwh (cf. Is 42,1;
48,16; 61,1). Le Scritture ascritte a questi uomini sono esse stesse ispirate
(cf. 2 Tm 3,16; 2 Pt 1,20-21).
Questa
visione esprime la visuale della Divino afflante spiritu di Pio XII
(1943). Essa introduce un principio non meccanicistico quale mediazione per
comprendere la qualità della persona e della parola sacra, pienamente conformi
al volere divino. Sono illuminanti al riguardo le parole di Paul Beauchamp: «Lo
Spirito Santo evoca precisamente l’interiorità, la profondità e di conseguenza
la dolcezza dell’azione divina sugli autori della Scrittura: un’azione così
dolce non solo rispetta, ma consacra la libertà».
La
problematica, però, è che questa forma di ispirazione non è l’unica presente
nella Scrittura.
Quarto
modello: La parola (di Dio all’uomo)
È
il modello che la Scrittura presenta come fondamentale in ogni manifestazione
profetica. Il profeta è un messaggero: ascolta la parola di Dio, ne
percepisce il valore e l’esigenza normativa per tutti tale da essere mosso e
inviato agli uomini del suo tempo.
Il
rischio è che il profeta venga preso come un ripetitore, un trasmettitore di
ordini imparati a memoria. Bisogna ricordarsi che si tratta di metafore
attraverso cui si cerca di spiegare la natura complessa della parola profetica.
Bisogna
sempre ricordarsi che «l’uomo è assunto come soggetto dotato di altissima
dignità, quella che lo vede fatto a somiglianza di Dio. Dio eleva l’uomo verso
di sé ma al contempo di condiscende umilmente. Synkatábasis, attemperatio.
Le parole di Dio espresse in lingua umana si sono fatte simili al linguaggio
degli uomini… proprio come il Verbo incarnato (DV 13).
Imparare
a dialogare con la Scrittura
La
riflessione sui modelli dell’ispirazione biblica è solo una delle tematiche
sviluppate nel libro di Pietro Bovati e Pasquale Basta, «Ci ha parlato per
mezzo dei profeti». Ermeneutica biblica, pubblicato congiuntamente dalle
Edizioni San Paolo e dalla Gregorian and Biblical Press. Siamo dinanzi a
un’opera che introduce in maniera fresca alle classiche tematiche all’incrocio
tra teologia biblica e teologia fondamentale: Ispirazione, canone, verità della
Scrittura, sensi ed ermeneutica della Scrittura.
Più
specificatamente, la prima parte del libro curata da P. Bovati sviluppa in tre
capitoli il tema dell’ispirazione. L’approccio adottato non è astratto, ma,
assumendo lo stampo biblico, si colora più con tratti fenomenologici. Si parte,
infatti, dal desiderio della verità come appartenente alla struttura
fondamentale dell’uomo. «Tutti gli uomini per natura desiderano sapere»
(Aristotele, Metafisica 1,1; cf. FR 25). Questo desidero si
incontra con il volere eterno di Dio a cui «piacque» non solo rivelare verità
oggettive, ma «rivelare se stesso» (cf. DV 2). Quindi, partendo dalla
prospettiva antropologica, la riflessione di Bovati sottolinea anche il
versante teologico: la volontà di Dio di comunicare e di comunicarsi. La DV
non racconta solo di una possibilità, bensì di un accadimento storico.
La
seconda parte sviluppata da P. Basta presenta in quattro capitoli varie
questioni inerenti al testo biblico e la sua interpretazione. Il versante
considerato è quello del recettore del testo sacro, cioè il lettore nel suo
ruolo responsabile. Vengono trattate problematiche importanti come quella del
rapporto tra Scrittura e Tradizione, la questione del canone, il problema della
verità (inerranza) della Scrittura e da ultimo, la problematica teologica riguardante
i sensi della Scrittura, che ha riflessi sul rapporto tra Antico e Nuovo
Testamento.