Robert Cheaib
Non è raro il pregiudizio che mette religione e filosofia in
totale contrasto. La prima, si pensa, navigherebbe nei mari del pre-razionale o
semplicemente dell’a-razionale, ovvero in ciò che la ragione non potrebbe né
percepire né provare; la seconda, invece, segnerebbe il coraggio di usare la
testa e osare il sapere (sapere aude). La prima affermerebbe i suoi
asserti malgrado la loro apparente assurdità-incomprensibilità (credo quia
absurdum); la seconda demitizzerebbe e svuoterebbe di fatto la religione
riducendola alla meglio a un’ossatura di codice morale entro i limiti della
sola ragione.
In questo contesto fortemente segnato da contese e
«usurpazioni» (per usare un termine newmaniano), una disciplina come «la
filosofia della religione» risulterebbe come un ossimoro.
Eppure, proprio
questo settore del sapere, antico quanto il pensiero e la fede (a prescindere
dalla sua effettiva categorizzazione disciplinare), ci aiuterebbe a ripensare
la natura sorgiva della religione.
In questo ambito, uno sforzo prezioso è stato fatto da Jean
Greisch nei suoi volumi sulla filosofia della religione: Le buisson ardent
et les lumières de la raison. Senza la medesima pretesa enciclopedica e
documentale dell’opera di Greisch, il volumetto Introduzione alla filosofia
della religione di Jean Grondin offre una sintesi veloce ma capillare delle
tappe e delle questioni fondamentali che vedono convergere filosofia e
religione costituendo di fatto una filosofia della religione.
Grondin ha il dono della sintesi. (Un dono già incontrato nel
volume sull’Eremeneutica).
In 161 pagine permette una panoramica invitante verso il mondo della filosofia
della religione che, come primo ruolo – almeno per un lettore moderno – smonta
davanti agli occhi la contrapposizione con la quale abbiamo aperto
quest’articolo. La religione, nella sua essenza germinale, pone le stesse
domande della filosofia, è filosofia. Proprio come la filosofia nella sua
essenza più antica, prima di essere filosofia del diritto, del lavoro,
dell’ozio, è filosofia del senso primo e ultimo.
La lezione blondeliana è un perenne monito al riguardo: «La
vita umana ha o non ha un senso?». È su questa questione del senso che
filosofia e religione convergono. Ebbene, il libro di Grondin cerca di
esplorare brevemente, ma non meno profondamente, questo panorama di convergenza
dai filosofi pre-platonici, fino a Heidegger. L’analisi passa attraverso
l’evidenziazione dell’intreccio tra filosofia e religione e la considerazione
per epoche (antichità, medioevo, modernità ed epoca contemporanea) e per ceppo linguistico-culturale
(ellenistico, latino, ecc.) dei contributi più importanti in tema.
In questa prospettiva, data che la religione pone le domande
e «propone le risposte più forti, più antiche e più credute alla questione del
senso della vita», essa non può non interessare la philo-sophia, l’amore
della sapienza. Tale filosofia appartiene, di fatto, alla religione stessa,
quale via della saggezza.
Si potrebbe dire – attraversando l’opera di Grondin – che,
nella considerazione della storia di incontro/scontro tra filosofia e
religione, i periodi più fecondi per entrambi siano stati quelli in cui
religione e filosofia si sono alleati cercando, ognuna a modo sua, un senso,
una felicità e una salvezza.