Quando Balthasar guardava l’esperienza religiosa dal basso
Robert Cheaib
«Può avere un senso chiarire a questo uomo moderno la sua
particolare situazione religiosa definendola rispetto a situazioni anteriori?
Forse fino a un certo limite, ed io ho anche affrontato questa fatica in Die
Gottesfrage des heutigen Menschen», così lo stesso Hans Urs von Balthasar
descrive retrospettivamente la sua opera che appare per la prima volta in
italiano con il titolo La domanda di Dio dell’uomo contemporaneo. Il
piccolo volume di Balthasar, la cui prima edizione tedesca risale al 1956,
costituisce un ripensamento e un
completamento di un altro lavoro (passato alla
storia come progressista!), ovvero, Abbattere i bastioni.
Prima di dedicarsi alla svolta estetica che apre la sua
famosa trilogia (Gloria, Teodrammatica , Teo-logica),
Balthasar ha voluto offrire un ultimo contributo a sondare la situazione
religiosa dell’uomo contemporaneo e a rilevare la mancanza contemporanea di
orecchio musicale in campo religioso. Nondimeno, sarebbe troppo semplicistico e
indegno del genio balthasariano, rinchiudere l’opera sotto lo slogan
antropologico, come se fosse l’opera che chiude la fase pre-critica o – se si
preferisce – pre-estetica, del teologo di Basilea. Il respiro del Balthasar
della Trilogia si sente già in queste pagine.
Seppure lo stesso Balthasar abbia ritenuto il presente
tentativo come una «delusione», tanto da non inserirlo nel piano ufficiale
della sua Opera omnia, il volume ha avuto una positiva accoglienza da
parte di teologi importanti. Ricordiamo, a mo’d’esempio Joseph Ratzinger, il
quale elogia nel saggio di Balthasar la miscela di filosofia della storia e
filosofia della religione, e accetta la diagnosi della perdita di un
orientamento cosmologico della religione naturale a favore di una svolta
antropologica verso la dimensione secolarizzata del mondo e la riscoperta, a
essa collegata, della dimensione personale e della trascendenza di Dio, nella
sua pura divinità.
Scienza e religione
La prima parte del libro prende atto del mondo moderno
segnato dalla scienza sperimentale, il quale è comunque alla ricerca di «una
visione del mondo, di una filosofia e di una religione, poiché esso cerca il
proprio senso» (27). La modernità apre l’uomo a una percezione più cosciente
dell’ambiente circostante, basta guardare la produzione artistica per vedere
come pian piano la natura inizia ad essere sempre più presente negli affreschi,
nella letteratura, ecc.
L’antropologia diventa gradualmente la scienza universale.
Ma la svolta antropologica ci obbliga a constatare – al di là dell’ingenuità
dei suoi albori in Feuerbach – che l’uomo, se possiede una chiave del senso
delle cose, non la porta in sé tramite idee bell’e pronte, ma «avvicinandosi
alle cose e portando loro la propria luce spirituale, come lo strumento
dell’interpretazione universale del senso» (50).
Balthasar avverte dal pericolo di resa incondizionata
all’avanzare della scienza e della tecnica e invita profeticamente – molto
prima della rivoluzione informatica, virtuale, e web 2.0! – a «non seppellire
le fonti della contemplazione» (73) per non soccombere allo strapotere
dell’attività tecnica, cinica e senz’anima.
Senza cedere a stereotipati pessimismi e fatalismi,
Balthasar ci invita a riflettere sulla relativa facilità di collegarsi
direttamente con Dio tramite un paesaggio naturale, dove si può «leggere senza
fatica il manoscritto del Creatore» e le nostre città di oggi, dove è in
generale visibile solo «la firma dell’uomo». «Cemento e vetro non parlano di
Dio, ma rimandano soltanto all’uomo che si glorifica in essi. Le città non sono
trascendenti, e perciò esse non conducono alla trascendenza» (76).
Riflettendo sulla religiosità dell’uomo contemporaneo,
Balthasar si sofferma con un tocco di ironia sul discorso di Paolo all’areopago
di Atene, e osserva che, molto probabilmente, se questo discorso dovesse essere
pronunciato alle orecchie dell’uomo di oggi, la contraddizione non scoppierebbe
quando Paolo inizia a parlare della risurrezione, ma molto prima: all’inizio
del discorso, quando l’oratore fa la dichiarazione di intenti parlando di
esperienza religiosa in collegamento con l’evento cristiano.
La novità «antica»
Nella seconda parte del libro, la proposta di Balthasar può
essere riassunta in un duplice movimento: recupero dell’apofatismo e il
sacramento del fratello. L’invito metodologico – e anche stilistico – è quello
di prendere atto, non solo della situazione dell’uomo di oggi, ma anche del
dono con cui si vuole andargli incontro (132).
Il passaggio verso la carne del cristianesimo, deve prendere
atto innanzitutto della situazione paradossale che viene riassunta nella
Postfazione da Pierangelo Sequeri così: «L’oscuramento della Parola è diventato
paradossalmente simmetrico al suo spreco routinario e sofisticato». Parliamo
troppo facilmente e troppo banalmente di Dio. I nostri grandi concetti sono al
tempo stesso troppo e troppo poco. Da qui, il primo movimento deve essere
quello di un recupero cosciente del necessario apofatismo, il quale non è
mutismo ma ascolto della Parola che trascende le parole e ingloba il silenzio
adorante. Questa Parola-Altro spinge il Narciso religioso di oggi oltre i
confini del proprio io, verso l’incontro affascinante e tremendo con il
Trascendente. L’apofatismo è un invito a riconoscere che «Dio non è Mysterium
fascinosum soltanto relativamente e per la nostra esistenza terrena: lo è
assolutamente e per sempre» (134).
Il secondo movimento è un invito a riconoscere Dio nella
concretezza del suo attributo specificamente cristiano: Dio è amore. L’amore è
un sacramento di incontro. «È sufficiente che il cristiano ami il fratello insieme
con Cristo; allora egli lo amerà guardando al Padre, ma non potrà farlo
diversamente che vedendo risplendere – in virtù dell’amore – nel volto velato e
sfigurato del fratello l’immagine originaria di ogni uomo sfigurato» (168).
Sequeri spiega che questo sacramento del fratello va intenso in due sensi:
l’altro da amare è colui per il quale Cristo è morto. E, d’altro canto, l’amore
del fratello è il risvolto indissolubile e discriminante dell’amore proclamato
per Dio.
Questi due volti della fede – il volto apofatico del
silenzio che adora la Parola e quello della realtà pratica e sacramentale
dell’amore – rendono l’opera di Balthasar a più di mezzo secolo dalla sua
uscita un monito profetico e alquanto attuale sia per la teologia sia per la
prassi cristiana.
Photo: Some rights reserved by One_Penny
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