In
quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e
Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto
con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare
prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta
la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli
indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che
erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai
demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al
mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo
deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue
tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro:
«Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per
questo infatti sono venuto!».
E
andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Gb
7,1-4.6-7 Sal 146 1Cor 9,16-19.22-23 Mc 1,29-39
È
facile abituarsi a una evangelizzazione di comodo, a pescare in padella.
Troviamo una realtà delimitata e fossilizziamo la natura missionaria e “apostolica”
della nostra fede. L’esistenza credente, invece, deve essere come il costato di
Gesù, aperta per traboccare continuamente, per espandere il fuoco del Vangelo.
Ogni volta che ci chiudiamo entro i margini comodi del nostro io, della nostra
famiglia, parrocchia, comunità religiosa e… Chiesa, ci richiamano le parole di
Gesù: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là;
per questo infatti sono venuto!». La Chiesa “apostolica” non è solo un onore, è
un onere; non è solo un’eredità passata, è un compito presente e futuro. «Guai
a me se non annuncio il Vangelo».