Nel nostro mondo plurale e pluralista, la missio
ad gentes che corona i Vangeli quale ultimo mandato del Cristo Risorto
prima dell’ascensione, si trova davanti a nuove sfide. Come coniugare la
coesistenza pacifica e cordiale e l’accettazione dell’alterità con l’esigenza
intrinseca dell’annuncio di Cristo?
La Pontificia Università Gregoriana affronta questa
sfida – solo all’apparenza inconciliabile – con due dipartimenti gemelli:
Missiologia e Teologia delle Religioni. Abbiamo voluto considerare queste sfide
con la direttrice del Dipartimento di Missiologia, la professoressa Ilaria
Morali, Dottore in Teologia Dogmatica e Docente presso la Gregoriana dal 1994.
La prof.ssa è stata nominata da papa Francesco, a marzo 2014, consultore per il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
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Papa Francesco ha aperto il suo Pontificato con uno
slancio missionario possente. L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium
potrebbe a buon diritto costituire la Charta Magna del suo progetto ecclesiale
e missionario. Ma in una società schiava del politically correct che si
arrende al fattuale pluralismo, che spazio esiste ancora per il mandato
missionario costitutivo della fede battesimale e dell’esistenza cristiana?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
Vorrei risponderle con una sorta di paradosso: lo spazio del mandato missionario
esiste proprio quando sembrerebbero mancare gli spazi per l’annuncio del
Vangelo.
L’ingresso
di San Paolo ad Atene, narrato in Atti degli Apostoli 17, rispecchia molto bene
questo paradosso: Paolo entra in una città che ci appare come l’emblema di un mondo
pluralistico, i cui spazi sono già tutti occupati e parrebbe che tutto si
opponga ad un possibile annuncio, che vi sia tale selva di voci e di proposte
suadenti, capaci di soffocare sul nascere la flebile parola del Vangelo.
Eppure… sappiamo come proprio nell’Areopago, con uno dei suoi discorsi
missionari più straordinari, Paolo seppe far breccia nei cuori di alcuni suoi
ascoltatori. Non importò a Paolo che fossero solo alcuni. La parola è un seme
che germina poco a poco. Lo spazio va
suscitato nel cuore.
Come
riassumere allora la lezione di Paolo, missionario e «apostoli dei gentili»?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
La Tradizione cristiana ha fatto propria l’espressione paolina di Romani 10 fides
ex auditu, la fede viene dall’ascolto. Un ascolto che, come nel Concilio di
Trento venne sottolineato nelle discussioni, è innanzitutto interiore, del
cuore, prima ancora che esteriore. E’ lì che si fa strada il Signore con la sua
grazia.
Ogni
battezzato ha l’immensa responsabilità di fare breccia e spazio nel cuore
dell’altro. Non è questo del resto che ci sta insegnando Papa Francesco che, in
poco più di un anno, ha saputo creare uno straordinario spazio di ascolto nei
cuori delle persone più disparate?
Ci può parlare – da Direttrice del Dipartimento di
Missiologia presso la Pontificia Università Gregoriana – della visione
teologica e didattica che orienta la programmazione accademica presso il
Dipartimento?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
La missione della Chiesa è una e la stessa: portare Cristo agli uomini. Questa missione
tuttavia avviene in una storia in cui ogni epoca detiene caratteristiche e
difficoltà diverse. Proprio a ridosso dell’ottantesimo anniversario dalla sua
fondazione, la Facoltà ha intrapreso un percorso di radicale revisione delle
sue strutture, della sua offerta formativa, dei suoi metodi, dei suoi
obiettivi…ciò ha comportato una riscoperta delle motivazioni profonde che
condussero alla sua fondazione, una riflessione sulla sua storia ma anche una
proiezione al futuro per individuare nuovi obiettivi, approntare nuovi
progetti.
Occorreva
porsi in ascolto della Chiesa, cogliere le sue istanze e le sue aspettative,
per individuare le sfide di questa nostra epoca tanto nell’ambito della missio
ad gentes che in quella che oggi usiamo chiamare nuova evangelizzazione.
Vede,
io provengo dalla Facoltà di teologia dove sono cresciuta intellettualmente ed
ho insegnato Teologia dogmatica dal 1994 fino al 2007. Dal 1999 davo però un
corso anche alla Facoltà di Missiologia ma certo non avrei mai immaginato che un
giorno sarei stata chiamata in prima persona alla riconfigurazione della
Facoltà. Negli anni 2009-2011 avevo studiato a fondo la storia della facoltà,
cercando di capire la mens sottesa a questa fondazione.
Quali
sono stati i frutti di questa ricerca? Che modello di missione (e di
missiologia) ne è immerso?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
Molti pensano che la Missiologia sia una scienza pastorale, di seconda
categoria e che una facoltà che porta questo nome sia, tutto sommato,
altrettanto secondaria. In uno scritto di alcuni decenni fa ho trovato
l’espressione «scienza della missione». Non si tratta di un esercizio
speculativo vuoto, ma di una scienza che implica una riflessione sistematica,
soprattutto teologica. La missione di cui noi stiamo parlando non è una
qualsiasi missione, ma è quella della Chiesa per mandato di Cristo ai discepoli.
Molti, anche nella Chiesa, rifiutano il concetto stesso di missione,
dimenticando che Cristo è il missus
per eccellenza e che la missio della Chiesa è dimensione costitutiva del
suo essere, per volontà di Cristo, inviato dal Padre.
Quali
sono stati i passi concreti in questi primi anni di responsabilità per
rispondere alle intuizioni dei gesuiti che hanno lanciato la Missiologia?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
Quando dunque nel 2012, nominata Direttore di Dipartimento di Missiologia, mi
venne quindi chiesto di mettere in piedi un progetto di rinnovamento della
Facoltà, forte di questa memoria e convinta di quanto fosse importante
riportare al centro la missione e dare consistenza rinnovata alla sua scienza,
ridando alla Facoltà quello spazio che i Gesuiti le avevano assegnato, nel
volerla in Gregoriana, mi dedicai all’ascolto del presente: parlai con
missionari, contattai vescovi, lessi ciò che si muoveva nelle riviste, sul web,
mi confrontai con diversi gesuiti, mi confrontai quasi quotidianamente con le
autorità accademiche ed i colleghi.
Ho
parlato anche con molti studenti di diverse provenienze e nazionalità. Abbiamo
lavorato tutti insieme confrontandoci sul significato della missione oggi. Ho
creduto molto nella necessità di creare anche un team di giovani professori, di
materie ed esperienze diverse, gesuiti e non gesuiti, religiosi, sacerdoti e
laici. La Chiesa è Popolo di Dio ed ogni battezzato è chiamato alla missione.
La missione è un comune denominatore e la facoltà deve poter disporre di
persone anche di vari stati e vocazioni, per poter essere in un certo senso
rappresentativa dell’esperienza che la Chiesa vive come popolo di Dio. Sono
contenta che le autorità accademiche abbiano condiviso aperture e novità.
In
pochi mesi, la facoltà si è trasformata in un cantiere. E come in ogni cantiere
che si rispetti, per lungo tempo, chi vi passa accanto vede solo polvere,
macerie, materiale grezzo. Legittimo che qualcuno abbia pensato che non ce
l’avremmo fatta…
Non
si è trattato solo di un lavoro intellettuale e teorico…ma veramente di lavoro
pratico, come in un cantiere.
E
oggi cosa abbiamo? Il programma degli studi cosa prevede?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
Attualmente, la facoltà conta nel suo corpo docente esperti di teologia,
missiologia, arte, filosofia, spiritualità, etnologia, sacra scrittura, diritto
canonico ecc.. E’ un’esperienza straordinaria di condivisione e collaborazione.
Abbiamo condiviso, discusso, lavorato insieme in questo cantiere e c’è sempre
stato un bellissimo clima.
Il
programma, dopo questo biennio fondativo sperimentale, è dunque configurato in
senso interdisciplinare, così che il tema della missione e la riflessione sulla
missione siano affrontati in modo articolato.
Il
Collegio Romano, prodromo dell’Università Gregoriana, formava i futuri
missionari sia per l’Europa che per gli altri continenti nelle più diverse
materie. La teologia costituiva il vertice di un percorso di formazione che
prevedeva anche lo studio di quelle che chiameremmo scienze umane.
Riassumendo,
quali sono gli indirizzi fondamentali del programma così ricco e vario?
Prof.ssa
Ilaria Morali:
Mutatis mutandis, il nostro programma mira ad una formazione integrale
ed interdisciplinare, speculativa e pratica. Nel mio dipartimento vi sono due
indirizzi: missio ad gentes e Nuova Evangelizzazione.
Rispecchiano
il vissuto della Chiesa odierna.
Dal
punto di vista della teologia, ambito che mi vede impegnata in prima persona,
il dipartimento offre corsi su temi di frontiera. Cosa significa? Poniamo il
tema ‘Chiesa’. Noi non insegniamo ecclesiologia, ma abbiamo offerto un corso
sulla missione del magistero in una chiesa ed in un mondo che cambiano. Temi
come la conversione, la paternità di Dio in un mondo senza padri…i nostri corsi
sono seguiti anche da studenti di altre facoltà. Al momento della fondazione
della Facoltà di Missiologia si pensò proprio ad offrire agli studenti della
Pont. Università Gregoriana una gamma di temi più direttamente centrati sulle
sfide ed i temi di frontiera in funzione della missione. In questo biennio
avevamo anche dei corsi e dei workshops sulla questione dei matrimoni
misti e sui problemi giuridici e pastorali ivi implicati.
Certamente
siamo ancora in itinere. La facoltà si caratterizza per grande
flessibilità e dinamismo. Abbiamo intenzione di arricchire il programma anche
di altre iniziative e temi. Quest’anno abbiamo inaugurato un forum sulle
esperienze: si sono avvicendati diversi esperti, molti anche della nostra
facoltà, presentando argomenti di stretta attualità sulla base del proprio
patrimonio di esperienze: abbiamo potuto conoscere più da vicino situazioni
pastorali, progetti, iniziative, per bocca di testimoni. Gli incontri hanno
avuto un notevole seguito.
Abbiamo
aperto una pagina facebook, perché i socialnetwork sono mezzo formidabile di
comunicazione e condivisione.
Gli studenti del Dipartimento vengono da realtà
ecclesiali e culturali molto diverse fra di loro. L’inter-culturazione, allora
costituisce una sfida e un’esigenza allo stesso tempo. Come viene il
dipartimento incontro a quest’esigenza per evitare il rischio denunciato dalla Evangelii
Gaudium, quello della fedeltà a una formulazione che non arriva a
trasmettere la res, la sostanza della fede (cf. EG 41)?
Prof.ssa Ilaria Morali: La riforma e la
riconfigurazione della Facoltà sono partiti dall’individuazione della res e da un’attenta riflessione, anche a
mezzo di tante consultazioni e confronti, del modo più efficace di trasmetterla. Un cantiere inizia dalle fondamenta,
non dal tetto. Non tutto è perfetto, ovviamente, molte cose vanno migliorate,
ma siamo sulla buona strada. Lo vedo anche dall’incoraggiante riscontro che
abbiamo a livello di iscrizioni e di domande che ci provengono da molte chiese
locali.
Lo stile di condivisione ha permesso che la
pluralità di esperienze e retaggi culturali fosse vissuta non come barriera, ma
come occasione di vita, come palestra per confronto. I nostri corsi sono
impostati così da avere poi spazi ‘pratici’, come i workshops che sono sessioni
intensive al fine di favorire l’assimilazione dei temi e delle esperienze. I
nostri studenti sono molto dinamici. Ho cercato di stimolare in loro il
desiderio di uno studio da concepirsi non come esperienza ‘eremitica’, ma come
cammino insieme. In molti nostri incontri ho la sensazione che ci si senta
parte di una famiglia.