La visita del Papa in Turchia vista dall’Amministratore Apostolico degli Armeni Cattolici in Giordania e Gerusalemme
La visita di
Papa Francesco in Turchia può essere letta da diversi punti di vista. Da vero «pontifex»,
il santo Padre sta certamente cercando di costruire ponti con il mondo islamico
moderato. Lo si è visto nei vari gesti di fraternità e di volontà dialogica. Quattro
dei paesi che il Papa ha visitato dopo la sua elezione sono musulmani:
Giordania, Palestina, Albania e Turchia. Ieri, nel viaggio del ritorno, il
vescovo di Roma ha raccontato ai giornalisti il suo esplicito auspicio a Recep
Tayyip Erdogan: «Sarebbe bello che tutti i leader islamici, i leader politici,
religiosi, accademici, condannino chiaramente il terrorismo e dicano che quello
non è Islam». La strategia del santo Padre è quella di contenere lo scontro di
civiltà e di religioni, invitando chi crede nel bene e nella convivenza a
dichiarare il suo schieramento.
Un elemento che
si poteva aspettare dalla visita era senza dubbio quello di chiedere
esplicitamente alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno. Sul motivo del
silenzio del santo Padre abbiamo voluto sapere il parere di Mons. Kevork Noradounguian (Dankaye), Procuratore della Chiesa armena Cattolica
presso la Santa Sede. È stato nominato di recente Amministratore Apostolico
degli Armeni Cattolici in Giordania e Gerusalemme.
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La Turchia ha
voluto che la visita avesse un taglio distintamente politico, accogliendo il
papa come capo di stato. Sicuramente la natura del paese ospitante ha
condizionato molto il discorso del Santa Padre. Come valuta la visita complessivamente?
La vista in se
è un grande successo. Di sicuro ciascuno la interpreterà dal suo punto di
vista. A qualcuno sembrerà una legittimazione e approvazione di un capo di Stato
discusso per un presunto coinvolgimento nella primavera araba e per un suo appoggio
ad alcuni dei gruppi armati. Per altri sarà una grande delusione perché si
aspettava dal Santo Padre alcuni cenni sulla Turchia erede dell’Impero Ottomano
e del suo dovere di riconoscere genocidi compiuti all’inizio del XX sec. in
special modo quello armeno.
Il Santo Padre
nella sua veste di capo del più piccolo Stato al Mondo e nella veste del
Successore di Pietro ha fatto la scelta più difficile ma giusta. Nella politica
mondiale tutto è calcolo e interessi. Le visite e gli incontri fra i grandi
sono frutto di compromessi e di accordi e di contratti raggiunti prima
dell’incontro. Accordi non raggiunti, le
visite non si fanno. Il Papa ha fatto la scelta difficile di andare prima senza
mettere delle condizioni al suo viaggio. L’incontro è il miglior rimedio a
tutte le questioni e le problematiche.
Immagino che è
stata fatta una scelta che è quella di incontrarsi senza la pretesa di
assicurarsi la libertà di discorsi o di interessi o di registrare fini nel
campo dell’altro per sé o per altri.
È un’altra
politica che si sta avviando. Sarà incomprensibile ma è buono cominciare a
percorrere questa strada visto che le altre vie risultano sempre meno efficaci.
Durante la
visita al Presidente per gli Affari Religiosi alla “Diyanet” di AnkaraIn qualità
di capi religiosi il papa ha detto: «Abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le
violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio
Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una
giustificazione religiosa merita la più forte condanna». Forse come armeni
questo discorso vi suona più prossimo di tanti altri, in special modo nel
vostro rapporto con la Turchia. Come legge il silenzio del Pontefice riguardo
al riconoscimento del «metz yeghern»?
Un cenno al riguardo
avrebbe fatto un grande piacere a noi armeni. Sarebbe stato anche un
riconoscimento di tanti martiri. Il Santo Padre Papa Francesco, a mio modesto
parere, preferisce i gesti laddove il dialogo per una causa è impedito. I gesti
sono stati tanti. I discorsi si fanno in dialogo e dove c’è la disponibilità.
Una parentesi sul genocidio armeno presuppone e richiede un’altra su altri
genocidi di altre comunità. Ritorno a ribadire che il Santo padre non abbia
voluto saltare un viaggio e un incontro per un dettaglio. Intanto un
riconoscimento del genocidio è di competenza di altre sedi e altre istanze che
sono all’opera da tutte le parti.
Possiamo
parlare di un’azione che vuole evitare l’inasprimento della situazione della
minoranza cristiana già provata sotto il governo di ispirazione riformista
islamica di Recep Tayyip Erdogan? O c’è un’altra lettura?
Il coraggio a
Papa Francesco non è mancato. Ha trattato temi molto duri: terrorismo,
commercio d’armi, dittature delle grande potenze. Penso che non aveva difficoltà
a trattare di quest’argomento anche, ma nella globalità il Santo Padre ha dato
un taglio speciale al suo viaggio preferendo l’incontro e i gesti a temi che
magari l’altra parte non è ancora in grado di affrontare per vari ragioni.
Cosa vorrebbero
gli armeni dalla Turchia? Si contenterebbero di un riconoscimento morale o vorrebbero
altro, un risarcimento, o cosa?
Un
riconoscimento certamente, poi un giusto risarcimento e poi il ritrovarsi con i
nostri fratelli e sorelle nell’umanità con i quali un tratto di strada, nel
passato, si è fatto insieme. Non chiediamo il riconoscimento e il risarcimento
per sé ma proprio come premesse per una riconciliazione con il proprio passato
e con il prossimo per un riabbraccio dei tanti fratelli e sorelle nell’umanità.
Intanto le vite
dei martiri non hanno un prezzo e si sono meritati la parte migliore.