«La propria morte, la si muore soltanto, ma con la morte
degli altri bisogna vivere». Le parole del poeta tedesco Mascha Kaléko
acquisiscono una gravità maggiore se le si pensa riguardo alla morte di un
figlio. È al quanto “contro natura” sopravvivere al frutto del proprio grembo. È
la condizione paradossale di «genitori rimasti orfani», come ne esprime
eloquentemente la tragica gravità Freya von Stülpnagel.
Con il suo libro Accanto
a te, senza di te. Un aiuto per i giorni del lutto, da mamma che ha
sofferto e soffre personalmente il dolore della perdita di un figlio morto
suicida ad appena 18 anni, l’autrice attraversa l’esperienza del dolore
proponendo un cammino di aiuto per chi ha perso una persona cara (soprattutto
un figlio o una figlia), ma anche per chi vuole/deve stare vicino a una persona
in lutto.
La morte di un genitore simboleggia la scomparsa di una
grande fetta del passato; la morte di un coniuge colpisce gravemente il presente;
ma la morte di un figlio esprime la morte del futuro. La prima triste
constatazione nell’esperienza del dolore, e del lutto in particolare, è che
anche quando abbiamo la fortuna di essere sostenuti dagli altri, siamo comunque
soli. C’è un volto così personalissimo del dolore, che nessuna compagnia possa scrutarlo
e con-solarlo. La von Stülpnagel esprime così questo paradosso che si vive anche
nei migliori dei casi: «Non c’è altra via / che entrare nel più buio del buio.
/ L’inconscio però sa: / Sei sostenuta. / Sei sorretta. / Eppure – sei sola».
Ma questa solitudine sconsolata non è che il primo stadio –
che, sì, accompagnerà tutta la vita – ma che non deve fagocitarla o
monopolizzarla. È interessante che l’autrice non orienti la sua proposta verso
una “elaborazione del lutto” come se il dolore per la persona amata e perduta fosse
qualcosa da superare e da seppellire ad ogni costo. Quel dolore che fa così
male e lascia una così grave voragine è comunque qualcosa di caro, qualcosa che
rimane di chi è andato via. Volersene sbarazzare ad ogni costo e al più presto
è una specie di tradimento. Per questo la proposta della von Stülpnagel punta
piuttosto ad attraversare l’inevitabile processo del lutto, orientandosi, però,
nonostante la perdita, verso l’esigenza e la necessità di «ricominciare un
giorno una vita dotata di senso, di ritrovare la gioia di vivere e di integrare
l’esperienza subita, in maniera feconda, nel prosieguo dell’esistenza».
Il dolore non va seppellito nell’oblio, ma nel terreno fecondo
della speranza, di un cuore capace di guardare comunque al futuro, come unica
opzione possibile per la vita.
Scrive eloquentemente la poetessa Antje Sabine Naegeli: «Non
ti abbandonare! / Seppellisci quel dolore / che è tuo / non sotto il macigno /
dell’oblio, / perché, non pianto, / non può partorire speranza, / non può /
portarti alla sorgente nascosta / che ti promette la vita».
Il percorso del libro della von Stülpnagel non consiste in
consolatorie evocazioni che fanno adagiare chi soffre nel proprio dolore, né in
strumenti per una rapida fuga ed eliminazione dal dolore, ma in una presa di
posizione realista – psicologica, spirituale e “rituale” al contempo – volta a
far riconciliare la persona con la natura del suo destino, con le sue sfumature
di dolore e di gioia, di perdita e di speranza, per aprire un varco verso una
ri-strutturazione della vita in maniera dotata di senso.