Ricordando i cinquant’anni della Teologia della Speranza
di Jürgen Moltmann
Che valore ha l'eschaton
nell'attualità della vita cristiana? Non capita spesso che quelle realtà,
trattate per ultime, perdessero la loro pregnanza e la loro significatività
all’interno dell’universo e venissero trattate de facto da ultime, come una sterile appendice che non dice niente
all’initium fidei, anzi, che lascia
interdetti?
A cinquanta anni dalla sua prima edizione, il libro di Jürgen
Moltmann, Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni
di una teologia cristiana, continua ad avere una sua sorprendente
attualità in quanto pone e ripropone l’eschaton e l’escatologia come
centrale dottrina della speranza cristiana che abbraccia tanto la cosa sperata
quanto l’atto attuale dello sperare che essa suscita. Moltmann ci ricorda ancora
che «il cristianesimo è escatologia dal principio alla fine, e non soltanto in
appendice: è speranza, è orientamento e movimento in avanti e perciò è anche
rivoluzionamento e trasformazione del presente» (10). Egli evidenzia che
seppure la priorità nella vita di fede appartenga alla fede, il primato in essa
è della speranza. Così, a mo’ d’esempio, mentre il Mistero Pasquale di Cristo
creduto è consolazione nella sofferenza, questo stesso Mistero è nella
speranza la promessa di Dio contro la sofferenza.
Ora la speranza cristiana non è utopismo, né nel senso di
atteggiamento, perché la speranza è attiva, né nel senso di finalità: la
speranza non tende a «nessun luogo», ma si protende verso ciò che «non ha ancora luogo». La speranza non defrauda
l’uomo dal suo presente, ma nel ricordo (anamnesi)
del futuro, comprende e prende in mano il presente trasformandolo, trasfigurandolo.
La speranza non si affoga nel passato e non si arrende all’utopia dello status quo, ma opera «una trasformazione
creativa della realtà, perché essa ha speranza per l’intera realtà» (27).
Il primo capitolo dell’opera è una ricca e autorevole rassegna
dei tentativi di codificazione e di collocamento della teologia della speranza
e dell’escatologia all’epoca della redazione del libro. Il capitolo successivo
indaga la natura della speranza nelle sue sfumature veterotestamentarie, dove
si nota sin dai primi scritti che «l’apparire di Dio è direttamente collegato
con la proclamazione di una parola di promessa divina». La presenza di Dio con
il suo popolo è carica di futuro, di promessa, di speranza (104). Il crescendo
del movimento della Prima Alleanza porta a una «universalizzazione della
promessa» che raggiunge il suo «éschaton nella promessa della signoria
di Jahwe su tutti i popoli» (133).
Anche l’evento Pasquale si manifesta al contempo come euangélion ed epangelía. Anzi, nella teologia paolina, l’epangelía (la
promessa) è il compimento della Buona Notizia. La risurrezione di Cristo è al
contempo escatologia realizzata ed escatologia promessa, prospettata, sperata.
Anche nel Nuovo Testamento Dio è chiamato «Dio della promessa». La sua essenza
«non è la sua assolutezza in sé, ma la fedeltà con la quale si rivela e si
identifica nella storia della sua promessa come ‘il medesimo’. La sua divinità
consiste nella costanza della sua fedeltà, che diventa credibile nella
contrapposizione di giudizio e grazia» (147).
Il Nuovo Testamento e il Vangelo in senso largo non rende
obsolete le promesse di Israele, ma le prende «nel loro senso supremo,
escatologico». Esso è in realtà identico a quelle stesse promesse. Con il
«futuro di Cristo», il Vangelo presenta anche il futuro di ciò che era stato
promesso ai Patriarchi e a Israele. In Cristo si aspetta, non solo il «futuro
del presente» ma anche il «futuro del passato» (cf. 158).
L’escatologia si presenta allora come istanza critica di
tutta la storia passata e presente. Essa «non sprofonda nelle sabbie mobili
della storia, ma tiene la storia sotto pressione con la sua critica e la sua
speranza; vista da lontano è essa stessa una sorta di sabbia mobile per la
storia» (169). Il futuro di Dio trasfigura e trasforma il presente, per questo
non basta parlare di signoria di Dio
al futuro, ma corroborare e collaborare con/per il Regno di Dio al presente, giacché «la pro-missio del Regno è il fondamento della missio dell’amore per il mondo» (229).
La speranza è un’istanza critica, essa mettere in crisi
le certezze assodate del passato e lo status quo accomodante del
presente in vista di un futuro che non è mera utopia e passiva attesa, ma che è
costruzione e sana costrizione del necessario cambiamento e trasfigurazione del
creato secondo l’immagine del Ad-veniente.
La speranza garantisce l’umanità della storia perché «se
il significato della storia lo si aspetta dal futuro e lo si intende come
missione del presente, la storia stessa non è né un intreccio di necessità e di
leggi, né il campo da gioco di un arbitrio insensato. Il futuro come missione
mette in relazione il compito presente e la decisione odierna con ciò che è
realmente possibile, indica nella realtà, le possibilità che sono aperte e
nelle cose possibili le tendenze che bisogna cogliere» (267).
Non si dimentichi che l’opera del Moltmann nasce in
dialogo e in confronto con l’opera di Ernst Bloch, Il principio speranza
(Das Prinzip Hoffnung) del 1959. Ricordando la distinzione che il
filosofo marxista fa tra speranza e fiduciosa certezza – dove la seconda è «una
superstiziosa, quietistica e non attivante garanzia di salvezza» – Moltmann evidenzia
che se da un lato la speranza non è semplicemente una fiduciosa certezza, dall’altro
lato, «la fiduciosa certezza è anche speranza e chiama costantemente in vita
varie speranze». La speranza cristiana non è una semplice e ingenua utopia
della fede, non è una possibilità fra tante. Essa è una speranza attiva,
rivoluzionaria, che apre al mondo e alle sue possibilità di divenire, di
trasformazione e di trasfigurazione. Essa provoca un «pensiero anticipatorio,
un’immaginazione dell’amore che cerca come le cose potrebbero andare meglio nel
mondo» perché si affida, ha una fiduciosa certezza nel Dio che ad-viene e
interviene.
Ricordando i cinquant’anni dell’opera, non c’è modo
migliore che lasciare la parola a Moltmann, per risentire le ultime parole del
suo «dialogo con Bloch» dove riafferma l’orientamento e il senso della speranza
cristiana: «La speranza escatologica diventa una forza motrice della storia a
favore delle utopie creative dell’amore per l’uomo sofferente e per il suo
mondo imperfetto, muovendosi verso il futuro sconosciuto, ma promesso, di Dio.
In questo senso l’escatologia cristiana potrà esprimersi a favore del ‘principio
speranza’ e d’altra parte ricevere dal ‘principio speranza’ l’impulso a meglio
delinearsi» (373).
author: Robert Cheaib