La difficoltà di parlare di Dio
non nasce oggi a causa delle rivoluzioni scientifiche e digitali che hanno
mutato la nostra percezione della realtà. Non è nata neanche ieri con il
profilarsi del criticismo e dell’ateismo moderno. La difficoltà di parlare di
Dio è pertinente a qualsiasi contesto umano del parlare di Dio perché in
fin dei conti è co-essenziale alla natura stessa del discorso umano sul
divino.
La prima difficoltà che Christoph
Böttigheimer elenca – nel suo libro Le difficoltà della fede. Riflessioni
teologiche su problematiche questioni di fede ed esperienze ecclesiali –
viene dal classico mondo della teodicea: è quella della sofferenza
inspiegabile. La fede fatica a dare una risposta ultima e risolutiva. «Il fatto
che il credente sia condannato al silenzio dinanzi a una sofferenza
inspiegabile fonda il carattere di avventura e di rischio o di fiducia della
sua fede».
Ma questa difficoltà che possiamo
definire come contestuale rimane pur tuttavia secondaria rispetto
all’incomprensibilità della natura stessa di Dio e del conseguente discorso su
di lui. Anzi, secondo Karl Rahner, l’incomprensibilità del dolore che rimane
tale per il credente è «una porzione dell’incomprensibilità di Dio». Dio rimane
nel dolore come nella gioia il Deus absconditus (Is 45,15).
Da qui nasce la natura non
invidiabile della missione del teologo sintetizzata nella sua conflittualità
dal pioniere della teologia dialettica Karl Barth: «In quanto teologi noi
dobbiamo parlare di Dio. Ma noi siamo uomini e come tali non possiamo parlare
di Dio».
L’Antico Testamento presenta
un’inaspettata ricchezza di silenzio pudico sull’essere e sull’esperienza di
Dio. Il divieto delle raffigurazioni, l’impossibilità di vedere di Dio e
rimanere in vita, vedere Dio nel suo passaggio e «di spalle», percepire Dio
soltanto nella «voce di un sottile silenzio», sono solo alcuni dei loci apofatici
e dei ricchi paradigmi di teologia negativa. Anche la risposta enigmatica di
Dio a Mosè nell’episodio del Roveto Ardente (Es 3), ci lascia con il sentore della
misteriosità, ineffabilità e inafferrabilità di Dio. Il nome che Mosè sente
«non è – come osserva giustamente Eckhard Nordhofen – un nome, è in ogni caso
un sostituto, è rivelazione del non rivelato. Rivelazione dell’Indicibile, Dio
si è rivelato come l’Indisponibile, l’Inconoscibile». A ragione Böttigheimer ci
ricorda che «nell’Antico Testamento, e da allora sempre nella tradizione
ebraico-cristiana, il luogo più pericoloso della de-finizione di Dio non è
l’immagine, ma la parola e il nome di Dio».
Questa percezione della realtà di
Dio farà sì che il discorso su di Lui si presenti al massimo come discorso
analogico dove l’affermazione di ogni similitudo sarà accompagnata dalla
coscienza e dall’affermazione di una maggiore dissimilitudo, per
riecheggiare una celebre espressione del quarto Concilio Lateranense. Tutti i
grandi Padri della Chiesa impronteranno le loro affermazioni su Dio sulla
coscienza dell’indicibilità di lui.
La dottrina dell’analogia è
costituita da tre momenti sviluppati nella teologia mistica dello
Pseudo-Dionigi l’Areopagita:
- una fase super-affermativa
degli attributi divini. È la fase catafatica dove si risale al Dio
incomprensibile astraendo da lui tutto ciò che è terreno.
- questa fase è seguito dalla
negazione apofatica. I predicati affermati non esprimono l’essenza di Dio e
quindi vanno negati per non fraintendere la sua realtà. Dio – secondo un
celebre testo dell’Areopagita - «non ha potenza e non è potenza; non è luce, non vive,
né vita; non è sostanza, né eternità, né
tempo; non è oggetto di contatto intellettuale, non è scienza, né verità, né
regalità né sapienza; non è né uno, né unità né divinità né bontà».
- la teologia apofatica trova il
suo culmine nella teologia mistica (via supereminentiae nel gergo
tomista) che nega ancora una volta la negazione rendendo ben chiaro che neppure
l’apofasi raggiunge la conoscenza essenziale di Dio. L’uomo è portato alla
soglia del silenzio adorante e attivo della mistica. Conoscere Dio realmente è
essere catturati ed essere uniti alla Parola nel silenzio della mistica. «Noi
preghiamo – scrive lo Pseudo-Dionigi – di trovarci in questa tenebra
luminosissima e mediante la privazione della vista e della conoscenza poter
vedere e conoscere ciò che sta oltre la visione e la conoscenza con il fatto
stesso di non vedere e di non conoscere. Questa, infatti, è la maniera di
vedere veramente e di conoscere».
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Il discorso sul «come parlare di
Dio» è solo una delle tante questioni affascinanti trattate da Christoph
Böttigheimer nel prezioso libro Le difficoltà della fede. Riflessioni
teologiche su problematiche questioni di fede ed esperienze ecclesiali. È
difficile decidersi di leggere questo volume solo in parte. Il linguaggio
teologico, ricco ma non ostico, e l’interesse delle domande poste rendono il
volume una proficua lettura e un valido riferimento per la consultazione.
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Il libro è disponibile sul seguente link: Le difficoltà della fede
Photo: Some rights reserved by AlicePopkorn
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