Nessuno ha potuto strappare la vita di Gesù, perché egli l’aveva
già deposta. Gesù ha dato senso a quello che ha vissuto e patito esorcizzando
il male e la morte con l’amore fino alla fine. La vita «deposta» con le vesti e
il dono del corpo e del sangue hanno annientato la volontà di male contro Gesù.
Gli uomini, di fatto, non sono più colpevoli, perché è Gesù che ha consegnato
se stesso per loro.
L’unico che detiene la possibilità di giudizio dice a tutti
gli uomini quello che disse alla donna colta in adulterio: «Neanch’io ti
condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
Balthasar evidenzia la doppia dinamica di consegna che Dio
effettua. Il Padre consegna il Figlio per amore dell’uomo (cf. Rm 8,32).
Non lo consegna agli uomini, ma per loro. Il Figlio a sua volta
consegna se stesso al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito» (Lc 23,46). Ogni altra consegna è terza e quindi superflua. Ogni tradimento
è reso innocuo, è perdonato, perché l’Amore si è già donato!
Il vescovo Myriel in Les Misérables di Victor Hugo ci
offre un esempio di questo gesto che spegne il male e apre una via di
redenzione. Il ladro Jean Valjean, pur essendo ospitato dal prelato, lo deruba
e scappa di notte. Catturato dalla gendarmeria, viene riportato davanti al
vescovo, il quale, però, lo difende sostenendo che l’argenteria rubata fosse in
realtà un dono. Anzi, rimprovera a Valjean l’aver dimenticato i candelabri d’argento.
Il gesto del vescovo innescherà nel ladro una scintilla di speranza che lo
porterà sulla via del riscatto.
La giustizia di Dio non ci giudica, ma ci giustifica.
Parlando della croce di Gesù durante la sua prima via crucis da
pontefice, papa Francesco disse:
Dio ci giudica amandoci.
Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da
Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva.
Gesù ci spiega che questo è il giudizio: «La luce è venuta
nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro
opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene
alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità
viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state
fatte in Dio» (Gv 3,19-21).
Nello stesso discorso il Papa ha mostrato come la croce è la
risposta di Dio al male:
La croce di Gesù è la
Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. A volte ci sembra che Dio non
risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha
risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore,
misericordia, perdono.
In Cristo, Dio non ha dato una risposta teorica al dolore,
Dio si è fatto presenza nel dolore del mondo. A ragione scrive Paul Claudel:
«Dio non è venuto a sopprimere il dolore. Non è venuto neppure a spiegarlo. È
venuto a colmarlo della sua presenza».
Morire e dare la vita sono due cose ben diverse. Tre uomini
erano in quel giorno sulla croce, uno è morto tragicamente, uno è morto
entrando nella vita e uno è morto dando la vita e diventando sorgente di vita,
divenendo «Spirito, datore di vita» (1Cor 15,45).
Dare la vita è il senso profondo della redenzione. È potente
quanto afferma Blondel: «Redimere è dare l’essere a chi non ce l’ha». L’amore
di Cristo ci redime dal limite, dal nulla, dall’anonimato, dalle catene del
peccato, dalla mediocrità del vivacchiare verso la vita in abbondanza.
Nel romanzo Bianca come il latte rossa come il sangue
di Alessandro D’Avenia, abbiamo un dialogo che mostra con un linguaggio
semplice ma profondo il senso del dare la vita. Leo, un sedicenne innamorato di
Beatrice, decide di donare il sangue alla ragazza ammalata di leucemia.
Contemporaneamente, si fa coraggio, scrive una lettera in cui svela il suo
cuore e decide di portargliela. Mentre è per strada sul suo «bat-cinquantino»
fa un incidente. All’ospedale lo vengono a trovare vari amici, ma anche l’insegnante
di religione soprannominato, da Leo, Gandalf.
Gandalf vede il sangue
sulla lettera che conservo vicino al mio comodino. E mi dice che gli ricorda il
suo crocifisso: una lettera scritta agli uomini, firmata con il sangue di Dio,
che con quel sangue ci salva. Fermo Gandalf, altrimenti parte con una predica […].
Comunque mi ha dato filo da torcere e poi questa idea del sangue mi piace. Come
ho fatto io con Beatrice. Forse è l’unica cosa vera di tutto il discorso su
Cristo: l’amore è dare il sangue. L’amore è rosso sangue. […] da quando Cristo
è morto sulla croce per noi c’è un senso. Un senso c’è.
L’amore è dare il sangue, la propria vita. È questo il senso
della croce. Il silenzio e la morte della Parola sulla croce è il grido più
eloquente d’amore. È l’affermazione della divinità dell’amore di Cristo. Dice
Origene al riguardo:
Bisogna avere il coraggio
di dire che la bontà di Cristo si manifesta in maniera maggiore, più divina e
veramente secondo l’immagine del Padre, quando si umilia nell’ubbidienza fino
alla morte e alla morte di croce, piuttosto che se avesse voluto conservare
come bene da non cedere la sua eguaglianza con Dio e avesse rifiutato di
diventare servo per la salvezza del mondo.
Quest’immagine di Dio mite e morente demolisce ogni idolo di
potenza. Se vuoi conoscere Dio, guarda il crocifisso. Ogni altra immagine è un
idolo, è una fantasia, è una proiezione feuerbachiana. Guardando Gesù in croce,
vediamo che
nell’esinanimento
assoluto, nell’indigenza mortale del crocifisso, da cui non può essere dedotta
natura divina alcuna, regna tuttavia la piena e perfetta divinità di Dio.
Quella che Paolo intese come parola del Signore per la propria vita: “la forza
perviene alla sua completezza nella debolezza” (2Cor 12,9), questo noi nella
fede riconosciamo in Gesù Cristo come una legge della vita divina stessa. In questo
riconoscimento viene certamente a cadere a pezzi la vecchia concezione dell’immutabilità
di Dio. […] nel Figlio, Dio entra
realmente nella sofferenza e proprio allora è e rimane interamente Dio
(Paul Althaus).
L’essenza dell’essere cristiani sgorga dalla sorgente della
croce. Diventare cristiani significa pervenire alla croce e provenire da essa.
L’albero fecondo della croce è il vero albero della Vita. Chi mangia del suo
frutto vivrà in eterno. Intorno a quest’albero non ci sono recinti o spade fiammeggianti,
ma il costato squarciato e l’appello
infiammato dell’Amore:
O
voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, […]
Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che
non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti
(Is 55,1-2).
La kenosi, l’autosvuotamento di Gesù fino alla morte e la morte
di croce, ha fatto sì che ormai non esista un abisso dove un uomo possa cadere
senza trovare già il Cristo che è sceso, obbediente, prima di lui, per
raccoglierlo e riportarlo al seno del Padre.
Il testo è tratto da Un Dio umano. Primi passi nella fede, Edizioni san Paolo, Cinisello Balsamo 2013, pp. 96-100.