Robert Cheaib
Una sottile tentazione del
teologo «di mestiere» – soprattutto del teologo della Fondamentale, che si
trova sulle frontiere dell’arte, della filosofia, della sociologia, della
letteratura – è quella di omologare e omogeneizzare i contenuti importati, saltando
la dogana dove deve dichiarare l’irriducibile alterità dell’altro. Una vera
apertura alle altre discipline non deve consistere nel violare la loro
particolarità per asservirle, come ancillae, al pur sublime intento
teologico. Anzi, la teologia deve avvicinare le altre discipline con umiltà e
stupore. Nel caso specifico della poesia– e per dirla con Michael Paul
Gallagher – «la teologia ha un disperato bisogno di imparare dal linguaggio
della poesia più che dal suo contenuto».
Nel suo libro Disprigionare
l’immenso. La poesia di Alda Merini: una pro-vocazione al linguaggio teologico,
Claudio Cianfaglioni è sostenuto e sostiene la convinzione – affermata dal
poeta Christian Wiman – che «molto spesso l’arte è più capace di fare teologia
della teologia stessa». Seppure nessun linguaggio è degno di Dio, forse il
linguaggio poetico risulta meno indegno e più ispirato e ispirante di altri. La
parola poetica, quando è detta, invece di morire, diventa un riverbero di
ritmo, armonia e bellezza che genera vita.
Il libro di Cianfaglioni si trova
all’interstizio tra teologia e letteratura, senza la pretesa di creare una
con-fusione, ma con la chiara volontà di invitare la teologia a lasciarsi
contagiare da una provocazione volta a permettere alla parola della teologia di
riconquistare freschezza e campo. Nelle parole stesse dell’autore, il volume è «meta-letterario e, insieme,
meta-teologico, perché pur non trattando spiccatamente ed esclusivamente
dell’una e dell’altra disciplina, le mette concretamente in dialogo, getta un
ponte tra queste due attività umane, accomunate entrambe dal loro essere
attività “seconde” rispetto all’esperienza, che resta il dato “primo” di cui
tutte e due, coi rispettivi metodi e strumenti, voglio essere analisi».
È interessante come l’autore
inserisce Alda Merini sullo scenario della sua pro-vocazione. Egli
parte, infatti, dalla lettura di Erri de Luca della genealogia di Gesù,
dove spiccano cinque nomi di donne accomunate dallo «scandalo»: Tamar, Rahab,
Rut, Betsabea e Maria, e introduce nel panorama del suo lavoro un’altra donna
scandalosa, la Merini, appunto. La storia di Gesù passa anche attraverso queste
cinque donne scandalose che ci aprono alla sorpresa, dove la pietra di scandalo
per eccellenza diventa pietra angolare. Cianfaglioni, con grande tatto e
sensibilità poetica che attraversa l’opera, non corre il rischio di canonizzare
o di forzare il battesimo dei versi della Merini, ma li considera con empatia
cercando di ascoltarne gli echi e di raccoglierne gli stimoli per il linguaggio
teologico.
La finalità di quest’operazione è
quella di contribuire a rendere la teologia più a casa presso gli uomini e le
donne di oggi. Tale contributo prende appieno dallo stile dell’incarnazione e
della «umanizzazione» di Dio che instaura un umanesimo caratterizzato dall’invenzione
di nuovi linguaggi «oltrepassando l’umano nell’umano». L’urgenza di tale
compito nasce dalla diagnosi – offerta acutamente ed eloquentemente da Armando
Matteo – in cui si constata come, purtroppo, le metafore cristiane oggi «non
mediano, non medicano, non fanno meditare nessuno».
Come può la poesia provocare la
teologia? – attraverso la restituzione alla lingua il suo tono poetico rendendo
«cantabili i dogmi», reintroducendo l’incanto di una liturgia e di una prassi.
Non a caso il titolo del libro si riferisce non a una pro-vocazione alla
teologia, ma, più umilmente e più precisamente, al linguaggio teologico,
alla sua espressività e al suo modo di dire Dio. La teologia in fondo
«niun’altra cosa è che una poesia di Dio» (Giovanni Boccaccio). E la Merini
ricorda che Cristo «è stato un grande poeta e che le sue lodi a Dio erano la
voce di Dio stesso». In una lettera immaginaria a un giovane teologo,
Cianfaglioni mette queste parole sulla bocca della poetessa:
«E Gesù, l’uomo per
eccellenza, ha passato nella sua vita breve tutti i triboli degli uomini.
Se vuoi fare una sua teologia, una vera cristologia, non puoi non dare voce a
questi triboli attraversati, vissuti, sanati e redenti nel già della grazia ma
non ancora pienamente superati nel tempo della storia. Non temere che la tua
teologia si contamini e si lordi di tutta questa umana sofferenza: anzi,
ricorda che la sabbia che entra nelle valve dell’ostrica forma la perla. Che le
valve della tua teologia si aprano sempre più generose.
Se ti fai altro Lui, come teologo
potrai parlare di tutti i trattati da questa prospettiva: della grazia, del
peccato, dei sacramenti, dell’Eucaristia. Sì, l’Eucaristia, pane di Dio in
terra che trasmuti le lacrime in vino dolce. Comunione dei forti, comunione dei
deboli, fonte di ispirazione dei poeti».
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Il libro è disponibile su questo link