Robert Cheaib
Vi è una bella differenza tra
vera grandezza e megalomania, tra valore reale e pura manifestazione, tra
irradiazione sostanziale e luccicore effimero. Se si vuole pensare e parlare
dell’uomo in grande, è necessario saper distinguere i veri criteri di dignità.
Il libro di Wilfried Härle, Dignità. Pensare in grande dell’essere umano,
dell’Editrice Queriniana, si propone di parlare di questa dignità, partendo dal
discorso soggiacente e primigeio sulla «dignità umana» quale grandezza comune a
tutti gli uomini e che come tale va riconosciuta a ogni essere umano.
Le parole non tramontate nella
loro attualità di Marco Tullio Cicerone possono ricordarci un punto di partenza
che è un’acquisizione antica e pur sempre nuova: «Si deve riconoscere che noi
siamo investiti per così dire dalla natura di due ruoli. Uno di essi è comune,
per il fatto che tutti noi partecipiamo alla ragione e al privilegio dal quale
deriva tutto quanto è onorevole e dignitoso, e a partire dal quale viene
sviluppato il metodo per trovare il retto agire. Ma l’altro è quello che viene
attribuito propriamente ad ognuno».
La nostra dignità, in poche
parole, è costituita da un elemento comune e da un altro specifico che
costituisce il carattere distintivo di ogni persona sullo sfondo della
comunanza con tutti gli altri. Le due forme – come puntualizza Härle – non si
contraddicono a vicenda, ma costituiscono i due volti complementari della
dignità. Il fondo comune implica un diritto fondamentale, quello al «rispetto»
che si presenta non solo come dimensione etica ma anche come dimensione
giuridica.
La manifestazione del rispetto
richiede una concretizzazione precisa che comincia con il considerare l’uomo
«come fine» e mai come «semplice mezzo». In questo stesso diritto al rispetto,
ogni persona umana si trova investita dal diritto di autodeterminarsi che a ben
vedere si manifesta anche come dovere morale di autodeterminazione e
autorealizzazione. Il rispetto si configura essenzialmente come «rispetto
dell’umanità dell’uomo» che si traduce in un riconoscimento della
«inviolabilità della dignità umana».
Tutte le affermazione fatte testé
sembrano degli assoluti, ma purtroppo non sono così evidenti o, almeno, non
sono così universalmente condivise. Il libro di Härle considera l’aspetto
controverso della dignità umana sotto tre profili: quello filosofico, quello
politico e quello giuridico.
L’impegno dell’autore è quello
allora di cercare di offrire una fondazione condivisibile della dignità umana.
Delle varie possibilità l’autore ne predilige due: il rimando alla destinazione
e alla natura razionale dell’uomo. Ma a ben vedere questi stessi fondamenti non
sono aprioristicamente condivisi: da un lato,chi nega il riferimento religioso
o trascendente fatica ad accogliere la prospettiva della destinazione,
dall’altro lato, la seconda presuppone determinate ipotesi sulla fondazione e
la limitazione della ragione che sono tutt’altro che ovvie. Il cammino
impegnato e impegnativo di Härle nella seconda metà del libro è quello di
rendere ragione della con divisibilità di questi presupposti per una fondazione
alquanto necessaria della dignità umana.
Photo: Some rights reserved by Viewminder
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