La custodia del silenzio fecondo avviene nel
cuore, nella nostra stanza interiore. San Giovanni della Croce spiega alle sue
“figlie” carmelitane che l’unico linguaggio che Dio comprende è «il silenzio
d’amore» (el callado de amor)[1]. Il santo
ci ricorda che la vita divina d’amore è avvolta nel silenzio e che per entrare
nel milieu divin dobbiamo respirare lo stesso silenzio: «Il Padre pronunciò una parola: suo
Figlio. Questa parla sempre in un eterno silenzio e nel silenzio dev’essere
ascoltata dall’anima».
Quale degna figlia del doctor mysticus, Santa
Thérèse di Lisieux spiega la verginità dell’anima alla sorella Céline così: «La
verginità è un silenzio profondo di tutte le cure terrene, non solamente quelle
inutili, ma di tutte le cure… Per essere vergini bisogna non pensare ad
altro che allo Sposo»[2].
Già il riferimento allo Sposo mostra che il silenzio
e l’interiorità in questione non un ripiegamento su di sé, ma un incontro o,
almeno, una protensione all’incontro. Siamo dinanzi a una solitudine abitata e
visitata. La nostra cella interiore è la porta del Cielo. Ogni Samaritana al
pozzo trova Gesù, già lì, con il suo desiderio che anticipa il nostro. Trova un
Dio che ha sete della nostra sete di lui.
Il silenzio è al contempo «un’atmosfera vergine»
e un luogo nuziale. È la realtà vissuta da quelle persone che hanno vinto il
mondo dentro di sé e che non sentono ormai che il Verbo di Dio, quella Parola
che risuona in un silenzio eterno d'amore.
Le briciole
del tempo
Vivere nella stanza interiore comporta imparare
ad amministrare il tempo. Il tempo è la nostra stessa vita, è la “valuta” della
divinizzazione. A Roccaporena, paese natio di santa Rita da Cascia, si trova un
orologio solare, una meridiana, del 1898 con una scritta significativa: «Fili
conserva tempus. Nil tempore pretiosius. Tempus tantum valet quantum deus»[3].
La prima ammonizione viene tra l’altro dalla
traduzione della Vulgata di Sir 4,23. Questa scritta ci mette dinanzi a
una verità grande: il tempo è lo spazio possibile per “conquistare” Dio. Non
che Dio faccia il prezioso e l’uomo debba andare a caccia di Dio, ma, dato che
la vita divina è una trasformazione dell’essere e non un mantello esteriore, è
normale che il tempo sia l’occasione in cui possa avvenire questa
trasfigurazione. Da qui l’importanza di apprendere a gestire il tempo. È
un’impresa molto concreta e richiede molta acribia e lungimiranza.
Anthony Bloom avverte che se cerchiamo di
sprecare meno tempo, ne avremo in abbondanza e «se usiamo le briciole del tempo
sprecato per tentare di ottenere brevi momenti da dedicare al raccoglimento e
alla preghiera, possiamo scoprire che di queste briciole ce ne sono veramente
molte. Se pensate al numero di minuti vuoti in un giorno che cercheremo di
occupare facendo qualcosa perché abbiamo paura del vuoto e di restare soli con
noi stessi, capirete che ci sono moltissimi brevi periodi di tempo che possono
appartenere contemporaneamente sia a noi che a Dio»[4].
Robert Cheaib
N.B.: Questo testo è un'anticipazione dell'opera Alla presenza di Dio attualmente in gestazione. Vi sarò infinitamente grato se la portate nella vostra fraterna preghiera.