Moses and the burning bush by Arnold Friberg |
È
con un certo pudore che confesso che non conoscevo gli scritti di padre Lev
Gillet, meglio conosciuto come «Un monaco della Chiesa d’Oriente». Anzi, non
sapevo che le due persone coincidessero. Quando incrociavo nelle librerie o
nelle biblioteche la letteratura che portava il suo pseudonomino, pensavo che
si trattasse di uno starets russo o di un monaco del monte Athos. Invece padre
Gillet è nativo della Francia e, prima di abbracciare la spiritualità
dell’Oriente cristiano, è stato monaco benedettino. Parlo di pudore
perché padre Gillet, oltre ad essere autore di alcuni classici moderni della
spiritualità, è stato uno dei preparatori dell’incontro storico di Papa Paolo
VI e del Patriarca ecumenico Athenagoras a Geruslamme nel 1964 (del quale abbiamo
ricordato qualche settimana fa il cinquantesimo anniversario con un altrettanto
storico incontro con Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo I). Egli è stato
inoltre molto attivo nel mio paese natio, il Libano, attraverso un ministero
intenso di predicazione che si estende nel periodo tra il 1946 e il 1978.
Il roveto
ardente, proposto
dalle Edizioni
Qiqajon della Comunità di Bose raccoglie due serie di meditazioni predicate
da padre Lev in Inghilterra nel 1967 e nel 1969. Le due serie fanno trapelare
l’amore, il pathos mistico e la visione spirituale del nostro autore che
forse possiamo riassumere attorno alla simbologia stessa del roveto ardente.
1-
meraviglia
Il
roveto ardente è la meraviglia, la scoperta del Logos sotto le
specie della normalità, della marginalità, anzi dell’alogos. L’episodio
raccontato da Es 3, infatti, ci mette dinanzi a un Mosè fallito, rassegnato e
adagiato in un destino mediocre. È nel tedio di questo quotidiano che fa
l’incontro con Dio.
2-
visione
Il
roveto è anche una certa visione di Dio. L’incontro con Dio nel roveto
ardente è un punto fondamentale dell’esperienza religiosa di Mosè e di tutto
Israele e padre Lev sostiene che «se il popolo di Israele fosse stato capace di
vivere secondo la visione del roveto ardente, non avrebbe avuto bisogno delle
tavole della Legge. Ma per coloro che erano rimasti insensibili alla
rivelazione dell’Oreb era necessaria la rivelazione del Sinai. Dovunque,
infatti, manca la fiamma interiore, devono esserci comandamenti scritti su
tavole di pietra».
3-
incontro
A
quest’ultimo punto della citazione torneremo più tardi. Per ora è bene soffermarsi
su altri tre simbologie del roveto. Un primo significato, come dicevamo, è
quello della possibilità di incontrare il Signore in qualsiasi luogo.
Nessun luogo è privo di Dio, nessun luogo è così profano da non permettere
un’epifania. Anzi «ogni luogo dove incontriamo il Signore può diventare un
luogo santo».
4-
purificazione
Un
altro significato è quello della purificazione. Gillet osserva che il
roveto non è proprio il tipo di albero elegante, profumato e da frutto. Il
roveto è un cespuglio selvatico che consideriamo comunemente un’erbaccia.
Eppure, Dio non disdegna quest’umiltà e questa povertà. Dio si manifesta lì con
una luce che illumina e purifica senza bruciare proprio per mostrare l’opera di
Dio nell’anima dove «il fuoco divino purifica senza distruggere». Il fuoco in
questione, infatti, è l’incandescenza dell’amore di Dio che purifica l’anima e
la solleva verso la somiglianza.
5-
vincolo
sostanziale
La
fiamma del roveto, nella sua dimensione terra-terra di cespuglio e nella sua
dimensione sublime di fuoco e luce costituisce – per usare una terminologia
blondeliana – un vincolo sostanziale, un legame forte ed essenziale che
unisce Dio e l’uomo, un amore concreto e intensamente personale quello «amor
che move il sole e l’altre stelle». È – per essere diretti – un simbolo
prettamente cristologico!
L’amore
e la pressione atmosferica
Il
contatto con questo roveto ha un’unica finalità: che noi stessi prendiamo
fuoco, diventiamo illuminati e luminosi. Padre Lev usa il paragone della
pressione atmosferica che ci circonda. Essa esercita la sua pressione da ogni
lato. Così è anche l’amore che cinge attorno ad ogni essere cercando di
scoprire una breccia per entrare e compenetrare. Il santo e il peccatore sono sotto
quest’assedio dell’amore folle di Dio, la differenza tra i due è una sola: uno
acconsente all’invasione divina, l’altro preferisce la chiusura.
L’amore
oltre la Legge
Un
ultimo aspetto che mi piacerebbe sottolineare del libro è l’affermazione audace
di Gillet di una specie di «sospensione della Legge» nell’amore senza limiti.
L’affermazione sembra eterodosso e per questo Gillet porta a suo favore le
affermazioni scritturistiche: «Non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia»
(Rm 6,14); «Ora siamo stati liberati dalla Legge» (Rm 7,6); «Cristo è la fine
della Legge» (Rm 10,4). Cosa significa tutto ciò? La dissoluzione? Certo che
no! La prospettiva è sostanzialmente diversa e parte dal fatto che l’amore
senza limiti rifiuta di essere decifrato in chiave di obbligo. L’obbligo
dell’amore non è un dovere, è un potere. La categoria del dovere non riesce a
sondare la grinta del suo impegno e della sua dedizione. L’amore, allora, non
nega la Legge, la supera trasfigurando, graziandola. Lascio le ultime parole al
monaco della Chiesa d’Oriente:
«La
persona e la vita di Gesù hanno preso il posto dei comandamenti. Il significato
intimo e profondo di ciascuno dei comandamenti rimane, ma la lettera ha
lasciato il posto allo spirito.
Quando
un fiume si riversa nel mare, ogni goccia dell’acqua del fiume continua a
esistere nel mare, ma il fiume in quante fiume non esiste più; e come si sono
trasformate le sue gocce d’acqua in quell’immenso oceano! Così è per i
comandamenti del Sinai quando si sono fusi nelle fiamme del roveto ardente, nel
fuoco dell’amore senza limiti».