Vedere la misericordia del Padre nella compassione del Nazareno
Robert Cheaib
Robert Cheaib
Gli occhi sono un luogo
privilegiato dove si manifesta l’anima e la natura spirituale dell’essere
umano. Se tutto il corpo «parla», il volto è la concentrazione della nostra
capacità espressiva. Nel volto, sono gli occhi a dire spesso quanto le labbra a
volte vorrebbe sottacere. Lo sguardo è la nostra finestra sulla realtà, ma
anche la porta d’ingresso attraverso cui gli altri possono accedere al nostro
mondo interiore. Con gli occhi non solo vediamo. Con gli occhi e lo sguardo ascoltiamo,
gridiamo, supplichiamo, amiamo, creiamo legami o esprimiamo chiusura, mostriamo
fragilità od ostentiamo autosufficienza.
Quando lo sguardo incrocia un
altro sguardo, ci vediamo visti, entriamo in un circolo ermeneutico che, non
sempre riveste le caratteristiche di un pacifico incontro e placida
comunione, ma diventa, purtroppo, luogo di scontro e separazione. Non si
esagera nel dire che lo sguardo sintetizza l’uomo. «Se l’uomo è una creatura
relazionale, fatta per aprirsi a Dio, ai simili e all’intera creazione, allora
l’esperienza dello sguardo è una delle più significative per rispondere a
questa originaria vocazione».
Gli occhi di Gesù
Gli evangelisti hanno colto
la valenza espressiva e comunicativa dello sguardo di Gesù e hanno disseminato
le loro narrazioni di cenni che forse sfuggono a chi percorre il vangelo con
disattenzione ai particolari. Da qui il meritevole sforzo di Francesco
Bargellini nel libro Il vangelo nello sguardo di Gesù di invitarci a
soffermarci a quelle perle stilistiche, catechetiche ed esegetiche che
menzionano lo sguardo del Signore.
Ciò che colpisce in uno
sguardo d’insieme ai vangeli è che spesso l’atto di vedere da parte di Gesù, tranne
rare eccezioni (cf. Lc 10,18; Gv 1,48.50), è sempre riportato in terza persona,
riflettendo così «la fede post-pasquale della Chiesa, cioè il modo in cui essa
dopo la Pentecoste guarda a Gesù come al suo Signore» (27-28).
Andando verso gli stili particolari
degli evangelisti, notiamo che Matteo dedica particolare cura al contesto
interiore ed esteriore dei suoi racconti. Con poche pennellate dipinge il
quadro paesaggistico, ma anche i sentimenti intimi di Gesù, dei discepoli e
della folla. Un tipico modo suo di introdurre le parole o le azioni di Gesù è
di «metterne in rilievo lo sguardo». Così fa all’inizio del discorso della
montagna o del discorso missionario. Lo stesso fa nell’episodio della
moltiplicazione dei pani.
Lo sguardo non è solo espressivo
ma anche causativo: «Lo sguardo sulla folla sfinita provoca in Gesù una viva
compassione che con premura e concretezza estingue la fame della folla» (72). È
di particolare interesse, nel capitolo su Matteo, anche la riflessione su
Pietro e il suo incontro con lo sguardo di Gesù e la particolare sottolineatura
della pericope dove Pietro va incontro a Gesù sulle acque.
Guardandolo, lo amò
Delle varie riflessioni sul
vangelo di Marco, di solito parco di dettagli e molto essenziale, vale la pena
sottolineare, fra i vari episodi che menzionano lo sguardo di Gesù, quello del
giovane ricco. L’episodio riportato dai tre sinottici, trova nel vangelo di
Marco un particolare interessante che spiega e dispiega la sua finalità. Marco
mantiene il tenore esistenziale attraverso il versetto particolarmente
espressivo: «Gesù, guardandolo, lo amò» (Mc 10,21). Matteo e Luca tralasciano
questo tratto personale, comunicativo e comunionale, concentrandosi sulle
parole di Gesù. Marco va oltre la riduzione della «perfezione» al tratto
morale, e ne mostra la valenza comunionale, la risposta all’amore.
La carica teologica non è
indifferente: «Solo chi è “amato” dal Padre può a sua volta comunicare l’amore
stesso di Dio agli uomini». Gesù ama quel ricco con l’amore stesso di Dio. «Tale
rilievo avverte che il suo amore è carico di tutta l’affettività umana, ma
ancor più di tutta l’“affettività divina”. L’amore del Figlio è penetrante
perché scruta ogni cuore; è avvolgente perché guarda la persona nella sua
totalità e unicità e crea la comunione; ma è soprattutto comunicativo perché
dona la vita di Dio indicandone la via: “Ti manca ancora una cosa. Va’, vendi
tutto ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi, vieni e
seguimi!”» (106).
Uno sguardo che guarisce e
perdona
È nota l’attenzione del
vangelo di Luca a mostrare la compassione di Gesù, fedele manifestazione
del cuore e dello sguardo del Padre misericordioso. Dai vari sguardi di Gesù
colpisce particolarmente quello sulla vedova di Naim (Lc 7,13), dove la compassione
spinge Gesù a intervenire per lei nel momento di scottante dolore, quello della
privazione del figlio unico. Lo sguardo di Gesù partecipa, con-patisce e la
prende a cuore.
Dalla pericope della vedova
si delinea «una teologia della compassione specificamente lucana, come
sentimento nel contempo umano e divino… […] essa emerge come propria della
divinità di Gesù, seppure dettata da motivazioni profondamente umane» (A.
Miranda). «Lo sguardo di Gesù è rivelazione del mistero della sua identità
divina e umana: è il luogo che meglio esprime la sua umanità, che
si fa prossimità a ogni uomo e donna, che irrompe nell’esperienza umana nel
segno della compassione illimitata» (119).
Lo sguardo misericordioso di
Gesù, quello che perdona e fa risuscitare dalla morte più grave, quella del
peccato e della solitudine esistenziale, non si manifesta solo in episodi di
perdono come quello della donna peccatrice, ma si rivela anche nelle parabole
come quella del buon samaritano (Lc 10,25-37) e del Padre misericordioso (Lc 15,11-32).
Il vangelo di Giovanni,
infine, sottolinea la relazione dialettica tra il vedere e il credere. Vedere i
segni e credere al Figlio: «Questa è infatti la volontà del Padre mio: che
chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo risusciti
nell’ultimo giorno» (Gv 6,40).
L’evangelista mostra anche il
nesso profondo tra Gesù che vede e che conosce la profondità dei cuori. Gesù
guarda profondamente e osserva, Gesù contempla al di là del percepibile con
l’occhio sensibile. Gesù vede la fede delle persone, così come nel caso
del paralitico di Betesda. «Lo sguardo di Gesù è intimamente associato alla sua
conoscenza dello stato di quell’uomo, da trentotto anni costretto
all’immobilità. Dal suo sguardo che conosce e dalla sua conoscenza che vede
oltre le apparenze prorompe la parola liberatrice: “Alzati, prendi il tuo
giaciglio e cammina”» (191). È lo sguardo di Gesù che si commuove che causerà
il grido: «Lazzaro, vieni fuori!». Questo sguardo che si poserà sulla Maddalena,
sulla Madre e sul discepolo amato… questo stesso sguardo che siamo invitati ad
accogliere perché a ognuno di noi si applicano le parole di Marco: «fissandolo,
lo amò».