Assaggi dagli scritti del grande martire e teologo russo



Pavel Florenskij costituisce una figura affascinante che sta acquisendo una sempre maggiore importanza nello scenario intellettuale e teologico. Conosciuto anche come il “Leonardo Da Vinci della Russia”, Florenskij (1882-1937) si contraddistingueva per la sua “perfetta padronanza dell’oggetto di ricerca, estranea ad ogni dilettantismo” come diceva di lui il suo caro amico il teologo ortodosso Sergej Bulgakov. Per l’autore della Luce senza tramonto Florenskij è imparagonabile per mancanza di equivalenti. Di simile parere è un altro teologo russo della diaspora francese, Pavel Evdokimov che afferma: “Per giudicare uno della grandezza di Florenskij, occorrerebbe avere il medesimo genio”. Durante la sua vita, stroncata tragicamente da una esecuzione in un Gulag, Florenskij è stato al contempo e con sorprendente padronanza e indiscutibile genialità una personalità enciclopedica che spazia dalla matematica alla fisica, dalla teologia alla filologia, dalla storia alla poesia, dall’arte alla mistica.
Dopo una sparizione sentita delle sue opere dagli scaffali delle librerie, le Edizioni San Paolo hanno iniziato a proporre riedizioni di opere importanti prima tra cui la sua opera magna e tesi di dottorato La colonna e fondamento della verità costituita da dodici lettere di teodicea ortodossa.
La seconda opera riedita è Il cuore cherubico. Scritti teologici, omiletici e mistici a cura di Natalino Valentini e Lubomir Žak. In questa raccolta di saggi, ampliata e aggiornata rispetto alla vecchia edizione. Nella nuova edizione, infatti, si trovano saggi inediti e finora mai tradotti in italiano: Il grido di sangue; Il tempio dello Spirito Santo; La forza di Dio; Questo sangue non sia versato in vano; Il cammino terrestre della Madre di Dio.
È difficile riassumere le idee portanti dei saggi qui raccolti, ma è possibile sottolineare l’afflato che li accomuna: è la fecondità spirituale di Florenskij che si contraddistingue per il suo sguardo “cattolico” (universale) ed ecumenico. In lui si percepisce la “carnalità del pensiero” e una felice ricapitolazione della “conoscenza logica e simbolica, la filosofia dialettica e l’antinomia della verità, la filosofia del nome e la teoria della parola, la conoscenza scientifica e quella mistica”.
L’attenzione di Florenskij non si volge a nessuna dimensione dell’essere a scapito del suo opposto/complemento. Se da un lato il positivismo lo disgustava, non meno lo disgustava la metafisica astratta. Il suo pensiero compenetrato dal soffio e dal motivo dell’incarnazione non poteva che tener d’occhio il paradosso dell’incarnazione e il fulgore del Logos divenuto sarx.

Lasciarsi istigare dal pensiero del Florenskij significa superare i dualismi tanto radicati in varie forme espressive anche della fede cristiana che sanno più di arianesimo e di monofisismo piuttosto di sapore calcedonese. Il martire russo fa convergere la conoscenza teorico-metafisica e la conoscenza contemplativo-mistica in un connubio felice che coniuga l’amore della Sapienza (philosophia) e l’amore della Bellezza (philocalia). Il fine della conoscenza, infatti, non è solo conoscitivo, ma è sapienziale e unitivo, è la mistica unione tra il cristiano la Res della sua fede che è il Dio unitrino.