In quel tempo, venne
da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi,
puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse:
«Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu
purificato.
E, ammonendolo
severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a
nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione
quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò
e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più
entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e
venivano a lui da ogni parte.
Eb 3,7-14 Sal 94
Mc 1,40-45
Tra i tanti effetti
drammatici della lebbra c’è la progressiva desensibilizzazione della pelle,
della possibilità di contatto con il mondo, con la vita. Il male – subìto e/o
fatto – ha lo stesso effetto sul nostro spirito: ci spegne, ci anestetizza, ci
isola, ci rende indifferenti e sciupa la nostra voglia di vivere. Gesù non
offre al lebbroso del vangelo una guarigione miracolosa con servizio a
distanza. Gesù lo tocca, trasgredendo ogni convenzione sociale e religiosa al
riguardo. Egli sa che la lebbra più profonda è la solitudine abitata soltanto
da quella perfida voce interiore che sussurra: “Dov’è Dio nel mio dolore? Dov’è
nel mio male?”. Gesù risponde compatendo, volendo e toccando la lebbra. Egli è
vivo oggi, con questo vangelo che stai leggendo tocca anche me e te: «La parola
del Vangelo cancelli la nostra lebbra». Il Signore lo ripete anche a te: «Lo
voglio, sii purificato!».