Robert Cheaib
«Tu sei Bellezza». Dio non è solo verità, Dio non è solo
bontà, Dio è l’espressione personalissima del terzo trascendentale – il bello –
e solo così la sua verità e la sua bontà sono qualificate. Francesco d’Assisi l’ha
conosciuto così e l’ha così riconosciuto senza essere un addetto di metafisica.
San Gregorio Nazianzeno insegnava in una sua Orazione che il bello non viene
riconosciuto come tale se non viene trasmesso in un modo bello. La via
pulchritudinis non è solo un riconoscimento, ma anche uno stile, è un modo
e un’arte di essere con Dio e di annunicare Dio.
Gli artisti costituiscono in questo senso dei potenziali
ministri privilegiati per l’annuncio di Dio. L’arte – diceva Giovanni Paolo II
nella sua celebre lettera agli artisti – «è, per sua natura, una sorta di appello
al Mistero», è «cifra del mistero e richiamo al trascendente». Gli artisti,
invece, per dirla con Paolo VI sono – o, meglio, dovrebbero essere – «i custodi
della bellezza nel mondo».
Il volume Arte
e spiritualità. Studi, riflessioni, testimonianze, raccoglie gli
interventi della giornata di studio promossa dall’Istituto francescano di
spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma, svoltosi il 24
aprile 2013. Il libro, edito dalla EDB, ci invita a interrogarci sull’arte, sul
suo senso e orientamento e sulla portata sua valenza religiosa (la prima parte,
specie con Paolo Martinelli e Marko Ivan Rupnik). Ci invita a guardare l’arte
con gli occhi dell’artista (gli interventi della tavola rotonda), e a vedere la
sapienza e la “parola” dell’arte francescana, soprattutto dei crocifissi
francescani (Gli interventi di Giuseppe Buffon e di Lorenzo Cappelletti).
La riflessione sul bello ci mostra subito che esso abbia un
potere evocativo e invocativo: dal bello vero, o meglio dalla sua forza “fascinosa”
nasce l’affezione e l’affidamento e quindi la supplica. Agostino osserva che «non
è possibile amare ciò che non è bello» (Confessioni, IV,13.20). Prendere
coscienza di questa forza e potenza del bello ci fa capire che esso dovrebbe costituire
«una dimensione fondamentale della nuova evangelizzazione» (Paolo Martinelli).
Ora nel considerare il bello, Papa Benedetto XVI invita ad
evitare due estremi: il primo è quello dello strano «culto del brutto» che
considera cinicamente che ogni bellezza come un inganno. D’altro canto bisogna
contrastare «la bellezza mendace» che rende l’uomo più piccolo, anziché
aiutarlo a giungere alla pienezza della sua statura.
L’Occidente – e la lezione balthasariana ce lo mostra in
modo molto esteso – ha conosciuto una lunga fase di esilio del bello, di «de-estetizzazione»
in nome della metafisica, prendendo chiaramente le distanze dalla visione e
dalla visuale patristica e medievale. A ragione il teologo Herrlichkeit lamentava
che la bellezza «non è più amata e custodita nemmeno dalla religione». Il
pericolo è che se l’uomo non è più sensibile al bello, diventa insensibile al
trascendente e all’ordine degli affetti.
Sempre Balthasar continua la sua diagnosi sull’esilio della
bellezza dicendo: «Chi, al suo nome [il nome della bellezza], increspa al
sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese,
di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più
capace di pregare e, presto, nemmeno di amare».
La relazione al bello vero e buono ha un che di religioso e
sacrale, anzi di catartico della comprensione del sacro. La bellezza è il volto
fascinoso e propositivo della fede. A ragione, Marko Ivan Rupnik osserva che la
bellezza salva il bene dal pericolo di imporsi e protegge il vero dalla
tentazione totalitaria. «La dettatura del bene – infatti – è la suprema
espressione del male. Il bene che non diventa bellezza è un fanatismo. Allo
stesso modo, una verità che non diventa bellezza mangia gli uomini, li
distrugge, è un drago».
Ma cos’è la bellezza teologica? – è sicuramente la
manifestazione dell’espropriazione amorosa trinitaria che si manifesta come
«amore fino alla fine» nel Mistero pasquale. La bellezza personificata è il
Cristo stesso, «il più bello tra i figli dell’uomo» e al contempo «colui nel
quale non vi è bellezza». La sua bellezza esorcizza l’estetizzazione meramente epidermica
e plastica. La bellezza che Dio ha comunicato non fu un’idea, un quadro, ma un’“opera”,
una salvezza, la Persona di Cristo. Nell’epifania della bellezza divina, Dio ci
fa capire che «se la verità non si può rivelare come amore, è un idolo. Per
comunicare ci vuole la persona» (Rupnik). E l’amore bello comunicato in Cristo
ci mostra il distintivo di autenticità di ogni amore e quindi di ogni
espressione artistica che vuole essere bella della bellezza dell’amore-persona:
deve essere un amore pasquale. «Se un amore non è pasquale, è un amore pagano.
Pensare che io amerò senza pagare di persona significa essere un grande
idealista pagano, perché la bellezza è pasquale» (Rupnik, p. 29).
Infine, la vera arte passa per le vene dell’artista che si
lascia trasfigurare dalla bellezza che contempla e che tenta di raffigurare.
Dato che la bellezza è l’amore realizzato, soltanto chi si lascia trasfigurare
dall’amore “opera” l’arte e non la fa soltanto. È la lezione del grande
francescano, san Bonaventura il quale ci testimonia la grande e unica opera
artistica di cui siamo personalissimamente responsabili, quello dell’abbellimento
dell’anima: «Anima contemplativa, quae Deum videt in contemplatione, tota
pulchrificatur» (L’anima che vede Dio nella contemplazione, viene resa tutta
bella).