Robert
Cheaib
Il
grande medievalista Etienne Gilson nota, ad esempio, che nel medioevo le
risposte a tale domanda sono state a volte diametralmente opposte. Alcuni ritennero
che la filosofia in sé non solo fosse inutile, ma addirittura pericolosa per la
fede (e per la salvezza). Altri – gli averroisti ad esempio – ritennero che
dove arrivasse il pensiero, la fede fosse inutile.
La discussione sullo statuto di una filosofia cristiana godette nella prima metà del XX secolo ricchi contributi da nomi insigni come lo stesso Gilson (che scrisse tra l’altro un’opera sul tema dal titolo Introduction à la philosophie chrétienne), Maurice Blondel, Emile Bréhier, Léon Brunschvicg, Jacques Maritain, ecc. Dei contributi di questi autori, mi piace illustrare brevemente il particolare contributo di Blondel il quale, riconoscendo l’autonomia della filosofia, sottolinea comunque la sua sostanziale insufficienza mostrando che il pieno sviluppo della razionalità porti all’esigenza di un salto nella fede.
Il
libro del filosofo Josef Seifert, Filosofia cristiana e libertà, edito
dalla Morcelliana, si presenta come approfondimento e come ripresa della
tematica della filosofia cristiana, o meglio come una risposta dedicata alla
domanda: «Esiste una filosofia cristiana?». L’autore, filosofo noto per la sua
capacità di coniugare il pensiero contemporaneo con la classicità, sviluppa –
nel suddetto libro – la tematica dello statuto di una filosofia cristiana in
due momenti fondamentali.
In
un primo momento, Seifert mostra ciò che non si deve intendere per filosofia
cristiana sia per la suo erroneità sia per la sua insufficienza. In questa
sede, egli mostra che una filosofia cristiana non è la filosofia di un
cristiano tout-court, essa non è neppure il semplice fideismo assunto come
«filosofia di vita». Riguardo al fidesimo, anzi, il filosofo austriaco mostra
che esso costituisce «una posizione completamente astorica, da che il fatto che
è stata integrata nella filosofia cristiana la maggior parte dei risultati
delle filosofie di Aristotele, Platone e di altri filosofi pre-cristiani,
cosicché un largo corpo di contenuti è comune tra filosofi pagani e cristiani,
per non parlare di alcune parti puramente filosofiche della Sacra Scrittura»
(38).
Una
filosofia cristiana non consiste neppure nell’identificazione con una certa
scuola filosofia – una philosophia perennis – in quanto tale
dogmatizzazione del metodo filosofico costituirebbe in fondo un’offesa allo
stesso Tommaso d’Aquino il quale, nel suo filosofare puntava sempre a
un’analisi delle diverse posizioni e cercava di distillare la verità contenuta
in esse, senza cadere in un sincretismo o eclettismo. Tommaso cercava di unire
le verità in un corpus veritatis, sforzandosi – quasi come un
fenomenologo ante litteram – di andare alle cose stesse.
Parlando
dei sensi validi di filosofia cristiana, Seifert offre un ricco ventaglio di
significati e di sfumature. Egli mostra che la filosofia cristiana non può
credere a una «doppia verità», una delle fede e una della ragione, perché la
verità è una. La filosofia cristiana è una filosofia che tratta i temi
rilevanti per la fede cristiana. È una filosofia autentica che si affida ai due
lumi non contradditori della fede e della ragione. In questa sede merita la
ripresa di una bella metafora di san Bonaventura parafrasata dallo stesso
Seifert:
«Immagina
un uomo che veda una foresta solo per mezzo della luce di un fuoco o della
luna. Egli vedrà per lo più solo contorni e ombre e sarà incapace di vedere gli
oggetti distintamente. Se però il sole illumina quella stessa foresta, allora
l’uomo non solo vedrà di quella alla luce del giorno quando guarderà a quella
stessa realtà alla quale aveva guardato di notte, ma anche egli vedrà meglio
gli stessi oggetti durante la notte».
Seifert
spiega il senso della metafora rispetto alle verità viste dalla sola ragione e
viste alla luce della fede: «In un modo simile, è di gran lunga più facile per
un filosofo vedere le cose nella loro vera natura ed evitare errori una volta
che ottenuto, attraverso una parola divina, una loro conoscenza che si spinge
incomparabilmente più lontanto» (54-55).
Tra
i vari sensi, spicca allo sguardo una specificazione etica della filosofia
cristiana. Seifert sottolinea, infatti, la necessità di una vita di integrità
morale e di virtù cristiana per cogliere certe verità filosofiche.
Il
titolo del libro fa intravvedere già una duplice trattazione: una sulla
filosofia cristiana e una sulla libertà. In effetti, la seconda parte può
essere considerata un’applicazione concreta e «casistica» degli assunti della
prima parte. Nello sviluppo della tematica della libertà, Seifert mostra come
una errata considerazione della libertà mina gravemente il grande edificio
filosofico anzi anche teologico. Nella pars destruens, Seifert
mostra come la negazione della libertà porti alla negazione della bontà di Dio,
anzi della distinzione tra Dio e uomo, e alla riduzione di Dio a un dio-demonio
e, in ultima analisi, mini il fondamento delle fedi ebraica, cristiana e anche
musulmana. E nella pars construens, mostra i fondamenti di una filosofia
della libertà.
L’importanza
delle due tematiche trattate, il loro concatenamento e la sorprendente fluidità
del ragionamento di Seifert rendono il suo libro una piacevole e raccomandata
lettura.