S.B. Ignatius III Younan racconta del tragico esodo
vissuto da 120 mila famiglie cristiane dal giorno alla notte
A giugno e ad agosto di quest’anno è accaduto,
sotto i nostri occhi e con la nota dolente di un’assordante silenzio d’indifferenza
internazionale, un esodo forzato dalle dimensioni bibliche. Più di 120 mila
famiglie cristiane sono state costrette a lasciare tutto e ad abbandonare le
terre di Mossul e Qaraqoshe, quelle terre di cui sono i residenti nativi e più
antichi, per diventare rifugiati. La Chiesa siro-cattolica è stata di gran
lunga la comunità più colpita da questo male causato dall’Isis.
Questa tragedia è stata il tema centrale del sinodo
ordinario della chiesa siro-antiochena cattolica, conclusosi mercoledì 10
dicembre.
Abbiamo voluto incontrare S.B. Mar Ignatius Youssef
III Younan, Patriarca di Antiochia e tutto l’Oriente per i siro-cattolici per
parlare dei temi fondamentali del sinodo e per sentire la sua valutazione della
politica, americana e internazionale, adottata per gestire questo dramma
umanitario e geopolitico.
*
Sua Beatitudine, nel Suo discorso di apertura del
sinodo, Lei aveva indicato che il sinodo avrebbe trattato il tema della
formazione sacerdotale. Ci spiega il motivo per cui è stata fatta questa
scelta, in un momento così critico e drammatico per la vostra chiesa?
Gli avvenimenti dolorosi che hanno colpito la
nostra chiesa negli ultimi mesi sono stati il motivo principale che ci ha
spinto a scegliere questo tema, e a discutere della nostra presenza e del
nostro destino come chiesa sira nel medio oriente.
Come cristiani siri, siamo esposti attualmente a
una grandissima sfida. I nostri sacerdoti si sono trovati improvvisamente in una
situazione gravemente squilibrata. E abbiamo sentito l’esigenza di radunarci
per studiare le modalità efficienti per affrontare l’attuale situazione.
Ad esempio, solo dall’eparchia del Mossul, sono
fuggiti un vescovo e 25 sacerdoti. Tanti di loro vivono adesso con i rifugiati.
Volevamo prendere in seria considerazione questa situazione difficile.
Lei ha paragonato il disastro avvenuto a Mossul
alla tragedia che è accaduta un secolo fa a “Sowaiqat”. Ci può spiegare cos’è
successo realmente?
Fino a giugno scorso, pativamo, come cristiani del
nord dell’Iraq, una situazione precaria di insicurezza e mancanza di tutela
ufficiale dello stato. Le minoranze pagavano il prezzo maggiore di quella
situazione.
Nel mese di giugno, siamo stati letteralmente
sradicati da Mossul. Eravamo più di 15 mila famiglie. Ma la tragedia maggiore è
avvenuta ad agosto, quando ben 120 mila famiglie cristiane dalla Piana di Ninive
sono state cacciate, dal giorno alla notte, dalle loro terre d’origine. Lì
avevamo ben nove chiese.
Tra le altre minoranze, i cristiani costituivano il
gruppo più grande. Eravamo il 40% della popolazione. In poche ore, la piana era
svuotata dai cristiani. Un esodo tragico e sofferto.
Ha definito la chiesa siro-cattolica come una
chiesa “testimone e martire dai tempi antichi”. Perché considera i siri come i
più danneggiati da questa tragedia?
Ciò che è accaduto alla Piana di Nineve ha colpito
i siri più di ogni altra minoranza, perché eravamo la maggioranza lì. Il nostro
numero era di circa 60 mila persone. Ora che siamo a Kurdistan, non abbiamo eparchie
di appoggio. Per cui siamo letteralmente degli sfollati.
A differenza dei fratelli caldei, che sono il
maggior numero dei cristiani, i quali hanno il patriarcato di Babele, noi non
abbiamo più strutture. Per questo, i nostri fedeli vivono in tende in una
situazione di dolorosa precarietà.
Statisticamente, possiamo dire che – purtroppo – più
di un terzo dei fedeli della chiesa siro-cattolica è stato sfollato ed è in
diaspora. E solo Dio sa, quando tornano e se tornano.
Nel documento finale del sinodo, viene chiesto alla
comunità internazionale di “accelerare l’operazione per liberare il Mossul e le
città della Piana di Ninive”. Come valuta la politica internazionale attuale in
Siria e Iraq?
Abbiamo lanciato un appello accorato alla comunità
internazionale. Davanti alla tragedia che ci ha colpito, non possiamo che
condannare chi ha contribuito alla sua genesi. È senza dubbio che questi
criminali non sono nati dal nulla. C’è un progetto politico più grande che
segue una politica machiavellesca, abusando dei deboli per realizzare meschini fini
geopolitici.
Da qui, è dovere delle nazioni che hanno creato
questa situazione mostruosa adoperarsi per liberare le terre che ci sono state
rubate. È obbligo loro restituirci la nostra dignità e costituire una
situazione di vita degna e sostenibile.
Come valuta gli attacchi aerei americani contro gli
obiettivi dell’Isis? Sono sufficienti ed efficienti?
Ogni persona di buona volontà e minimamente oculata
sa che questi attacchi aerei da lontano non sono sufficienti. I banditi di Isis
non sono un esercito regolare, per questo si mimetizzano tra la popolazione e
diventa realmente difficile colpirli. Essi, inoltre, hanno approfittato degli
scontri interconfessionali (tra sunniti e sciiti) e raziali (tra arabi e
curdi). Per cui, gli attacchi aerei, possono ferirli lievemente, ma non possono
annientarli e neppure colpirli seriamente.
Il sinodo ha elogiato le dichiarazioni del Convegno
di Al-Azhar avvenuto in Cairo il 3-4 di dicembre dove è stato dichiarato tra l’altro
che “i musulmani e i cristiani in Oriente sono fratelli, fanno parte di un’unica
civilizzazione e di un’unica nazione”. Che importanza riveste questa
dichiarazione?
Come patriarchi e vescovi cristiani, abbiamo
lungamente invitato i fratelli musulmani a radunarsi e a denunciare
ufficialmente il terrorismo in nome della religione. E non solo, ma anche a combatterlo
concretamente e a proteggere le minoranze, come quella cristiana.
L’iniziativa di Al-Azhar è veramente un segnale
positivo. È stato affermato che il terrorismo in nome della religione non è
parte dell’identità musulmana.
Speriamo che queste dichiarazioni abbiano un
seguito pratico sul terreno della realtà, attraverso una richiesta rivolta agli
stati per combattere i terroristi, e per lanciare una seria formazione alla
tolleranza nei convegni religiosi, nelle moschee e nelle scuole.
Ieri è iniziata la vostra vista ad limina
apostolorum. Cosa chiederete al Santo Padre durante i vostri colloqui?
Saremo una grande delegazione di circa 320 membri
tra patriarca, vescovi, padri sinodali e sacerdoti. La nostra visita dal santo
Padre è una visita filiale che vuole ribadire i legami di unità tra la sede d’Antiochia
e quella di Roma, la Chiesa che presiede nell’amore, secondo la felice
espressione di sant’Ignazio d’Antiochia.
In questa settimana che la nostra chiesa ricorda
san Giovanni il Battista, desideriamo che Papa Francesco continui ad essere una
voce che grida per la verità e per l’affermazione della giustizia. Desideriamo
che prosegua la sua difesa per la causa dei cristiani in medio oriente, specie
i siro-antiocheni perseguitati nel nord dell’Iraq.
Sono convito che questa visita sarà una fonte di
bene e benedizione per noi, e un tocco di consolazione per i sofferenti della
nostra chiesa.
Photo: Copyright by Shawqi Shamoon