Dall'Osservatore Romano del 18/07/2014
Postumo: Il numero in uscita della Civiltà Cattolica contiene un ampio saggio postumo di Ferdinando Castelli dedicato alle «Immagini del Paradiso nella letteratura moderna». Ne anticipiamo alcuni stralci.
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di Ferdinando Castelli
Alcuni scrittori, soprattutto i poeti, hanno tentato di fissare in immagini
l’essenza del Paradiso: visione di Dio, nella quale «lo vedremo qual è» e per
la quale «saremo simili a Lui». Tentativo destinato al fallimento. Dante ha
tentato l’impresa, con alcuni agganci arditi e illuminanti, ma alla fine ha
dovuto ammettere la sua resa: «A l’alta fantasia qui mancò possa». Augusto
Valensin (1879-1953), gesuita, definito grand seigneur de l’esprit,
ritenta l’impresa, ma deve confessare che «la mente si smarrisce», che è
«impossibile immaginarsi» la beatitudine degli eletti. «Impossibile e vano». E
si abbandona alla «gioia della fede»: «Bisognerà che «io parli al Padre mio nel
tono e con la confidenza d’un figlio [...]. Quale abisso! [...] Sarò
avviluppato nella sua tenerezza [...], fissato nel gaudio per sempre!».L’olandese Pieter van der Meer (1880-1970), convertito al cattolicesimo dall’ateismo, ripetendosi che il Paradiso è abitato da un Dio che è nostro Padre, ha brividi di gioia: «Dio gioca con gli uomini. Gioco divino, grandioso, insondabile e sconcertante». Gerard Manley Hopkins (1844-89), nell’ode Barufloor and Winepress, immagina che gli eletti siedano al banchetto eterno, diventati consanguinei del Salvatore, che affascina per la sua bellezza e sconvolge per la forza del suo amore. A capo del banchetto celeste, egli ha, sì, sul volto, l’impronta della sua divinità, ma non disorienta i commensali, perché si presenta come loro fratello, figlio della vergine Maria.
Nel poemetto La messe sur le monde, Teilhard de Chardin (1881-1955), poeta oltre che teologo e paleontologo, nel Cristo della risurrezione vede realizzato il suo grande desiderio, che è anche quello dell’umanità: «O Cristo, [...], o Tu, la cui fronte è di neve, gli occhi di fuoco, i piedi più scintillanti dell’oro in fusione. Tu, le cui mani imprigionano le stelle; Tu che sei il primo e l’ultimo, il vivente, il morto e il risorto; Tu che raccogli nella tua esuberante unità tutti i fascini, tutti i gusti, tutte le forze, tutti gli stati; sei Colui che il mio essere invocava con un’aspirazione vasta quanto l’Universo».
Nel banchetto celeste, accanto a Cristo, i poeti scorgono sua madre, Maria, e le immagini del Paradiso si susseguono in un flusso che riflette lo splendore di Dio. Tra i moderni, ricordiamo Clemente Rebora. Nell’ode L’Immacolata egli immagina che il Paradiso sia inondato dalla luce proiettata da Maria, la Tuttabella, perché in lei si riflette la bellezza del Verbo, suo figlio. «Della gloria di Lei Egli gioiva / mentre ponendo i cardini del mondo / il ciel voltava sull’informe abisso».
Anche Rainer Maria Rilke (1875-1926), pur senza la grazia della fede, immagina il Paradiso illuminato dalla luce di Maria. Nella Vita di Maria contempla la vergine Madre che, sul letto di morte, è sollevata dal Figlio e introdotta nei cieli. Qui «sgorgò dal suo essere un intimo segreto / di splendore tale che, da lei illuminato, / fatto quasi cieco, l’angelo gridò: Quella, chi è?».
Nel sorprendente romanzo Il grande divorzio, Clive S. Lewis (1898-1963) offre alcune precise immagini del Paradiso. Narra che, in sogno, si è trovato su un autobus sul quale un gruppo di dannati — Spettri sono chiamati — vengono trasportati nei paraggi del Paradiso. Gli spiriti beati — Consistenti sono definiti — li attendono per convincerli a rifiutare il loro egoismo, purificarsi ed entrare in Paradiso. Tra i Consistenti l’io narrante incontra il poeta George MacDonald, che gli fa da guida, come Virgilio a Dante. La maggior parte degli Spettri rifiuta l’invito: preferiscono affermare la propria volontà di indipendenza da Dio e restare nell’Inferno, condannati alla solitudine, inconsistenti.
Il Paradiso di Lewis sfugge alla nostra immaginazione. Scorgendo gli eletti, l’io narrante nota che «alcuni erano nudi, altri vestiti. Ma coloro che erano nudi non sembravano per niente meno adorni, mentre i vestiti non celavano, in coloro che li indossavano, la massiccia mole dei muscoli e la raggiante leggerezza della carne». Le anime del Paradiso sono immagini dell’amore. Di una Consistente si dice: «L’amore irradiava non solo dal suo viso, ma da tutte le sue membra, come se fosse qualcosa di liquido in cui lei si fosse appena immersa».
Immersi «dentro l’Amore stesso», gli eletti non hanno bisogno dell’amore di un altro, come i mortali. In Dio hanno tutto. Hanno la gioia, che «niente può turbare», perché «la Santa Trinità è la loro dimora». Nella Trinità si ha la realizzazione dei desideri terreni, ma purificati e trasfigurati: anche il desiderio di una maternità o paternità capaci di accogliere una vasta generazione. Anche gli animali amati sulla terra, sono coinvolti nell’«abbondanza di vita» che gli eletti hanno «in Cristo dal Padre». Nulla potrà turbare la pace, la felicità e l’armonia dei Consistenti, perché, nella visione di Dio, vedranno risolti gli enigmi e i dubbi che amareggiano e disturbano la vita umana.