«Ciascuno ha dentro di sé diverse
coppie di polarità. Una di queste è ragione-sentimento, quando uno
vive soltanto nella ragione, i sentimenti vanno nell’ombra e diventano
sentimentalismo. Lì acquistano un grande potere, perché non è più l’uomo che ha
dei sentimenti ma i sentimenti che hanno l’uomo. Ovviamente bisogna trovare un
equilibrio. Per farlo occorre sapersi accettare» (Anselm Grün)
Intervista di Claudio Gallo (La Stampa)
Si è appena conclusa la preghiera di mezzogiorno all’abbazia
benedettina di Münsterschwarzach, ventidue chilometri da Würzburg, Baviera
settentrionale, Franconia per la gente del posto. Capelli fluenti ormai
scappati dalla fronte, la lunga barba incanutita, Anselm Grün, 69 anni, ha
scritto trecento libri sulla psiche e sullo spirito, vendendo in tutto il mondo
20 milioni di copie. Sta preparando un nuovo volume sulle ferite psicologiche
dell’infanzia insieme con Walter Kohl, figlio del cancelliere dell’Unificazione
tedesca, uno che dovrebbe intendersene.
Padre Grün, ho l’iPhone, una bella automobile, una bella
ragazza. Se non li avessi, il mio comandamento sarebbe di procurarmeli. Perché
dovrei interessarmi alla religione?
«La religione dà un senso alla vita. L’uomo desidera il
successo, il denaro, ma queste cose, se pur si realizzano, non ci danno la
soddisfazione sperata, restiamo senza pace. La religione risponde al richiamo
dell’anima: è il desiderio di una vita buona».
Molti «maestri spirituali» ci spingono a guardare dentro
di noi, svalutando la realtà esteriore. Ma quando Gesù dice: «Date a Cesare
quello che è di Cesare», non riconosce forse che l’uomo è un essere sociale?
«La spiritualità si occupa della trasformazione personale,
ma san Benedetto insegna: ora et labora. La responsabilità di
fronte al mondo è una cosa molto importante per i fedeli. I cristiani non
vivono solo per se stessi, vivono con gli altri e hanno il compito di
trasformare la società. Max Horkheimer, il filosofo della scuola di
Francoforte, ha detto che la religione ha il compito di rendere la società umana,
di coltivare il desiderio per il totalmente altro. La società
abbandonata a se stessa vuole controllare tutto, definire ogni comportamento
umano La religione custodisce uno spazio di libertà».
Perché dovrei avere dei valori morali quando l’obiettivo
supremo della nostra società, la ricchezza, si raggiunge più facilmente senza?
«Al monastero mi capita spesso di fare conferenze a manager
e banchieri. Ci sono due atteggiamenti: uno che non rispetta e non crede ai
valori, l’altro che invece ha capito come sia importante salvaguardarli, perché
alla fine un mondo senza valori danneggia anche l’economia».
L’economia rincorre la crescita illimitata, la morale del
mercato è il desiderio infinito. Lei invece parla di senso del limite, perché?
«Come dice il Papa, il capitalismo puro diventa disumano.
Per fortuna in Germania abbiamo l’economia di mercato sociale dove
il capitalismo è sottoposto a una critica, a certe limitazioni. Limite ha due
significati diversi: il primo è il limite personale, i miei limiti umani. Il
secondo è la finitezza della natura, per cui ogni crescita è limitata e
destinata a finire, a morire. Questo tipo di crescita naturale dovrebbe essere
il modello dell’economia. La concezione di una crescita senza limiti è una idea
malata».
Usando un termine dello psicoterapeuta Carl Gustav Jung,
lei invita ad accettare la propria ombra: che cosa significa?
«Jung dice che ciascuno ha dentro di sé diverse coppie di
polarità. Una di queste è ragione-sentimento, quando uno vive
soltanto nella ragione, i sentimenti vanno nell’ombra e diventano
sentimentalismo. Lì acquistano un grande potere, perché non è più l’uomo che ha
dei sentimenti ma i sentimenti che hanno l’uomo. Ovviamente bisogna trovare un
equilibrio. Per farlo occorre sapersi accettare. Devo ad esempio saper
riconoscere i miei impulsi sadici e masochistici, la mia cattiveria, la mia
aggressività. Sono pulsioni che non vanno vissute, è chiaro, ma neppure negate.
È importante saperle osservare con umiltà. Dalla paura dell’ombra nasce il
moralismo, e più c’è paura più la severità del moralista cresce».
La società corre sempre più in fretta e noi fatichiamo a
tenere il ritmo. La velocità moderna non è l’opposto della pace interiore?
«Molte persone percepiscono questa velocità come una
minaccia al loro equilibrio, alla loro salute, una fonte costante di angoscia.
Allora si cerca la quiete, ma a questo punto ecco un paradosso: la calma fa
paura. Emergono alla superficie i nostri incubi, i sensi di colpa, di
inadeguatezza, il timore della verità, delle malattie, della morte. La verità
della calma terrorizza, la gente non vuole ricordare i propri limiti. È una
porta che va attraversata».
Il cristianesimo insiste sulla libertà umana ma la
scienza moderna sembra considerare l’uomo soltanto come una sofisticata
macchina bio-chimico. Basta una pillola a essere felici?
«La libertà dell’uomo non è assoluta. La psicologia ci
insegna che siamo dipendenti dall’inizio della nostra storia, dalle ferite
dell’infanzia. C’è una storia che non possiamo cambiare anche se la
responsabilità di rispondere spetta a noi. Nella risposta sta la nostra
libertà. La depressione può avere un senso. Ci sono diversi tipi di depressione
e alcuni, certo, vanno trattati con i farmaci. Ma talvolta la depressione è una
ribellione contro un’immagine interiore troppo alta, troppo elevata,
l’ossessione per il successo, per la perfezione. In questi casi è un modo per
riportami alla mia misura vera. A volte la depressione è dovuta alla mancanza
di radici nella storia personale, nella fede, nella forza che dovrebbe venirci
dalle figure del padre e della madre».
Che cos’è la fede?
«La fede è un’esperienza. Quando un non-credente mi dice: io
non posso credere, gli dico: non devi credere, prova! Gesù dice: Dio è il
pastore, non manco di nulla. Non bisogna credere ma provare se questa parola è
vera. Poi c’è un altro aspetto: che cosa vedo quando vedo la bellezza della
natura, che cosa ascolto quando ascolto Mozart. Non è solo chimica. Nella
bellezza della natura e nella bellezza della cultura riluce la bellezza
assoluta. Questo è Dio. Quando uno dice non credo a Dio, in genere si riferisce
a un’immagine particolare di Dio. Ma Dio è totalmente altro, mistero,
come dice il teologo Karl Rahner. Quando uno ha il senso del mistero ha anche
il senso di Dio».
Lei talvolta parla degli angeli, che cos’è un angelo?
«Bisogna stare attenti a non ridurre l’angelo a qualcosa di
troppo familiare, come fa la New age o un certo esoterismo: all’angelo non si
può telefonare. La teologia dice che gli angeli non sono persone ma forze
personali, forze che proteggono la persona. L’angelo ci accetta come siamo e ci
aiuta a stare con noi stessi anche quando gli altri ci disprezzano o ci
respingono. Non è solo uno stato psicologico però, diciamo che l’angelo è
un’immagine perché non abbiamo altri modi di esprimerci, ma è una realtà. Una
realtà che viene da Dio».
Che cos’è la preghiera?
«La preghiera è un incontro con Dio. Mostro la mia verità a
Dio. Alcuni credono che la preghiera serva a chiedere qualcosa, ma ciò che
conta è l’incontro: offro la mia verità e le mie ombre a Dio perché lui le
accetti».
Che cos’è la meditazione?
«La meditazione è un metodo. Una cinquantina di anni fa
abbiamo riscoperto la meditazione dall’Oriente, grazie al buddhismo, ma la
tecnica esisteva già nella nostra tradizione, nei padri del deserto o nell’esicasmo
degli ortodossi. A volte bisogna andare lontano per trovare le cose vicine».