Robert Cheaib
Stando alle affermazioni degli studiosi dei vangeli, il
«Padre nostro» condensa il contenuto centrale e decisivo della predicazione di
Gesù. Esso esprime, da un lato, la configurazione dei desideri del cuore del
credente e, dall’altro lato, il modo in cui i seguaci di Gesù dovrebbero
rivolgersi al Padre a cui con fede si affidano. Il loro modo di pregare rivela
non solo cosa chiedono, ma a chi si rivolgono. Il Pater rivela
qualcosa del Padre che «nessuno ha mai visto».
Imparare cosa credere e imparare cosa sperare sono due
movimenti teologali che si accompagnano necessariamente e sono sorretti e
coronati dalla natura dell’amore chiaroveggente che sa che al posto di «cosa»
c’è un Volto, c’è un Altro che è affidabile, che è vicino. È necessaria
un’educazione e un orientamento verso un tale vissuto teologale ed è quanto si
propone il libro del teologo Jürgen Werbick, Padre nostro. Meditazioni
teologiche come introduzione alla vita cristiana, edito dalla Queriniana.
Il libro offre un commento teologico meditativo in dieci
capitoli alla preghiera liturgica del Padre nostro. Sono meditazioni
perché mettono al centro le domande del Padre nostro per coglierne il senso e
raccogliere attorno ad esse le esperienze. E sono meditazioni teologiche
in quanto a partire da questo centro si cerca di vedere «come questa
concentrazione possa proiettare la sua luce anche sui problemi pressanti della
vita e del pensiero del presente».
Un retto sperare
La preghiera è affine alla speranza, e per questo
l’educazione alla preghiera richiede l’educazione alla retta speranza. È
fondamentale porsi la domanda di kantiana memoria: «Che cosa possiamo
sperare?». Werbick evidenzia come «le speranze troppo pretenziose distolgono
dalle battaglie che oggi bisogna combattere consapevolmente e che richiedono la
nostra presenza». La speranza del wishful thinking non è degna
del nostro oggi e della nostra umanità. «Introdurre alla fede e alla sua
speranza non significa allontanare dai campi di battaglia». D’altro canto,
l’alternativa allo sperare troppo potrebbe essere quella di
«ridimensionare le speranze umane fino al punto che permettano a quanti sperano
una realistica prospettiva di azione», del confinamento dell’orizzonte-speranza
a delle trascendenze intermedie o piccole. È un ripiegarsi sull’essere
«religiosamente insensibili», per utilizzare un’autodefinizione di Habermas.
La speranza della preghiera è una via media che non
si lascia inflazionare né dall’utopia sognante né dal fatalismo del pessimismo.
Chi assume la fede di Gesù non può smettere di sperare che la giustizia di Dio
possa essere più grande della «giustizia imposta ai poveri a vantaggio dei
ricchi». Ma ciò che è più importante è la speranza che diventa un’operare della
speranza, cosicché «chi spera per sé e per gli altri infaticabilmente e
insaziabilmente punta sulla possibilità del cambiamento nel piccolo e nel
grande. Sotto questo aspetto la speranza è indivisibile. Essa non sarebbe
speranza ma semplice calcolo, se mirasse solo al proprio vantaggio. Essa non
sarebbe sino in fondo speranza, ma sarebbe già guastata dalla rassegnazione se
non mirasse al cambiamento adesso».
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Questo piccolo libro costituisce un volto complementare alle
altre opere voluminose e ben note di Werbick, e rappresenta sia una sosta
orante e contemplativa dinanzi al Dio coinvolgente sia un’espressione
concreta dell’essere responsabili della fede.
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Il libro è disponibile su Queriniana.