Le parole del titolo sono della luminosa
figura del XX secolo, il fratello universale, Charles de Foucauld, ucciso dai musulmani
a cui si era dedicato con un’eroica gratuità di presenza. Esse mostrano che il
suo martirio, probabilmente un errore umano, non l’ha colto impreparato! Egli
ebbe a scrivere anche: «Vuotiamo, vuotiamo il nostro cuore di tutto ciò che non
è la cosa unica… Il nostro unico tesoro sia tutto di Dio, in Dio, tutto per Dio…
Lui solo; siamo vuoti di tutto, tutto, tutto, tutto il creato, distaccati anche
dai beni spirituali, anche dalle grazie di Dio, vuoti di tutto… per poter
essere completamente pieni di Dio».
Le parole di frère Charles ci danno
il vero senso del martirio, inteso non come momento tragico, ma come esistenza
teodrammatica, come unico vero caso reale e serio.
La pensa similmente Abraham
Joshua Heschel: . Queste parole non nascono in un momento di infiammazione oratoria che
ogni predicatore sente attraversare le proprie vene ogni tanto. Nascono invece
dall’esperienza di un grande uomo, un rabbino che è stato deportato in campo di
concentramento su un carro bestiame.
Vale la pena vivere, se c’è
qualcosa per cui vale la pena morire. Parole forti, esigenti, che forse ha
diritto di dire soltanto chi si è trovato veramente di fronte all’opzione
ultima e ha scelto con coraggio. E quanti cristiani, di tutte le confessioni,
hanno vissuto la verità di quest’affermazione nel XX secolo, (il secolo in cui
sono stati uccisi più cristiani che nei 19 precedenti!)? Il sangue dei martiri
è seme dei cristiani. A ragione papa Giovanni Paolo II ci ricorda che «non le
cosiddette “concessioni” dell'imperatore Costantino garantirono lo sviluppo
successivo della Chiesa, ma furono la “la seminagione dei martiri” e “il patrimonio
di santità” a caratterizzare le prime generazioni cristiane».
Eppure, sul martirio ci sono sempre
stati alcuni luoghi comuni, fomentati dall’ultima ondata di kamikaze dell’islamismo
fondamentalista. Il martirio cristiano è ben altra cosa. Non è una scelta di
morte, ma una scelta di vita, della Vita. Non è una scelta contro, ma una
scelta per. Ce lo ricorda il biblista Bruno Maggioni: «il martire non sceglie
la morte, ma un modo di vivere, quello di Gesù».
Nella stessa linea, il genio
letterario di T.S. Eliot fa dire la concezione cristiana del martirio al vescovo
Thomas Becket nella sua ultima omelia prima del martirio: «Un martire, un
santo, è fatto sempre dal disegno di Dio, dal suo amore per gli uomini, per
ammonirli e per guidarli, per riportarli sulle sue vie. Un martirio non è mai
un disegno d’uomo; poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio,
che ha perduto la sua volontà nella volontà di Dio: non perduta ma trovata,
poiché ha trovato la libertà nella sottomissione a Dio. Il martire non desidera
più nulla per se stesso, neppure la gloria del martirio».
Il martirio è il caso serio che
ci ricorda che non esiste una fede «low cost» (papa Francesco), esprime
una conformazione a Cristo nella vita e nella morte. E non sempre la morte è la
morte corporale. A volte è il martirio delle circostanze, il martirio di una
malattia, di una solitudine vissuta con e per amore. Il martire di oggi può
anche essere, come spiega bene Timothy Radcliffe , «un insegnante che rimane desto
fino a tardi per preparare la lezione per il giorno dopo, o anche solo qualcuno
che si preoccupa di sorridere a chi è spossato, sfinito. Può trattarsi di dire
sinceramente ciò che si pensa, anche se questo potrebbe rovinare la carriera o
far perdere il lavoro».
Il libro di Gerolamo
Fazzini, Scritte con il sangue. Vita e parole di testimoni della fede del XX
e XXI secolo raccoglie testimonianze in prima persona di ben più di 100
testimoni, per la maggioranza cattolici, ma non solo, perché il martirio è una delle
dimensioni di ecumenismo spirituale donate dallo Spirito a tutti cristiani. E non
mancano alcuni estratti di figure non cristiane come l’indù Gandhi, l’ebrea
Etty Hillesum e il musulmano algerino Said Mekbel.