Quattro sfide fondamentali secondo il sociologo Hans Joas
Robert Cheaib
Il cristianesimo può coniugarsi
al futuro? O è ormai un presente che viene trascinato con fretta dai carri del
passato? È questa la riflessione centrale del volume di Hans Joas – La fede
come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo – che nasce come
prosecuzione di un’altra opera del 2004 Braucht der Mensch Religion
(trad. it.: Abbiamo bisogno della religione, Rubbettino 2010). Joas,
sociologo e pensatore capace «di coniugare – secondo la descrizione del
filosofo Paolo Costa – la tradizionale esigenza teutonica di sistematizzare il
sistematizzabile con una sensibilità postmoderna per la contingenza», si propone
di considerare lo statuto della religione nella nostra epoca, l’epoca appunto
della contingenza.
La fede come opzione
Con il concetto di «opzione»,
Joas si propone di prendere sul serio l’idea fondamentale presente nel libro A
Secular Age di Charles Taylor, dove si evidenzia come l’ascesa della
condizione/opzione secolare abbia cambiato fondamentalmente le condizioni della
fede. La fede (cristiana) non deve più giustificarsi soltanto nella specificità
della sua natura confessionale o al cospetto delle altri religioni, ma si trova
a doversi giustificare nella propria
essenza stessa, come credenza nei confronti di una non credenza che,
all’inizio, si pone come possibilità, ma che gradualmente si impone come la
normalità.
La complessità dell’epoca moderna
ha mostrato la fallaccia di alcune ipotesi prese per assolute nel passato, tra
cui: il collegamento empirico tra mancanza di fede e progresso (ove la
religione era considerata come primo ostacolo dinanzi allo sviluppo scientifico
e tecnico), e il collegamento empirico tra religiosità e morale (ove la
religione era considerata l’unica garante della morale).
La scomparsa di queste presunte
ma inconsistenti certezze non è motivo di rimpianto, ma è una situazione
opportuno che mette credenti e non gli uni dinanzi gli altri per riflettere
insieme con più libertà sulla natura della fede e della non credenza. Siamo
dinanzi a un dato di fatto: credenti e non credenti devono vivere gli uni
accanto agli altri e non si prospetta una rapida estinzione di nessuna delle
due razze. Questo perché la modernizzazione non conduce necessariamente alla
secolarizzazione, e la secolarizzazione non sfocia necessariamente in una
decadenza della morale. Bisogna inoltre far pace con l’idea che la barriera
“razziale” tra le due fazioni è più permeabile di quanto si desideri.
Futuro per il cristianesimo?
L’audacia del libro di Joas nasce
dal coraggio di parlare del futuro, e nella fattispecie, del futuro del
cristianesimo. Egli stesso riconosce la rischiosità dell’impresa riconoscendo
l’inconsistenza della «futurologia». Ma il suo parlare di futuro non è
divinatorio ma propositivo. L’autore propone, infatti, ambiti fondamentali nei
quali il cristianesimo è sfidato e in cui può e deve impegnarsi se vuole
conservare la sua rilevanza.
Il primo ambito è l’ethos
dell’amore che costituisce un indizio di superiorità del cristianesimo
sopra le istanze individualistiche ed egocentriche. In questo contesto, la
sfida etico-teologica consiste nel sottolineare con competenza i limiti
dell’individualismo utilitaristico.
Il secondo ambito è quello della personalità
che rappresenta una grande sfida dinanzi a una società che da un lato afferma
il primato dell’uomo, ma dall’altra lo svilisce attraverso un rigoroso credo
naturalistico e riduzioni stico. È quanto mai attuale la necessaria
affermazione dell’irriducibile «nucleo sacro di ogni essere umano» ispirata
agli elementi della fede cristiana nella
«immortalità dell’anima, della somiglianza dell’essere umano con Dio o della
sua figliolanza divina».
Il terzo ambito è quello della spiritualità.
La sete di spiritualità è una sete quasi indiscussa nei nostri contemporanei. «Questo
bisogno – come nota Joas – non si traduce però, se non raramente, nell’esigenza
di avvicinarsi alla chiesa, perché essi partono dall’idea che la spiritualità
sia qualcosa che può essere sviluppato in maniera puramente individuale. Di
conseguenza, vedono la chiesa più come un ostacolo che come una risorsa per lo
sviluppo della loro personalità». La Chiesa, per dirla con Charles Taylor,
dovrebbe ripensare la qualità della sua presenza nel mondo e declinarsi con le
categorie della agapé. Scrive Taylor: «La linfa della nuova relazione è
l’agapé, che non potrà mai essere compresa semplicemente nei termini di
un insieme di regole, bensì come l’estensione di un certo tipo di relazione, che
si dirama come una specie di rete. In questo senso la chiesa è essenzialmente
una rete sociale, ancorché unica nel suo genere, in quanto le relazioni non
sono mediate dalle forme storicamente determinate di dipendenza parentale,
lealtà a un capo ecc. Essa le trascende tutte, non sfociando però in una
società categorica fondata sulla somiglianza tra i membri, come per esempio la
cittadinanza, bensì in una trama di relazioni sempre differenti di agapé».
Infine, il quarto ambito proposto
da Hans Joas è la trascendenza. Egli puntualizza che non si riferisce a un’accezione
«annacquata» di trascendenza, intesa come qualsiasi forma di fuga e superamento
della realtà quotidiana. La trascendenza non è fuga, ma è presenza e
rappresentanza del sacro nella linfa del profano.
Come si trova il cristianesimo
dinanzi a queste quattro sfide? – Il giudizio di Joas è positivo: «Nei
confronti delle quattro sfide esaminate qui più a fondo mi pare che il
cristianesimo sia, in linea di principio, ben equipaggiato. Esso deve però
uscire dalla posizione difensiva a cui è stato relegato nel corso di decenni di
progressiva secolarizzazione, soprattutto in Europa, o in cui si è
spontaneamente ritirato, e dimostrare la sua capacità di articolare in modo
nuovo e convincente il proprio messaggio nei confronti di tali sfide. Solo
allora non sarà più percepito come una minoranza in fondo irrilevante».
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Il libro è disponibile su questo
link: La fede come opzione