Un
modo di fare teologia nella postmodernità. La riflessione di Ch. Theobald
Robert Cheaib
La modernità e la postmodernità
hanno suscitato trasformazioni grandi non solo all’interno della società nell’intimo
dell’identità cristiana. Tali cambiamenti non erano più riferiti a specifici
punti della dottrina cristiana ma, più radicalmente, alla sua stessa forma.
Questo cambiamento nel luteranesimo avvenne alla svolta tra il XVIII e il XIX
secolo, mentre nel cattolicesimo durante la crisi modernista sulla soglia del
XX secolo. Il concilio Vaticano II ha registrato questa scossa occupandosi
prevalentemente dell’aspetto contestuale e pastorale della rivelazione in seno
alle società moderne. L’approccio “stilistico” proposto dal gesuita Christoph
Theobald intende portare a compimento le intuizioni del Concilio nell’ambito
dei più recenti mutamenti culturali.
Le tematiche dello “stile” e del
“modo d’essere” del cristiano non sono una novità. Esse sono fondamentali nei
pensiero di autori di spicco nella storia cristiana. Un esempio è lo stile del frate
predicatore che Tommaso d’Aquino, nella terza parte della Summa,
costruisce sulla stregua del modo conversationis Christi, e che presenta
così: “vita attiva con la quale uno, predicando e insegnando, comunica agli
altri le verità contemplate”. Parimenti sant’Ignazio presenta il modus
procedendi dei gesuiti come “contemplazione nell’azione”. Più recentemente,
l’esegesi biblica e “la terza ricerca” sul Gesù storico, ha messo ancora più in piena luce la singolarità dello stile
di vita di Gesù e dei suoi nella società giudaica del tempo.
Tutti questi approcci
sottolineano l’inscindibile rapporto nel cristianesimo tra “contenuto” di fede
e “maniera” di procedere e di situarsi nell’esistenza. L’uomo contemporaneo è particolarmente
sensibile a questo rapporto ermeneutico tra contenuto e stile. Questo dato di
fatto è stato stigmatizzato in un’osservazione di Paolo VI resa celebre anche
da Giovanni Paolo II: “L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni
che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”. Si
avverte allora la sfida rappresentata oggi dalla comprensione del
“cristianesimo come stile” e della teologia come “un modo di fare a servizio di
questo stile”.
L’ouverture dell’opera
presenta il concetto di stile quale “emblema di un modo di abitare il mondo”
proponendo una panoramica modera e postmoderna sulla comprensione del concetto
di stile. Passa di seguito alla considerazione dell’identità cristiana in
termini di stile accennando in particolare al pensiero di Schleirmacher e di von
Balthasar che permettono progressivamente un passaggio concettuale dalla
modernità estetica a una nuova estetica trascendentale che sboccia, con
l’autore di Gloria, in un’estetica teologica. L’autore passa a
considerare lo stile “messianico” ed “escatologico” che si riflette nel Nuovo
Testamento. Per riprendere, infine, l’acquisizione stilistica compiuta dal
cattolicesimo contemporaneo.
La prima parte del libro presenta
una diagnosi teologica del momento presente che considera il dibattito
teologico sul modernismo considerato quale sintomo di una crisi che invita a
una ri-comprensione del cattolicesimo. In questo contesto è rivalutata la
prospettiva del filosofo francese Maurice Blondel che presenta un’apologetica
filosofica del cristianesimo capace di rispondere alle esigenze del pensiero
contemporaneo.
La seconda parte del libro
propone un modo di procedere che si snoda in cinque proposte complementari:
recupero della teologia spirituale in seno alla dogmatica, senza ignorare i
punti di attrito che sussistono; la considerazione della teologia come
discernimento della vita autentica quale proposta ignaziana di fare teologia;
attenzione al legame intrinseco tra regno di Dio e “giustizia”; le ripercussioni
della narratività sulla teologia; il carattere confessionale della teologia
davanti alla sfida della scientificità e dell’oggettività.
apparso su Testimoni 20 (2009) 30.
Il libro è disponibile sul seguente link: Il cristianesimo come stile