Una ricca panoramica sulla
comprensione della fede e sulle sue mediazioni
«Una cosa sono le verità che si
credono, un’altra cosa la fede con cui si credono», questa distinzione
agostiniana espressa nel libro XIII del suo De Trinitate apre già gli
occhi, a chi di teologia della fede sa ben poco, a sottili ma importanti
differenze presenti nelle varie sfumature di riflessione sulla fede e di
comprensione della stessa. Gli inquilini della teologia fondamentale, invece,
sanno bene che la teologia della fede è un ramo ricco della riflessione
teologica dei fondamenti. La teologia fondamentale, infatti, si suddivide
grossomodo in due orientamenti principali: la «teologia fondamentale» intesa
come teologia di frontiera e la «teologia dei fondamenti» intesa come «il
ministero dell’interno» di tutta la teologia (come la mette simpaticamente Michael
Paul Gallagher). Essendo l’incipit dell’esperienza cristiana, dalla parte
dell’uomo, l’atto di fede, questo aspetto del trattato della teologia
fondamentale veniva chiamato De fide.
Il libro di Christoph Böttigheimer,
Comprendere la fede. Una teologia dell’atto di fede, edito recentemente
dalla Queriniana, è un prezioso e chiaro compendio della teologia della fede.
Un highly recommended per chi vorrebbe conoscere, ripassare ma anche
insegnare la teologia dell’atto della fede. Pur trattando le tante sfumature
della problematica teologica in questione, l’autore ha il merito di non
perdersi dietro a questioni marginali, ma di costruire piuttosto un tutt’uno
poliedrico e ricco.
Il volume costituisce la seconda
opera tradotta in italiano di uno dei promettenti teologi tedeschi della nuova
generazione (la prima è Le
difficoltà della fede pubblicata nella collana giornale di teologia
dell Queriniana e che abbiamo presentato in precedenza: Tra parola
e silenzio. Sulla difficoltà e la sfida di parlare di Dio).
Il volto sintetico della fede
L’opera consta di due grandi
sezioni, la prima dedicata alla «comprensione della fede» in cui l’autore, dopo
alcune considerazioni basilari sulla natura e sulle sfumature fondamentali
della fede (fides qua – fides quae) offre un’ottima scansione biblica e
storica della comprensione dell’atto di fede. Risalta in questa parte la
chiarezza della presentazione accompagnata dalla puntualità delle indicazioni
bibliografiche. Appare dalla panoramica il volto ricco della fede che non
consiste soltanto, né nel semplice ritener per vero, né in una conoscenza
puramente razionale, ma «equivale a un’opzione radicale, a una decisione
vitale, che impegna tutto l’uomo». Per cui – come la mette bene H. Fries, la
questione di Dio «non è tanto una questione della facoltà conoscitiva, ma della
capacità di incontrare».
Questo volto sintetico e globale
della fede sarà una grande riconquista di alcuni luminari del XX secolo a
partire da Maurice Blonde, Pierre Rousselot, Henri de Lubac, Hans Urs von
Balthasar, Romano Guardini, Karl Rahner, ecc. Oltre a questo sguardo storico,
il teologo dedica un capitolo per riflettere sulla fede cristiana in modo
sistematico declinandola con varie dimensioni concomitanti con l’atto stesso di
fede come la libertà, la responsabilità, il rapporto tra fede e rivelazione
storica, il nesso tra ortodossia e orto prassi, la questione della
giustificazione, fede e battesimo, ecc.
La mediazione della fede
La seconda parte si concentra sulla
«mediazione della fede». In questa parte, Böttigheimer analizza tre aspetti concomitanti della
fede: la mediazione razionale, la mediazione ecclesiale e la fede messa alla
prova dalla non credenza.
La mediazione razionale considera
come la fede sia un’opzione che riguarda integralmente l’essere umano e che non
prescinde pertanto dalla sua dimensione razionale. La fede retta non può essere
fondarsi sulla contraddizione, seppure si trovi a casa nel paradosso. Il credo
quia absurdum non esprime una fede degna dell’uomo dotato di ragione.
La riflessione sulla mediazione
ecclesiale, invece, mostra il volto comunitario della fede. La realtà della
chiesa svolge due ruoli fondamentali che rendono possibili l’atto della fede e
sono: la traditio costitutiva e la traditio interpretativa.
La terza dimensione, infine, è
quella della fede che si manifesta non come una certezza acquisita, ma come una
compresenza di fede e incredulità. Il credente – come lo dipinge bene J.B. Metz
– è simul fidelis et infedelis.
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Con-sensus fidelium
Per chiudere questa presentazione,
esponiamo una delle tante diramazioni della teologia della fede: la questione
del coinvolgimento pratico della comunità credente nella comprensione e nella
definizione della fede, ovvero, la dimensione del con-sensus fidelium.
Nella sua dottrina dei loci
teologici, Melchior Cano presentava le tradizioni orali di Cristo e degli
apostoli, nonché la totalità della chiesa come istanza testimoniale
fondamentale della fede, ricollegabile al sensus fidei. Francisco Suarez
e Roberto Bellarmino seguirono le sue orme, partendo dall’infallibilità della
totalità dei fedeli. Questa teologia fu accantonata nel tempo a favore di «una
riduzione gerarcologica e ideologica della chiesa». Sarà merito di studiosi
visionari come John Henry Newman, Johann Adam Möhler e Matthias Joseph Scheeben il recupero della
teologia del sensus fidelium. Così Scheeben, riconoscendo che il senso
della fede concesso dallo Spirito Santo è infallibile, afferma che la
professione di fede di tutti i fedeli può «a volte precedere cronologicamente e
logicamente una determinata manifestazione del corpo docente e, in tal caso,
influenzare come momento orientativo la successiva decisione del corpo
docente, e pertanto anche ripercuotersi sull’attività specifica di tale corpo».
Yves Congar, nelle sue grandi
ricerche sulla teologia del laicato mostrerà la partecipazione del popolo di
Dio al munus profetico di Cristo. Il Concilio Vaticano II ha recepito
questa teologia che vediamo affermata ad esempio il LG 12: «Il popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio
profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui,
soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un
sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb
13,15). La totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1
Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà
mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai
vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose
di fede e di morale».
Böttigheimer entra nello specifico e spiega che il sensus
o consensus fidelium, non può essere meglio rilevato che attraverso la
via sinodale o con l’aiuto della libera espressione della propria opinione.
Perciò i padri conciliari non parlano solo della “facoltà”, ma addirittura del
“dovere” dei laici “di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene
della chiesa”. Il teologo tedesco nota però che questa dottrina non ha trovato
ancora un posto sufficiente nel diritto canonico che sancisca un ordinamento
giuridico che tuteli il consensus fidelium. «I fedeli andrebbero
coinvolti nella ricerca della verità in misura maggiore di quanto si sia finora
fatto, e in questo contesto la libera manifestazione della propria opinione
nella chiesa non dovrebbe essere continuamente guardata con un senso di
ripulsa, di disapprovazione e di diffidenza».
È il concilio stesso che invita i pastori a «riconoscere» e «promuovere» la dignità e la
responsabilità dei laici nella Chiesa; esortando i pastori a servirsi
volentieri «del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici
in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione». Il
Concilio prosegue l’esortazione ai vescovi così: «Considerino attentamente e
con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti
dai laici e, infine, rispettino e riconoscano quella giusta libertà, che a
tutti compete nella città terrestre» (LG 37).
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