Una testimonianza per uno
stile di presenza cristiana contagiosa
Robert Cheaib
La nuova evangelizzazione ha
diversi volti e molto sfumature. Almeno, dovrebbe averli per
compenetrare un tessuto scristianizzato su vari livelli e per svariati motivi,
o per entrare in dialogo con terreni mai-cristianizzati.
È indubbia in questo contesto
l’importanza della testimonianza vissuta, della fede matura e capace di declinarsi
con
la capacità recettiva dell’uomo contemporaneo. È profetico al riguardo il contributo carismatico che papa Francesco sta apportando.
la capacità recettiva dell’uomo contemporaneo. È profetico al riguardo il contributo carismatico che papa Francesco sta apportando.
Il santo Padre è una
testimonianza vivente che attesta che il Vangelo è ancora fresco di giornata.
Rimango infatti positivamente sorpreso quando in varie occasioni incontro amici
che erano anticlericali incalliti e che – sapendo che sono della cerchia
cattolica – senza essere interpellati mi parlano di tematiche di fede verso le
quali un tempo avevano delle muraglie invulnerabili. Mi ricordo di una ragazza
– ex-atea – che mi parlava della «divinizzazione» alla quale siamo chiamati,
come ci ricorda papa Francesco.
Ci sono però delle categorie
di persone da non dimenticare nel processo della nuova evangelizzazione. È la
categoria della gente di pensiero, quelli che cercano Dio cercando la verità,
volendo capire. La categoria dei pugili della filosofia. Quelli che – se
toccati dalla grazia – sarebbero i santi che amano Dio soprattutto «con tutta
la mente». Se dovessi scegliere un «santo» patrono per questa categoria, non
esiterei a eleggere Maurice Blondel.
Un cenno biografico
Maurice Blondel nacque a Dijon
il 2 novembre 1861 in una famiglia cattolica genuinamente religiosa che ebbe un
influsso molto importante nel modellare la sua visione del mondo. La vita di
Blondel si svolge in una Francia immersa nel nichilismo e nello scientismo
ideologico, ostile alla fede cristiana.
Non è esagerato riassumere la
spinta blondeliana per l’elaborazione di una «apologetica filosofica» del
cristianesimo in una obiezione che un amico dal tempo del liceo fece al
giovanissimo filosofo: «Perché dovrei essere obbligato a investigare e tener
conto di un fatto avvenuto circa 1900 anni fa in una parte oscura dell’impero
romano, allorché mi vanto d’ignorare tanti dei grandi eventi contingenti la
curiosità verso i quali impoverirebbe la mia vita interiore?».
Accettando la legittimità di
questa domanda, Blondel afferma l’inevitabilità di stabilire non tanto la
possibilità o la realtà quanto la necessità per l’uomo di aderire alla realtà
soprannaturale. Così Blondel si applica a conoscere «lo stato d’animo dei
nemici della fede», per poter dar loro le risposte più consoni ed efficaci.
Un quesito comune
Blondel cercò di colmare
l’abisso che separava la filosofia francese di fine ottocento e la fede
cattolica ponendo un quesito che accomuna l’interesse della filosofia e della
fede: la domanda di senso della vita. Il suo capolavoro L’Action
inizierà, infatti, con questa domanda: «La vita umana ha o non ha un senso?».
La problematica del senso
balena all’orizzonte della persona in concomitanza con il fatto semplice e
primordiale di esistere, di non essere più nel nulla, un nulla che l’uomo non
può più acquistare neanche a prezzo del sangue perché ormai esiste e, quindi,
il nulla per lui non esiste più.
L’Action esprime la
ricerca coscienziosa di un punto d’innesto del soprannaturale cristiano
nell’immanenza dell’esistenza umana. A partire dall’incipit e lungo tutto il percorso della sua tesi, Blondel è
sostenuto dalla doppia fedeltà al cristianesimo e alla ragione.
Ragionare con Blondel ci fa
capire un fatto capitale: la Buona Novella (l’Evangelo) sarebbe veramente tale
se rispondesse a una sete radicata e radicale nell’uomo. Questo non implica che
il Vangelo potrebbe essere dedotto dalle esigenze dell’uomo. Blondel rifiutava
radicalmente tale riduzionismo e tale deduzionismo. Quello che il filosofo di
Aix-en-Provence intende è che il Vangelo – divinamente umano – suscita e
risuscita nell’uomo delle dimensioni e delle aperture che rimarrebbero disperse
e andrebbero perse altrimenti.
Sincronizzare le ali di
fede e ragione
L’intento di questo articolo
non è quello di riassumere il pensiero di Blondel, ma di delineare brevemente
il suo stile e la sua intenzionalità. Possiamo dire che il profilo di Blondel
corrisponde perfettamente alla lettura che Giovanni Paolo II fa della sinergia
tra fede e ragione nell’enciclica Fides et Ratio:
«La fede e la ragione sono
come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione
della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere
la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo,
possa giungere anche alla piena verità su se stesso».
Se ogni autore serio feconda
il suo pensiero dalla sua vita e viceversa, Maurice Blondel costituisce un caso
di fusione quasi totale tra vita e missione. Yvette Périco, una studiosa di
Blondel osserva: «L’Action non è soltanto l’opera, ma è la lunga vita di
Maurice Blondel. In lui, il pensiero e la vita sono stati congiunti
in una profondità poco comune».
La filosofia di Blondel
attinge a piene mani dalla propria esperienza di fede e dalla propria
formazione spirituale personale, nutrita alla scuola di grandi figure come
Agostino, Bernardo e Ignazio di Loyola.
Il cammino di sincera ricerca
blondeliano ha sapientemente congiunto l’obsequium fidei con il sapere
aude, unendo nella propria esistenza «l’angoscia dell’investigatore con la
serenità e la docilità fiduciosa del bambino». Egli è convinto che «la
filosofia deve essere la santità della ragione».
Come cristiano egli non
poteva dissociare la propria credenza dal proprio pensiero; come filosofo non
poteva assumere nessun dato senza farlo passare per il setaccio della critica.
Per questa doppia fedeltà, Blondel opta per «il
metodo delle implicazioni», partendo dalle esperienze più immanenti e basilari
che accomunano tutti per giungere ad un areopago comune dove proclamare il
numinoso ignoto.
Da giovane, Blondel ha fatto
anni lunghi di discernimento, per vedere se il Signore lo chiamava a
sacerdozio. In una delle pagine del suo diario parla della pericope della
guarigione dell’indemoniato, che dopo la sua liberazione prega Gesù di stare
con lui, ma il Signore lo rimanda ad annunciare l’opera di Dio al proprio
casato. Blondel arriva a
comprendere, grazie al consiglio di un sacerdote, che la sua chiamata è di
annunciare Cristo nel mondo.
Un’immagine che presenta nel
diario rende meglio l’idea: «Dimorare fuori dal santuario per orientarvi coloro
che stanno fuori dalla fede e conservare semplicemente, con una pia
riconoscenza e un fervore acceso l’unzione di questo pensiero del sacerdozio
che mi ha aperto un cammino di cui non doveva essere il termine».
«L’idea di sacerdozio» che ha
animato tutto il cammino di Blondel sarà incarnata
in un «sacerdozio della ragione», e vissuta dal nostro filosofo in un ministero
umile di ricerca, di apologia, di testimonianza profetica che porterà i suoi
frutti nella riflessione di diversi filosofi e teologi (Henri de
Lubac, Auguste Valensin, Gaston Fessard, Henri Bouillard, ecc.) e nella vita di tanti discepoli e convertiti (Spiccano
tra i tanti filosofi discepoli di Blondel Jacques Paliard e Paul
Archambaul. Mentre tra i convertiti occupa particolare rilievo Méhémet-Ali
Mulla-Zade, turco, figlioccio di Blondel convertito dall’islam e divenuto in
seguito monsignor Paul Mulla). Chi si accosta alla vita del nostro autore, può
affermare con Xavier Tilliette di lui senza lirismo:
«Questo pensatore è un prete
(come Claudel-Coeuvre nel suo ordine di poesia), avvolto da un
abito sacerdotale, tra la folla di filosofi e teologi, con un segreto nel suo
cuore: porta la custodia, il viatico, come Tarcisio. Trasporta l’Ostia di
pagina in pagina, segnalibro fragile e luminoso, ospite sconosciuto sotto i
suoi “pseudonimi”».
*
Il presente articolo è ispirato all’opera Itinerarium cordis in Deum