Cosa fa di un testo letterario un testo religioso? – Qualcuno potrebbe dare la risposta scontata dell’argomento. Ma Karl Rahner, teologo acuto di grande e discernimento e sensibilità, non era il tipo di uomo che rispondeva con i clichés e la banale apparente evidenza. Per lui, un testo letterario è “religioso” nella misura duplice in cui riporta l’uomo a se stesso e al di là di se stesso.
Riassumendo il pensiero di Rahner riguardo alle caratteristiche di un buon testo religioso, Antonio Spadaro afferma che «la letteratura religiosa deve fare appello alla reale esperienza dell’uomo e deve riportarlo a sé, non portarlo “a buoni pensieri” o a “buoni sentimenti”; deve sempre chiedersi: “Dove e come nel lettore si trova quello che io intendo portargli?”».
Spadaro osserva che l’accostamento alla letteratura religiosa secondo Rahner è ben lontana dall’essere un incanalamento nelle strettoie dell’indottrinamento ideologico-religioso epidermico e superficiale. La letteratura è un’esperienza di iniziazione all’interiorità e alla trascendenza al contempo. In breve, l’opera è religiosa nella misura in cui stimoli e «concostutuisca» nel lettore l’esperienza religiosa della trascendenza.
Dinanzi a questo criterio, cambia necessariamente lo spartiacque tra libro religioso e non. Tanti libri etichettati religiosi rimangono al di qua di quest’iniziazione e di quest’urgenza di interiorità e trascendenza. D’altro canto, tanti libri non-religiosi, che forse non menzionano neppure la parola “Dio”, costituiscono delle vere e proprie mistagogie.
Tante sono le intuizioni – anzi, le provocazioni – di Rahner condensate da Spadaro in una raccolta di tre saggi dal titolo Letteratura e cristianesimo preceduti da un denso “invito alla lettura”. Ne raccogliamo due.

Bando alla cosmesi

La nostra epoca ha fatto passi da gigante (non è una nota necessariamente positiva) nell’arte della cosmesi, ovvero nell’alterare l’apparenza e l’esteriorità. Non è mia intenzione catapultarmi nelle sabbie mobili di una riflessione teologica sulla chirurgia plastica. Evoco il caso per portare un avvertimento di Rahner su un pericolo analogo che potrebbe inficiare la presentazione e la rappresentazione del proprium cristiano. Si è infatti esposti al pericolo di «presentare il contenuto della fede in maniera ideologicamente trasportata, appellandosi al fatto che esso è “rivelato” e accostandolo quindi all’uomo “dall’esterno”».
Dinanzi a questa tentazione, Rahner ricorda che la rivelazione «è proprio la distruzione della apparenza ideologica, dietro la quale l’uomo nasconde e soffoca la realtà di Dio e la sua propria».
In altre parole, la carica religiosa della letteratura non deve essere misurata dalla percentuale di parole provenienti dal gergo religioso, ma dalla sua capacità evocativa di un ritorno a una profondità trascurata.

Iniziazione mistagogica
La letteratura diviene carica di significatività religiosa se riesce a ri-suscitare nell’uomo il desiderio di autenticità, di interiorità, se riesce ad aprire il suo udito all’ascolto di una Parola. Rahner evoca in questo caso l’esperienza storico-salvifica della grazia nello Spirito, prima della manifestazione carnale.
D’altro canto, Rahner allarga gli orizzonti sognando e prospettando un futuro possibile del libro religioso: «Non sarà pertanto un male se il libro religioso di domani prenderà le mosse dalle cose apparentemente di primo piano e che costituiscono la vita reale: l’azione, il lavoro, l’amore, la morte e tutte le povere cose che riempiono la vita; se prenderà le mosse “dall’incredulità” scettica che risiede nel cuore e che teme le “illusioni”, che la fede in apparenza offre. Se il libro religioso rimetterà in luce gli aspetti reconditi delle cose “superficiali” che esistono univocamente (e solo in tal modo sarà un vero libro religioso), dovrà appunto incominciare dal “superficiale”, che solo conduce nella vera profondità. Perciò il libro del domani dovrà guardarsi dal trasformarsi troppo in fretta in “teologia speculativa”». D’altronde, la Scrittura stessa si discosta dagli standard speculativi e sistematici del libro religioso.
Per cui l’auspicio di Rahner è che la teologia diventi meno “scientifica” e meno prigioniera dell’arte per l’arte, e la letteratura diventi più religiosa, ovvero capace di porre l’uomo onestamente e radicalmente davanti alle questioni ultime. La letteratura degna del nome dev’essere capace di condurre il mondo dell’uomo alla sua verità, «rendendolo trasparente, rivolgendosi quindi al fattore tipicamente umano sussistente nell’uomo». Deve diventare – quasi a sua insaputa e anonimamente, ma spontaneamente – una praeparatio evangelii che parli non solo ai «cristiani anonimi», ma a un «mondo cristiano anonimo».

La letteratura, in fondo, è se stessa se parla all’uomo, e se, parlando all’uomo dell’uomo, porta l’uomo alla soglia del mistero che dispiega all’uomo il senso della sua stessa umanità.


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